Signora Widmer-Schlumpf, Lei aveva dichiarato che dopo le dimissioni dal Consiglio federale si sarebbe ritirata dalla vita pubblica. Perché ora fa un’eccezione con la presidenza di Pro Senectute?
All’epoca dissi che mi sarei presa circa un anno di tempo per decidere cosa avrei fatto in seguito. Nel frattempo ho scelto tre ambiti in cui impegnarmi: il principale e più importante è Pro Senectute. Mi ha sempre interessato quel che si può fare per avere una vita piena anche dopo essere andati in pensione. Inoltre, nei Grigioni sono impegnata nell’assistenza ai giovani e ai bambini con difetti cardiaci, anche perché noi stessi ne abbiamo uno con questo problema.
Le questioni poste da Pro Senectute le stanno particolarmente a cuore?
Sì, perché dobbiamo fare in modo che le generazioni conservino una reciproca comprensione. Io stessa sono stata educata così. I nonni hanno ricoperto un ruolo centrale durante la mia infanzia, perché accudivano noi bambini e aiutavano anche i nostri genitori quando erano troppo oberati. In seguito anche mia madre mi ha molto sostenuto con i miei figli, altrimenti non avrei proprio potuto realizzare il mio modello di vita. Se le generazioni restano vicine, tutti ne approfittano. E impariamo anche dai bambini: quando un giorno dissi ai miei genitori che dovevano fare così e basta, intervenne mio figlio che allora aveva 10 anni, dicendomi: «Mamma, adesso devi veramente avere più pazienza con i nonni». Aveva capito meglio di me la loro situazione.
Dunque è coinvolta soprattutto per motivi personali ?
Non solo. La politica degli anziani e la previdenza per la vecchiaia mi hanno sempre interessato, in particolare per le questioni sociali che ne derivano.
Cosa fa esattamente come presidente di Pro Senectute?
I miei compiti sono variegati: organizzo e dirigo le riunioni del Consiglio di fondazione, curo i contatti, collaboro ai progetti.
Ha qualche obiettivo preciso che vorrebbe raggiungere?
Continuare sulla strada tracciata e dare il mio contributo affinché l’organizzazione si adatti alle esigenze in continua trasformazione. Oggi le persone anziane restano in salute molto più a lungo di prima e allora vogliono restare a casa loro anche se sono già molto vecchie. Perciò dobbiamo continuare a sviluppare sempre nuove forme di sostegno.
Per esempio?
Esistono già progetti pilota, ad esempio forme di coabitazione intergenerazionali, in cui fondamentalmente vengono simulate le famiglie numerose di una volta. Mi sembra molto promettente anche la cosiddetta «previdenza tempo», nell’ambito della quale gente giovane o anche giovani anziani assistono persone molto vecchie e come compenso ricevono degli accrediti di tempo da utilizzare a loro volta durante la vecchiaia, quando avranno bisogno di assistenza. Un approccio interessante. Oggi dobbiamo ripensare quello che dovrebbe essere realizzato domani. Se si pensa che nel 2030 gli ultraottantenni che vivranno in Svizzera saranno il doppio di adesso, diventa subito chiaro che ci vogliono anche molti volontari per garantire il sostegno necessario. Organizzazioni come Pro Senectute svolgeranno un ruolo importante in questo campo.
Funziona ancora la solidarietà tra generazioni?
In seno alle famiglie questa solidarietà funziona sicuramente, forse anche più di prima. Per molti nonni dare una mano è qualcosa di ovvio. Per contro a livello di società, ossia in un contesto extra-familiare, sembra che ci sia una maggiore tensione fra le generazioni. Non è una novità, ma di nuovo c’è l’intensità con cui se ne discute. Dobbiamo dedicarvi più attenzione. Anche qui però ci sono già progetti interessanti, come quello in cui scolari e studenti insegnano a usare il computer o l’iPad a persone ultrasettantenni.
Usa anche lei questi dispositivi?
Sì, e anch’io ho approfittato molto dei miei figli, che mi hanno sempre aiutato. Non sono, invece, su Facebook e Twitter, perché non sento il bisogno di mostrarmi ed esprimermi continuamente in pubblico. Quando desidero farlo, ci sono altri canali a disposizione.
Quest’anno Pro Senectute compie 100 anni. Qual è la cosa più importante che ha fatto?
