«Viaggiare incontrando le persone del posto è tutto diverso. Noi non abbiamo svolto la “solita” gita scolastica, ma una vera e propria gita culturale. Non siamo andati in Romania “solo per divertirci”, ma ci siamo divertiti molto. E ora con alcuni compagni stiamo pensando di tornarci un’estate in vacanza». Patrick Grossen è studente di informatica alla Spai di Locarno, la Scuola Professionale Artigianale Industriale. La sua scuola è gemellata da due anni con una scuola rumena e nell’ambito di questo gemellaggio avvengono scambi di studenti e di classi.
Questi viaggi si inseriscono nella filosofia portata avanti da un gruppo di docenti della Spai che ha creato il progetto «La scuola al centro del villaggio». Il progetto comprende sei-sette conferenze l’anno, la settimana del gusto, un progetto di orto nel quartiere e le giornate multiculturali, dove oltre ad ascoltare, imparare e mettersi in gioco intellettualmente si fanno musica, danza e teatro. Per Lorenzo Scascighini, coordinatore del progetto e docente di italiano al Centro Professionale locarnese, lo scopo è sradicare pregiudizi, preparare a una società multiculturale, infondere entusiasmo e stimolare la curiosità nei ragazzi. «Il viaggio in Romania accompagnati da una classe di coetanei che studiano la stessa materia è il modo migliore per avvicinarsi a una nuova cultura. Abbiamo fatto quello su cui di solito non si concentra il turista: uno scambio umano. Ci siamo mossi con una maniera differente di viaggiare, più partecipativa. La nostra filosofia è quella della scoperta e di uno sviluppo sostenibile nel mondo».
Si fanno gemellaggi e si inizia a conoscersi. Poi ci si sposta, ci si incontra, si parla, si stringe amicizia. Questi viaggi vengono anche preparati, con letture, visioni di film, incontri di persone (per esempio quest’anno i ragazzi partiti per la Romania hanno avuto un assaggio di cinema rumeno e hanno chiacchierato in classe con una maestra di Timisoara che lavora in Svizzera come badante e una marionettista che da Sibiu è arrivata alla Scuola Dimitri 30 anni fa). «Quando i miei allievi mi dicono che dopo tali attività si sentono più aperti verso il mondo e che hanno potuto abbattere molti pregiudizi, mi convinco che siamo sulla strada giusta», prosegue Scascighini. «La scuola, con i suoi tempi e i suoi ritmi, e soprattutto grazie alla sua natura non utilitaristica, permette nel corso degli anni questa maturazione. Ci piace pensare al nostro istituto come un laboratorio dove si intravede l’embrione di quello che la società potrebbe essere in futuro».
La scuola deve aprire mondi e insegnare la libertà. L’anno scorso, dopo la gita culturale in Romania, un allievo ha scritto così: «Sono partito pieno di pregiudizi e chiuso nelle mie idee. Sono rimasto stupito che, contro ogni mia aspettativa, i rumeni non siano ladri e truffatori che cercano di fregarti a ogni passo. Anzi: ho conosciuto persone fantastiche e pronte a tutto per rendere la mia esperienza la più completa e istruttiva possibile. Bisogna provare l’esperienza sulla propria pelle». Esperienza che definisce così: «Una settimana che ha cambiato me e le mie idee sciogliendo i miei pregiudizi come neve al sole» e conclude dicendo che ora, anche se forse non tutto il mondo è pronto per questa apertura verso l’altro, lui sorride, sorride perché «per quante catene mi possano mettere, per quante porte mi possano chiudere, io sarò sempre libero. Libero di pensare, libero di essere e sicuramente più libero di chi mi rinchiude».
Tra l’altro, spiega lo studente Patrick Grossen, questo tipo di viaggio è proficuo anche alla conoscenza delle lingue: «Parlavamo con i nostri coetanei in inglese. Una sera abbiamo soggiornato insieme a loro in un albergo deserto, all’interno di un parco protetto. Abbiamo organizzato una festa tra noi e ho visto miei compagni che in classe sembrano non spiaccicare una parola d’inglese buttarsi a parlare con le ragazze e con i più simpatici dell’altro gruppo».
