Quando ho iniziato a interessarmi dei pesci ciclidi del lago Malawi, mai mi sarei aspettata che dei pesciolini colorati d’acqua dolce avessero un potenziale sociale, etologico, politico ed economico così complesso e che il lago stesso avesse peculiarità tanto interessanti.
Siamo abituati a riconoscere i pesci d’acqua dolce per il loro aspetto spesso poco appariscente, con livree abbastanza monotone se confrontate con quelle dei pesci marini. Al contrario, i ciclidi sono molto colorati, simili ai pesci che abitano le barriere coralline. Avrebbero affascinato anche Charles Darwin, se solo lui avesse avuto modo di studiarli. Sono presenti prevalentemente in Africa e America Latina, e sono abbondanti nei laghi Malawi e Tanganika, dove si sono diversificati in oltre 700 specie riconosciute; ben più numerose delle specie ittiche che si trovano complessivamente in tutti i bacini di acqua dolce europei. Per questo e per altri motivi, i ciclidi hanno suscitato l’interesse di molti ricercatori e ittiologi, come Jay Richard Stauffer Jr., il quale ne ha scoperte ben 60 nuove specie.
Il lago Malawi è un bacino enorme, nel cuore dell’Africa (è situato a formare gran parte del confine fra Malawi e Mozambico, e in parte tocca anche la Tanzania), e nel corso dei millenni vi si sono sviluppati ecosistemi tropicali molto particolari. Fa parte della Western Rift Valley (fossa tettonica occidentale) che include alcuni dei più profondi laghi mondiali. Ha una topografia incredibile: pareti verticali che sprofondano soprattutto nella parte a nord, grandi franate rocciose vicino alle coste, molte caverne sommerse. È il terzo lago più profondo (-706 m) della Terra e vanta un altro fenomeno straordinario. È infatti un lago «meromitico», cioè le sue acque sono stratificate in tre livelli che non si mescolano, similmente al lago di Cadagno, nell’area del Ritom, il quale è stratificato in due livelli (con la presenza di acido solfidrico nel livello inferiore). Nella zona a sud, meno profonda, alcune micro-isole emergono dalla superficie e si scorgono molti scogli a pelo d’acqua (vedi fotografia in basso; su www.azione.ch si trova una galleria più ampia). Questo è il territorio dei ciclidi Mbuna, endemici del lago Malawi, che si nutrono raschiando lo strato di alghe incrostanti, diatomee, microscopici crostacei e larve di insetti, e che trovano protezione dai predatori nelle fessure rocciose. Hanno sviluppato una spiccata aggressività che permette la difesa del territorio e della prole. Proverbiale è il coraggio dimostrato da questi pesciolini nella strenua difesa dagli attacchi dei predatori di taglia maggiore. Le cure parentali sono davvero sorprendenti: le femmine incubano le uova in bocca per circa tre o quattro settimane, durante le quali smettono di alimentarsi.
Un’altra tipologia è detta Haps, l’abbreviazione di Haplochromines, anch’essi endemici. Questi raggiungono dimensioni maggiori degli Mbuna e sono molto colorati; comprendono specie che sono in prevalenza abitanti del fondo e delle acque aperte.
Il mio primo incontro dal vivo con i ciclidi del Lago Malawi è stato particolarmente fortunato poiché sono riuscita a osservare un’altra strategia comportamentale davvero peculiare, che è condivisa da pochi altri pesci marini, sebbene in modo meno appariscente. È una chiara dimostrazione della forza della natura, degli adattamenti all’ambiente, degli stratagemmi che alcuni animali mettono in atto pur di assicurare il mantenimento della specie. Dopo la schiusa delle uova, i piccoli appena nati restano nella bocca della madre. Quando raggiungono una certa autonomia, lei sceglie accuratamente un’area priva di ogni rischio per consentire loro di uscire, di sgranchirsi, di nuotare, ma resta sempre all’erta per la probabile intrusione di qualche predatore. Se la madre avverte un pericolo per i piccoli pesci, dapprima cerca di scacciare l’intruso, poi – onde fugare ogni incertezza – spalanca la bocca e loro vi si precipitano, al riparo. Contemporaneamente lei si rifugia fra le spaccature rocciose del fondale. Rilascerà nuovamente i piccoli pesci in un’area più tranquilla e priva di predatori. È emozionante osservare la vivacità dei giovani pesci nuotare vicino al pesce madre, e rifugiarsi nella sua grande bocca al primo accenno di pericolo.