La fondazione è stata fondamentale per l’introduzione dell’AVS e in seguito del secondo pilastro. Una volta garantita la previdenza di base, c’è stata la creazione dei vari servizi per gli anziani come li conosciamo oggi, dai corsi di sport fino all’assistenza per la dichiarazione dei redditi e all’offerta di pasti. Il tutto con l’idea di fare invecchiare a casa propria il numero più alto possibile di anziani, possibilmente in modo autonomo e senza isolarli.
Anche i più poveri possono permettersi queste prestazioni?
Le tariffe sono veramente basse, così che tutti possono permettersele. Per esempio, nel canton Lucerna un’ora di ginnastica costa 5 franchi, mentre ci si può far compilare la dichiarazione fiscale a partire da 50 franchi.
È contenta della decisione del Parlamento sulla riforma della previdenza per la vecchiaia?
Sì, ci vuole assolutamente un pacchetto unico, con una riforma complessiva del primo e del secondo pilastro, affinché ci sia anche una certa equità sociale. Ora però la questione cruciale è come convincere i giovani che questo sistema è talmente buono che potranno beneficiarne in futuro. Adesso è fondamentale dare un segnale che siamo già oggi in grado di realizzare un progetto così vasto e importante. Beninteso, non si tratta di qualcosa per gli anziani di oggi, ma per coloro che raggiungeranno l’età di pensionamento fra dieci, venti o trent’anni.
In politica è diventato difficile realizzare grandi progetti?
Sì, sembra proprio che sia diventato tendenzialmente più difficile trovare soluzioni orientate al futuro e non solo per i problemi del momento. Invece di discutere l’attualità fino allo sfinimento, faremmo meglio a confrontarci con quello che sarà importante tra cinque o dieci anni. È proprio ciò che tenta di fare questa riforma. La mia strategia personale a Berna è sempre stata quella di contribuire a trovare soluzioni, anche se forse non erano ottimali sotto ogni aspetto. La cosa fondamentale è che incontrino l’approvazione della maggioranza. Una decisione che forse sarà necessario modificare in seguito è sempre meglio di nessuna decisione.
Quanto è forte l’influenza di Pro Senectute su dibattiti del genere?
Pro Senectute si è impegnata molto per il successo della riforma dei due pilastri previdenziali in un pacchetto unico. Ha fornito documenti e calcoli e ha discusso animatamente.
La sua influenza cresce se al vertice c’è un’ex consigliera federale?
Era già buona grazie all’ampia rete di contatti della fondazione, come ho potuto constatare di persona quando ero in politica. Non è quindi decisivo chi ne è alla testa.
Che Lei sia ancora influente lo dimostra il suo intervento in occasione della votazione sulla riforma fiscale delle imprese a febbraio. Alcuni ritengono che la sua presa di posizione abbia gettato le basi per il successo del no.
Le fondamenta erano già state gettate in Parlamento. Ed io non ho dato alcuna indicazione di voto. L’impatto mediatico mi ha sorpresa, soprattutto perché altri ex consiglieri federali continuano ad esprimersi sui temi d’attualità.
Pensa che adesso sarà trovata una soluzione migliore?
Non desidero aggiungere niente sulla questione.
Quanto tempo resterà alla presidenza di Pro Senectute?
C’è un chiaro limite temporale: due mandati di quattro anni ciascuno. In quel caso avrò 69 anni e non posso dire già oggi se resterò in carica così a lungo. Negli Stati Uniti, comunque, si può diventare presidente anche a 70 anni.
Segue anche la politica internazionale?
Con grande interesse e sono ancora in contatto con qualche ex collega ministro.
L’odierna situazione mondiale la preoccupa? O si tratta solo di un’altra fase destinata a passare?
È davvero preoccupante. Bisogna diventare consapevoli che questa fase di pace e stabilità di cui abbiamo goduto dopo la seconda guerra mondiale anche grazie all’Unione Europea, non è assolutamente scontata. Oggi stiamo vivendo uno sviluppo che ci porterà molta inquietudine e molte domande, soprattutto per i giovani. Io appartengo alla generazione che probabilmente ha trovato la situazione migliore della Storia. Dopo gli studi potevamo scegliere il posto di lavoro, non dovevamo mai preoccuparci del lavoro, si andava sempre più avanti e più in alto. Abbiamo vissuto in modo molto privilegiato e questo comporta l’obbligo per la mia generazione di preoccuparsi di cosa succederà alla prossima generazione. Dovremmo almeno evitare di caricarla ulteriormente.
Come è equipaggiata la Svizzera per far fronte all’attuale instabilità politica internazionale?