Gli chiedo se aveva già viaggiato così, incontrando persone: «Sì, quando giocavo a tennis ogni tanto viaggiavamo per partecipare a un torneo, senza l’idea di essere in vacanza, e incontravamo persone. Una volta un contadino in Svizzera interna ci ha dato il latte, ci ha fatto vedere la sua stalla e come faceva il formaggio. Ecco, era un po’ la stessa cosa». Conoscere gli altri, fermarsi e interagire, serbare un ricordo vivo, invece che scattare mille fotografie in corsa.
Un altro dei ragazzi partiti per la Romania, Damiano Maillard, aggiunge: «Parlare con le persone, soprattutto ragazzi della nostra età, e vedere come vivevano, come erano le loro scuole, ci ha fatto capire molto di più il Paese che se avessimo visitato tutte le sue chiese e i suoi musei. Loro sono stati molto più accoglienti di quanto abbiamo fatto noi quando sono venuti qui: il primo giorno, ci hanno fatto fare il giro della loro scuola e poi siamo andati in mensa; avevano apparecchiato una tavola piena di piatti tipici, poi ci hanno fatto ascoltare musica folkloristica e abbiamo ballato tutti insieme. La prossima volta vorrei portarli in un grotto e poi a visitare Locarno e i Castelli di Bellinzona».
I due pilastri principali che sorreggono tutto l’edificio della «Scuola al centro del villaggio» sono la multiculturalità e la sostenibilità, definite dai docenti coinvolti nel progetto «le vere e proprie sfide della società di oggi e di domani». «Nel 1600 in Francia, in un’epoca in cui il punto di riferimento etico e morale era il cristianesimo, è nato il detto “mettere la chiesa al centro del villaggio”», ricorda Scascighini. «La società oggi è cambiata, si è secolarizzata e ora, in un ipotetico centro, reale e simbolico, troviamo una banca o uno shopping center. Non sarebbe meglio se invece ci fosse la scuola? Non andremmo forse in una direzione migliore, più rispettosa per gli esseri umani e per l’ambiente? Noi pensiamo proprio di sì».
Scascighini e la sua squadra non sono gli unici a pensare differentemente le gite scolastiche. A Giornico alcuni docenti delle scuole medie hanno sviluppato il «progetto Nord Sud», proponendo tra i vari percorsi, una settimana sul piano di Magadino. «Ma sore, perché gli altri vanno a Venezia, Roma, Parigi?». Non era facile da motivare, racconta il docente di italiano Daniele Dell’Agnola, che insieme ai suoi colleghi di scienze, storia, geografia ha coinvolto 51 quindicenni di quarta media. Ma alla fine i ragazzi capivano. E apprezzavano quella settimana di ragionamenti sul consumo responsabile, sui conflitti mondiali per il cibo, il commercio, le materie prime, l’importanza del dialogo con le altre culture. Facevano la spesa i giovani studenti, cercando di usare i prodotti a chilometro zero, provando a capire come arrivano sulle nostre tavole quelli e quegli altri nelle scatolette. Andavano nei centri commerciali a chiedere se tale o tal altro prodotto poteva essere certificato come «costruito con buone condizioni di lavoro». Era una settimana di studio, ma di quelle che arricchiscono anche i rapporti personali e la voglia di vivere bene, in modo giusto. Durante l’anno continuavano a porsi domande attraverso le varie materie in classe e doposcuola dedicati alla scrittura creativa e al teatro.
La scuola media di Viganello da alcuni anni, invece, ha deciso che non si esce più dalla Svizzera. «Anche qui, i ragazzi all’inizio sono delusi», spiega un docente di geografia, Tomaso Vadilonga. «Ma poi alla fine sono sempre felici. Quest’anno a Olivone è andata benissimo. Io credo che si debba giocare al ribasso: guardare, toccare (possibilmente la terra, i sassi o le piante) e farsi raccontare dalle persone del posto. Per tutto il resto (Parigi, Barcellona, Amsterdam) va bene google street map, youtube, facebook, instagram».
L’esotico non esiste quasi più. Non si viaggia più per stupirsi di fronte a costumi, architetture, modi di concepire la vita completamente diversi. La globalizzazione ha impoverito le diversità, ma restano ancora gli altri, ovvero le persone che possono rendere il viaggio sempre ricco e ossigenante.