L’alfabeto delle emozioni

Saper riconoscere ed esprimere le proprie emozioni è una competenza fondamentale che permette ai bambini di diventare adulti consapevoli e competenti. Intervista alla consulente educativa Nicoletta Ferri
/ 02.05.2017
di Alessandra Ostini Sutto

Analfabetismo è l’incapacità di leggere e scrivere, dovuta per lo più ad una mancata istruzione o ad una pratica insufficiente. Traslato in campo sentimentale, il fenomeno diventa l’incapacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni; le cause sono le stesse. In una società che va sempre più veloce e dove le relazioni sono spesso virtuali, l’analfabetismo emotivo è in crescita, tra i giovani e non solo. La ricchezza delle emozioni viene iconicamente ridotta agli emoticons e su Google è stato statisticamente dimostrato che i termini inerenti le emozioni vengono cliccati solo raramente. Eppure riuscire a dar voce a quello che sentiamo è importante e le emozioni dovrebbero essere usate come strumenti nella vita di tutti i giorni, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità pone le competenze emotive tra le life skills.

La mancanza di consapevolezza e, successivamente, gestione e controllo delle emozioni e dei comportamenti ad esse connessi, possono generare malessere e interferire con le nostre prestazioni. «Per quanto riguarda i bambini, un’eccessiva tensione emotiva può ripercuotersi sulle prestazioni scolastiche, inficiando alcuni meccanismi alla base dell’apprendimento, quali le capacità mnemoniche, di concentrazione e attenzione – spiega Nicoletta Ferri, titolare dello Studio NF Consulenze di Vacallo – attività di consapevolezza emotiva possono essere rivolte anche agli adulti, dal momento che riconoscere le proprie emozioni e quelle altrui permette di costruire relazioni sane e dare la giusta importanza a ciò che si prova, senza essere assoggettati alle emozioni, diventando più competenti in ambito emotivo-relazionale ma anche in altre aree del quotidiano». 

Ma «l’alfabeto» delle emozioni non dovrebbe essere oggetto di un apprendimento fisiologico? «Noi nasciamo con le sei emozioni scritte nel DNA, ma pure con delle caratteristiche specifiche, fisiche o caratteriali; oltre a ciò, sono l’ambiente e le relazioni ad influenzare il rapporto del bambino con le emozioni», continua Nicoletta Ferri, formatrice per adulti, consulente educativa e docente presso l’Istituto Ricerche di Gruppo di Lugano (nella formazione triennale di Arterapia).

I primi tre anni sono un periodo chiave per molti aspetti della vita futura e anche per le emozioni. Nella sfera famigliare il piccolo fa le prime esperienze delle emozioni, con le carezze, l’accoglimento e gli sguardi. Oltre a ciò, i genitori devono insegnargli a «sentire il mondo» e a saperlo esprimere. I bambini apprendono infatti la vita attraverso i sensi, ma sono poi mamma e papà a caricare i concetti di una connotazione emotiva: «Un bambino conosce la mela attraverso il tatto, la vista, l’olfatto e il gusto, ma anche per mezzo della risposta emozionale che riceve dall’adulto. Se la mamma dice con aria schifata “Questa è una mela”, perché a lei non piace, il bambino assorbirà anche questa parte emozionale», spiega Nicoletta Ferri. Ovviamente poi, crescendo e vivendo le proprie esperienze, il bambino può mutare questa prima connotazione ricevuta dall’adulto. 

Nei primi anni di vita i genitori sono quindi i principali autori delle «mappe emotive» dei propri figli, aiutandoli a passare dal semplice impulso, che è fisiologico, all’emozione, fino ad arrivare al sentimento, che è anche una questione cognitiva. Le mappe emotive sono strumenti indispensabili per instaurare legami significativi e reagire ai vari eventi della vita in modo proporzionato. «I bambini piccoli hanno bisogno accanto a sé di un adulto che insegni loro l’auto-regolazione emotiva. Quando sentiamo delle emozioni, dobbiamo renderle accettabili come esternazione, anche quando ci troviamo confrontati a dei picchi, siano essi di euforia o di rabbia – continua Nicoletta Ferri – se le figure di riferimento sono in grado di dare questa risposta in maniera soddisfacente, il bambino svilupperà le proprie competenze che gli consentiranno di regolare correttamente le emozioni». 