Altra considerazione importante è data dalla mancanza di partecipazione delle donne nell’ecosistema acquatico del lago. Il genere (essere nati maschio o femmina) in Malawi discrimina il modo in cui le persone beneficiano di un medesimo ecosistema, così come il ruolo determinante degli ecosistemi nell’alleviare la povertà è condizionato dalle relazioni sociali. Ciò è particolarmente evidente considerando le barriere sociali poste al coinvolgimento delle donne nell’industria ittica, e in special modo in quella di sussistenza, dove esse non hanno alcuna indipendenza economica, né sociale per affrancarsi e migliorare la condizione di vita propria e dei loro figli. L’analisi è basata su una ricerca fatta da Joseph Nagoli, Lucy Binauli e Asafu Chijere, pubblicata nell’agosto dello scorso anno, e condotta in cinque villaggi del lago. Le barriere sociali che impediscono alle donne di partecipare all’industria ittica sono di natura legale, finanziaria, socio-culturale e di ruolo.
In Malawi, oltre due milioni di persone sono impiegate o beneficiano direttamente dalle attività correlate alla filiera ittica, dalla pesca vera e propria, alla lavorazione del pesce, al trasporto, al marketing, alla vendita, e relativo indotto. Nella zona sud del lago, le donne si occupano delle faccende domestiche, della cura dei figli, degli anziani, degli ammalati e dell’agricoltura di sussistenza. Lavorano molto e non percepiscono alcun compenso. Ciò limita maggiormente la loro emancipazione, la possibilità di apprendere un mestiere, di partecipare alla filiera ittica ricavandone un vantaggio economico e, di conseguenza, una migliore condizione di vita. Esse non hanno accesso ad alcuna tipologia di finanziamento per sviluppare una propria attività, che spesso è proibita dalle leggi esistenti.
La pesca e la vendita del pescato sono appannaggio degli uomini, mentre la lavorazione del pesce è svolta sia da uomini (per i pesci più pregiati) sia da donne, che si occupano quasi esclusivamente dell’essicazione dei pesci di taglia più piccola. Alle donne non è consentito pescare in acque libere, né lavorare con gli uomini durante la pesca. La raccolta della legna da ardere per l’essicazione e la vendita del legno sono effettuate dalle donne, mentre il trasporto del pescato – su strada o via lacuale – tocca agli uomini, che trattano con gli acquirenti di maggior peso. Gli uomini sono pertanto coinvolti nelle attività che sviluppano un maggior valore aggiunto.
La brutta china di questa situazione è il baratto sessuale. Nei piccoli villaggi costieri, basati su una economia di sussistenza, gli uomini si occupano della pesca e le donne della vendita del pesce agli acquirenti locali. Spesso le donne prendono il pesce con la promessa di pagare il pescatore successivamente alla vendita, che talvolta ha esito negativo. La forma più consueta di estinzione del debito è avere rapporti intimi, che rappresentano un veicolo concreto di diffusione di malattie quali l’HIV. Accade anche quando la quantità di pesce pescato è scarsa e le donne, pur di accaparrarsi cibo per sfamare la propria famiglia, si offrono ai pescatori o agli acquirenti. Oppure anche quando la donna riesce a vendere il pesce ricavando un buon prezzo: in tal caso il pescatore lascia il guadagno alla donna, barattando un rapporto.
I pescatori si spostano lungo il lago, in diverse aree, e pertanto portano il pescato in vari villaggi costieri. Quando contraggono le malattie trasmesse sessualmente, loro stessi diventano veicolo di propagazione.
Si tratta di situazioni di angoscia e povertà, con ben poche speranze di cambiamento. Trasformazioni stanno invece lentamente avvenendo in alcuni villaggi, dove sono avviati progetti sostenuti da organizzazioni no-profit quali World Connect, le quali offrono garanzie di pagamento degli investimenti. Fra questi, alcune donne intraprendenti hanno costituito una cooperativa per acquistare l’attrezzatura necessaria alla pesca e costruire una propria barca. Sono donne molto motivate, che non temono di contrastare i condizionamenti sociali, culturali e di ruolo che dominano la vita nei villaggi.