È il 27 febbraio del 2014. Nella Medal Plaza dei Giochi Olimpici di Sochi, gli speaker ufficiali, in tre lingue – russo, inglese e francese – chiamano sul gradino più alto del podio gli svizzeri Alex Baumann e Beat Hefti, i dominatori della gara di bob a due. Le Miss, in abiti tradizionali, distribuiscono baci e fiori, i notabili dello sport dispensano strette di mano, e soprattutto mettono la medaglia d’oro al collo dei nostri due eroi. Sul pennone più alto sale la bandiera rossocrociata, nell’aria risuonano le note del salmo svizzero. Nello stadio migliaia di fan cantano: «Quando bionda aurora – Trittst im Morgenrot daher – Sur nos monts, quand le soleil – En l’aurora la damaun…». Sulle guance dei due omoni, commossi come due bimbi nel giorno della prima Comunione, scendono alcune lacrimucce.
Alex e Beat faticano a trattenere i singhiozzi. L’emozione, sul palco, nella piazza e nelle case, si taglia a fette grandi come un panettone da dieci chili. Fantastico! Siamo fieri! Siamo con voi! Viva la Svizzera!
Invece no! Quel giorno, sul gradino più alto del podio ci salirono Alexander Zubkov e Alexey Voevoda, e le note che si diffusero, furono quelle dell’inno russo, le stesse dell’ex trionfale inno sovietico. Beat e Alex si portarono a casa la medaglia d’argento. Punto. Fine della storia. C’è stata tuttavia un’importante appendice. La nazionale russa, ai Giochi Olimpici di Sochi fu travolta da un mega scandalo doping. Molti atleti furono in seguito squalificati. Nel frattempo Zubkov era stato persino eletto alla presidenza delle Federazione Russa di Bob e Skeleton. Ma la giustizia continuava il suo corso. Senza guardare in faccia a nessuno. Per oltre cinque anni.
Dal canto loro Hefti e Baumann avevano proseguito la loro onestissima carriera fino allo scorso anno. Solo pochi giorni fa sono stati risarciti del torto. Nella piccola località appenzellese di Schwellbrunn, Swiss Olympic ha finalmente consegnato loro la meritatissima medaglia d’oro. Si è trattato di una cerimonia semplice, fra amici, parenti e qualche fan. Le emozioni, le lacrime, i singhiozzi, oramai erano già stati rubati.
Una storia analoga, l’ha vissuta anche Christopher Froome. Nel 2011, il fenomenale britannico, allora 26enne ancora a digiuno di successi importanti, era giunto secondo nella classifica finale della Vuelta di Spagna, nonostante avesse dovuto fungere da gregario per il capitano del Team Sky, Bradley Wiggins. Quella corsa la vinse Juan Josè Cobo, per soli 13’’ su Froome. A gran parte degli osservatori, quel podio non quadrava. Come era possibile che il corridore spagnolo, che fino ad allora si era accontentato di pochi traguardi parziali, riuscisse ad addomesticare fino all’ultimo metro uno dei tre Grandi Giri? Ma, del resto, con i sospetti, non si va lontano.
Tuttavia, col tempo, i sospetti si sono trasformati in prove, le prove in verdetti. Cobo è stato squalificato, e, otto anni più tardi, Froome ha visto il suo nome apparire in classifica accanto al numero 1. Non escludo che se ne faccia un baffo di questo successo ottenuto a posteriori, un campione come lui, che in seguito ha vinto quattro Tour de France, un Giro d’Italia e una Vuelta di Spagna. Comunque giustizia è fatta. Una giustizia che invece non è riuscito a ripristinare il Tour de France. I sette trionfi consecutivi di Lance Armstrong, grande guru del doping di squadra, sono stati semplicemente cancellati, spazzati via dalla classifica e nessuno di coloro che si erano piazzati al secondo posto, si è visto indennizzare per il danno subito. Perché chi aveva conquistato il posto d’onore, tra il 1999 ed il 2005, era stato a sua volta coinvolto in storie di doping, e i terzi classificati non erano certo dei verginelli in materia.
Morale: per sette anni, sugli Champs Elysées, al termine della Grande Boucle, sono state dispensate emozioni fasulle, «taroccate», rubate a chi, gareggiando senza barare, avrebbe potuto viverle pienamente.
Sorge spontaneo chiedersi se, oltre ad essere stralciato dalle classifiche, chi truffa nelle competizioni sportive non debba passare alla cassa per pagare una sorta di IPSDE, Indennizzo Per Sottrazione Di Emozioni. E sarebbe ancora poco. Chi viene gabbato, oltre a perdere attimi imperdibili e spesso irripetibili, ne esce penalizzato anche dal punto di vista della sua forza contrattuale poiché, per quanto banale possa sembrare, un Campione olimpico tira più di un Vice Campione.