Purtroppo ci sono delle situazioni in cui questo processo è ostacolato; si va da quelle più gravi – come nel caso in cui una neo-mamma soffra di depressione post-parto – a quelle più comuni, in cui i genitori, presi da tanti impegni, pur facendo del loro meglio, non riescono a far passare adeguatamente il messaggio. Senza voler dare colpe a nessuno, la mancanza di tempo e le routine sempre più frenetiche possono ripercuotersi sulla sfera emotiva dei nostri figli. «La società aumenta costantemente la richiesta di prestazioni, bisogna essere sempre più veloci e performanti, anche a livello di quantità; questo lo percepiscono anche i bambini, tanto che sono sempre di più quelli ai quali le richieste della scuola pongono delle difficoltà – commenta la titolare dello studio Nf Consulenze – già alle elementari vi sono bambini che vivono situazioni di ansia o addirittura di panico quando devono svolgere un compito di matematica o leggere ad alta voce».

Anche in assenza di stime precise, si può affermare che le difficoltà legate alle emozioni sono in aumento anche a causa della virtualizzazione della realtà, che ci rende meno capaci in quei compiti che prevedano abilità sociali. «Secondo me non è la quantità di emozioni a diminuire ma bensì la capacità di riconoscerle ed esprimerle. La società porta a ridurre le parole e a dare tutto per immagine. Prendiamo il telefonino: lo usiamo moltissimo per i messaggi, che sono fatti di poche parole, mentre tra i social network fra i giovani vanno per la maggiore Instagram o Pinterest, dove domina, appunto, l’immagine», continua Nicoletta Ferri. I nativi digitali sono bombardati da informazioni fin da quando non sono ancora sufficientemente maturi per gestire le emozioni che esse comportano; situazione che si traduce in un certo appiattimento del comportamento, osservabile, per esempio, in una diminuita ricchezza del vocabolario, soprattutto a livello di sfumature, che, in tema di emozioni, fanno la differenza. 

A tutto comunque c’è rimedio; l’importante è essere consapevoli e avere la volontà di apportare un cambiamento. Innanzitutto i bambini necessitano di genitori che dedichino loro del tempo non solo di «qualità», ma anche di «quantità», dal momento che hanno bisogno di essere riconosciuti passo dopo passo, disegno dopo disegno, domanda dopo domanda. Per aiutarli a riconoscere ed esprimere le emozioni, libri e fiabe sono un valido e semplice strumento. È importante poi mettersi in condizione di sperimentare le emozioni e imparare a sorprendersi, e in questo ci offre un aiuto alla portata di tutti la natura. E non perdere occasione per «tirare fuori» le emozioni ai nostri figli, anche solo chiedendo loro cosa hanno provato in una determinata situazione. 

I genitori possono poi decidere di rivolgersi ad uno specialista che proponga al proprio bambino un’attività di «alfabetizzazione emotiva», la quale ha in genere uno scopo preventivo; l’idea che sta alla base è infatti quella che dei bambini emotivamente consapevoli saranno degli adulti più competenti. «Nei nostri interventi ci focalizziamo sul vivere e sentire le esperienze. L’obiettivo è quello di imparare ad ascoltarsi e a comprendere quali sono le cose che ci fanno stare bene e quelle che ci fanno stare male. Nel secondo caso, bisogna arrivare a cogliere i segnali che precedono le situazioni potenzialmente problematiche, i quali spesso corrispondono a delle sfumature di un sentimento, come può essere il fastidio, e imparare poi quali risorse attivare per fronteggiare il disagio», spiega Nicoletta Ferri, che ha recentemente proposto questo approccio, svolto in modo interdisciplinare con le sue colleghe (le arteterapeute Stefanie Pfister e Monica Gerli Onusti e la psicologa Veronica La Tona), con l’atelier L’alfabeto delle emozioni – combattiamo l’analfabetismo emotivo, uno degli eventi che gravitano attorno alla mostra itinerante La scoperta del mondo, visitabile fino 25 giugno al Castelgrande di Bellinzona. 

Oltre a questo lavoro di rafforzamento delle competenze affettive, in caso di difficoltà scolastiche, NF Consulenze propone una serie di incontri con la famiglia e i ragazzi denominata Impara ad imparare: «anche in questo caso si impara innanzitutto ad ascoltarsi, per conoscersi; dopodiché vengono individuati da un lato i propri punti di forza (per esempio la memoria visiva, la capacità di sintesi…) e dall’altro vengono forniti e illustrati strumenti (mappe concettuali, schemi, tabelle, software…), dal momento che in base alle caratteristiche personali si ricorrerà ad uno di essi piuttosto che ad un altro. Una volta presa coscienza di questi aspetti, si affinano le tecniche individuali, allo scopo di saperle applicare per rispondere in modo efficace e sereno ad una richiesta rivolta a scuola, che precedentemente procurava ansia».