La vita aveva altri piani per me

La lunga, quotidiana lotta per condurre una vita normale ed essere visti e considerati al di là della propria disabilità: l’esperienza di un’ex studentessa statunitense, rimasta in Ticino dopo l’incidente che l’ha menomata
/ 09.04.2018
di Natascha Fioretti

Zuleika Tipismana è una donna dall’eleganza innata con un sorriso e due occhi che vanno dritto al cuore. Originaria del Queens, New York, nata in una famiglia ispanica, i suoi tratti caldi e i suoi capelli corvini non mentono, vive a Lugano, lavora alla scuola americana TASIS, dove si occupa della sezione Alumni, e cura un sito di viaggio, Z-Travel. Quando ci incontriamo nel suo appartamento a Paradiso è da poco di ritorno da Pune, in India. «Questo viaggio per me è stato come raggiungere il culmine di un percorso iniziato quindici anni fa. È stata un’esperienza incredibile della quale sentivo la necessità per provare a me stessa di potercela fare da sola. Non sarei mai stata in grado prima, è stato il mio percorso di guarigione a portarmi sin qui, a darmi il coraggio di uscire dal mio ambiente confortevole e ad essere indipendente».

Conoscere una cultura diversa, fare yoga, meditazione le ha dato una grande energia, ma all’inizio non è stato facile: «Da quelle parti non sono abituati a vedere una persona con disabilità e quando arrivi in carrozzina li senti subito dire: oh poverina questa ragazza! E mi sono ricordata di come era all’inizio qui in Ticino. Ma ho imparato come comportarmi: devo fare in modo che le persone intorno a me sappiano chi sono, dare loro la possibilità di andare oltre ciò che vedono, oltre i limiti, oltre la disabilità. Così quando incontro delle persone che mi guardano in modo strano non mi tiro indietro ma gli vado incontro, le saluto, gli sorrido. Ho fatto lo stesso in India e dopo qualche giorno tutti erano gentili e disponibili. Come dice Gandhi, nella vita dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo». 

Zuleika Tipismana ha 35 anni ed è arrivata a Lugano che ne aveva 21. Il suo progetto era quello di fare quattro mesi di studio all’estero come previsto dal suo corso di laurea in Scienze della comunicazione. Ma un giorno la sua vita prende una piega inaspettata. In stazione a Lugano, con un gruppo di amici, aspetta il treno diretto ad Amsterdam. Il treno è in ritardo e Zuleika per un attimo si allontana dal binario. Quando torna il treno non solo è arrivato ma sta anche ripartendo così corre per non perderlo, ma inciampa e cade. Al suo risveglio in ospedale, tre giorni dopo, le mancano il braccio e la gamba destra. «Sono venuta qui al Franklyn College per studiare qualche mese e alla fine sono rimasta quindici anni. Non lo avrei mai detto, allora tutta la mia vita e i miei progetti erano a New York. Sognavo di lavorare in televisione o in radio, ma la vita aveva altri piani per me. È stata dura accettare la realtà, realiz-zare che devi ricominciare da zero, che i tuoi piani non esistono più, che non potrai mai più camminare senza un bastone».

A questo punto faccio a Zuleika la classica domanda che ingenuamente le fanno tutti, così mi dice lei ridendo, quella domanda che solo chi non ci è passato può fare: qual è stato il momento in cui tutto è cambiato? «Non c’è stato un momento, non c’è un punto specifico nella vita in cui tutto, all’improvviso, cambia. C’è invece una sequenza di piccoli attimi di felicità che sommati, poco alla volta, ti portano più in là, oltre l’esperienza dolorosa e ti dici: mi merito più di questo». 

A darle una spinta sono stati i suoi amici, i suoi colleghi di studio. Zuleika li vedeva andare avanti, laurearsi, iniziare a lavorare e si chiedeva «E io cosa faccio qui?». Anche lei aveva la voglia e il diritto di laurearsi, viaggiare, vivere: «ero così giovane, avevo solo 21 anni». Così dopo i lunghi mesi in ospedale, i periodi di depressione e di smarrimento, si è fatta forza e, grazie anche ad una serie di casi fortuiti, è riuscita a ricostruirsi una nuova vita. Una donna in particolare, conosciuta in ospedale grazie ad un’amicizia in comune, le ha dato un grande sostegno proponendole di andare a vivere con lei nella sua casa a Carona per qualche tempo. Unica condizione: finire gli studi. All’inizio era difficile persino uscire a fare la spesa al supermercato, poi una sfida alla volta, Zuleika si è resa conto di potercela fare. Si laurea e poco dopo un’amica dell’associazione American Woman Ticino le dice che la Scuola americana a Lugano offre un posto di lavoro. Zuleika si propone e tre colloqui dopo il posto è suo.

Oggi Zuleika lavora alla TASIS e ha tanti progetti per la testa. Curare il suo blog Z-Travel raccontando i suoi viaggi di persona con disabilità, ma anche la sua quotidianità, i suoi alti e bassi. Vuole prendere la patente, per ora si affida al servizio TI trasporto che l’accompagna e va a prendere al lavoro. A settembre andrà in Grecia per imparare a fare immersioni. Ma l’apparenza non deve ingannare chi le braccia e le gambe le ha: «credo che le persone non riescano a comprendere l’impegno, lo sforzo che ogni giorno facciamo per prenderci cura di noi, vestirci, uscire, fare le cose più semplici. La mattina quando mi sveglio senza le protesi per prima cosa salto sulla mia carrozzina, vado in bagno, grazie a delle maniglie mi sollevo e mi siedo su una sedia nella doccia. Non sono gesti comodi e prendono tanto tempo, ma impari a farci l’abitudine e alla fine diventa naturale come respirare».

Tra i tanti sentieri che Zuleika ha percorso, uno è quello di accettazione: «Ci sono momenti in cui vorrei camminare o ballare sulla sabbia, alzarmi e correre via, ma so che non posso. Dicono che perdere un arto sia come perdere un bambino. Non riesci mai a superare la perdita e c’è una parte di te che, di quando in quando, vuole piangere e portare il lutto. Così permetto a me stessa di farlo e non combatto questi sentimenti ma li accolgo».

E alla fine anche l’India le ha lasciato qualcosa, le ha ricordato l’importanza «di abbracciare l’unicità che c’è in ciascuno di noi, dobbiamo fare di tutto per risplendere e distinguerci per ciò che siamo. Ed è ciò che ho in mente di fare».