Fra le mille difficoltà che si incontrano nel rapporto fra senso comune e conoscenza scientifica, quella che ha a che fare con la logica è forse la più dura da superare. Mentre alcune relazioni critiche generali fra scienza e società sono state messe in luce dalla sociologia della scienza, mancano tuttora studi seri che facciano luce su come i moduli logici fondamentali che stanno al fondo del pensiero razionale vengono assimilati o reinterpretati dal senso comune.
Il fatto è che, molto spesso, le questioni scientifiche si presentano in forma controintuitiva mentre il senso comune ha necessità di ragionamenti semplici, lineari e immediatamente appropriabili. In effetti, non è immediato accettare l’idea che fra alcune coppie di termini che tutti noi usiamo quotidianamente – come vero o falso, innocente o colpevole, innocuo o nocivo, significativo o casuale – sussista, invece che una perfetta simmetria, una marcata asimmetria. Un buon esempio riguarda la diversa forza logica delle affermazioni e delle negazioni.
I termini vero e falso, in ambito scientifico, stanno su due piani molto diversi. Che la legge di Ohm, per esempio, sia «vera» non c’è dubbio, ma solo perché nessuno è riuscito a provare che sia falsa. Quando un’ipotesi scientifica viene proposta alla comunità degli scienziati, ciò che accade non è una serie di tentativi di «verificarla» bensì, come ci ha insegnato Karl Popper, una serie di sperimentazioni tese a stabilire se essa regga alla prova dei fatti. Se, cioè, sia possibile o meno «falsificarla», cioè dimostrare che non è vera. È solo l’impossibilità di farlo che ci consente di accettare l’ipotesi come vera, anche se in termini provvisori ossia in attesa di sempre possibili scoperte successive che la superino. Quando noi premiamo l’interruttore che accende la luce in una stanza non verifichiamo una volta in più la legge di Ohm perché se un’ipotesi è «vera» – nel senso sopra detto – essa non può diventare «più vera» seguitando ad applicarla. Essa può invece essere messa in crisi, e dunque dichiarata come non vera, da circostanze in cui si dimostri che non funziona. Altrettanto vale per la coppia di concetti innocuo e nocivo. Quando noi diciamo che il tal cibo è innocuo non lo diciamo perché vi sono le «prove» della sua innocuità ma solo perché, dopo anni o addirittura secoli di abitudini alimentari che includono quel cibo, nessuna patologia è stata mai associata alla sua ingestione. Tuttavia, è una fiducia intrinsecamente a rischio. Infatti, è sufficiente un piccolo numero di casi contrari – cioè che indagini scientifiche più aggiornate e più approfondite che in passato mettano in seria correlazione il cibo in oggetto con qualche forma patologica – per distruggere la sicurezza acquisita nel tempo. Insomma, anche qui, è solo possibile stabilire che un cibo non è innocuo mentre stabilire che esso è innocuo, è letteralmente impossibile.
Nei tribunali, l’innocenza dell’imputato non può essere in alcun modo «provata» perché ciò che si può provare è solo la non innocenza, ossia la colpevolezza: c’è la prova che Tizio ha ucciso Caio, dunque egli non è innocente. Tizio, fatto salvo, ovviamente, il caso dell’alibi, non ha alcun modo di portare la prova che non ha ucciso Caio, cioè di non essere colpevole e quindi innocente. Per questo, nei moderni processi di impostazione accusatoria, l’onere della prova è di chi accusa e non della difesa. In generale, dobbiamo ammettere che è impossibile dimostrare che qualcosa non esiste mentre è sempre possibile, almeno in via potenziale, solo la sua non-inesistenza, cioè la sua esistenza. Se uno sostiene che esistono cigni con due teste ha la facoltà, potenziale, di essere creduto fornendone la prova per mezzo, poniamo, di una fotografia oppure catturandone uno. Chi, invece sostiene che non esistono cigni di questo tipo, non può fornire alcuna prova conclusiva della loro inesistenza. Su un altro piano, l’ateismo sembra proporsi, paradossalmente, come una «fede» ancora più forte di quella dei credenti. Infatti, mentre è concepibile, anche se è molto difficile che il risultato sia largamente persuasivo, qualche «dimostrazione» dell’esistenza di Dio, dunque la sua non-inesistenza, dimostrare che non esiste è del tutto impossibile e dunque, per crederlo, occorre un notevole atto di fede.
La scienza statistica, come è noto, è ormai applicata a tutti i settori della nostra vita: controllo di qualità, assicurazioni, analisi mediche, tendenze economiche o finanziarie e così via. La stessa ricerca scientifica ne fa un uso quotidiano, in fisica come in biologia, in farmacologia come in zoologia. Ebbene, anche l’impiego della statistica ci insegna che ciò che possiamo «provare» direttamente non è, per esempio, l’efficacia di un farmaco ma solo che la sua azione benefica non è casuale. Naturalmente esistono situazioni in cui gli scienziati sanno indicare e descrivere puntualmente la farmacodinamica di un principio attivo, ma quando si passa alla realtà, ossia alla somministrazione del farmaco ad uno o più campioni di pazienti in carne ed ossa, l’avversario dello scienziato è la casualità, che implica la non efficacia del farmaco. La percentuale di pazienti guariti dopo la somministrazione del farmaco è significativamente superiore a quella di pazienti guariti dopo la somministrazione di solo placebo, cioè di una sostanza inerte? Il calcolo statistico non ci dirà se il farmaco è efficace ma solo quale è la probabilità che la differenza (se a vantaggio del farmaco) sia dovuta al caso. Se tale probabilità, che non è mai zero, sarà molto piccola, lo scienziato avrà buone ragioni di credere nell’efficacia del prodotto, altrimenti il caso avrà vinto la battaglia e ci si dovrà arrendere.
Vi sono dunque sufficienti elementi per capire come la condizione umana, sotto il profilo logico, sia legata ad una forte contrapposizione, variamente asimmetrica, fra le affermazioni e le negazioni. Affermare e negare costituiscono attitudini naturali dell’uomo sulla base delle quali costruiamo ipotesi ed opinioni, ma vanno trattate con cura per evitare argomentazioni logicamente incoerenti che possono condurre a sonore disillusioni.