Abbiamo uno dei migliori sistemi politici in assoluto, perché è concepito per avere un saldo equilibrio. Forse il pendolo oscilla da una parte o dall’altra, ma alla fine si rimette sempre in equilibrio. Ciò garantisce un’enorme stabilità, che è d’aiuto anche durante questi tempi difficili. È anche per questo motivo che la Svizzera è così attrattiva per le grandi imprese, ancor più che per le imposte basse.
Come ha trascorso la Festa della donna?
Partecipando a una tavola rotonda in Turgovia. Si trattava, fra l’altro, dell’importanza di non mettere in contrapposizione tra loro i vari modi di vivere. E naturalmente, per quanto riguarda la parità uomo-donna, non siamo ancora là dove dovremmo essere. Lo saremo solo quando un uomo, se vorrà, potrà essere un casalingo e un papà a tempo pieno, mentre una donna non dovrà più giustificarsi se esercita un’attività professionale.
Quanto ci vorrà ancora?
Penso che attualmente stiamo di nuovo rallentando un po’. A maggior ragione è più importante che mai continuare a discutere di questi temi. Così i giovani sono spronati a rifletterci bene quando iniziano una relazione. Si dovrebbe affermare le proprie aspettative e i propri desideri e non semplicemente sperare che in qualche modo funzionerà.
Le manca qualcosa del Consiglio federale?
Le fasi delle mia vita passata sono ormai concluse, non guardo molto all’indietro, preferisco guardare avanti. Nel complesso è stato un bel periodo.
Dopo la sua elezione in Consiglio federale l’UDC ha mantenuto una certa ostilità nei suoi confronti. Ciò le ha reso la vita difficile o è diventato un punto a suo favore?
Mi ha creato difficoltà, ma ho imparato a conviverci. Nelle commissioni e in Consiglio federale sono riuscita a lavorare con professionalità anche con l’UDC.
Dove trova sostegno in certe situazioni difficili?
Penso che ho i piedi ben piantati per terra e questo mi aiuta a prendere le distanze e a capire la differenza tra questioni personali e di sostanza. Naturalmente, la mia famiglia mi ha sempre appoggiato e sostenuto come madre lavoratrice. Sebbene facessi volentieri la casalinga, e la faccio tuttora, consideravo importante e prezioso quel lavoro, anche per la mia cerchia familiare. Già prima di sposarci ho discusso con mio marito in quale ambito ognuno di noi desiderava portare il proprio contributo. Per me era chiaro: ci doveva essere sempre abbastanza tempo per i bambini, altrimenti qualcosa sarebbe andato storto.
E oggi cura i suoi nipotini.
Regolarmente. Li tengo molto volentieri e mi danno molto, anche se talvolta è faticoso. Di recente ho detto al piccolo di cinque anni: ascolta, sono vecchia ed ora mi devi lasciare un po’ tranquilla. Da allora mi chiede sempre se oggi sono vecchia oppure se possiamo fare qualcosa assieme. (ride)
Li cura anche suo marito?
Ha sempre dato una mano anche con i nostri figli. Trascorro da sola con i miei nipoti un giorno fisso alla settimana, ma regolarmente li teniamo a casa nostra e in quel caso si impegna molto anche mio marito. Lui è ancora nel pieno della sua vita professionale…
E cosa fa con i bambini?
Un sacco di musica. Abbiamo l’organetto svizzero, una pianola, un pianoforte, un clarinetto, flauti e tamburi…
Sa suonare tutti quegli strumenti?
Suono il pianoforte, la pianola e il flauto. Agli altri strumenti ci pensa mio figlio, che ha studiato musica. Ovviamente i bambini non sanno ancora realmente suonare, facciamo unicamente un po’ di baccano tutti assieme. A loro piace moltissimo. Altrimenti andiamo fuori e ci muoviamo. Sono una persona di movimento.
Ha già parlato con la sua famiglia di cosa si aspetta quando un giorno anche Lei avrà bisogno d’aiuto?
Sì, ne discuto in continuazione con i miei figli. È importante che si impari a parlare apertamente anche di cose che non sono forse molto piacevoli. Con mia madre ho visto dove sono i limiti di curare qualcuno a casa. Se si dipende al 100% dal bisogno di cure, queste di solito non possono essere fornite interamente dalla propria famiglia, perché ci vuole del personale qualificato. Perciò, finché mio marito ed io saremo nella possibilità di muoverci ci lasceremo aiutare volentieri dai nostri figli, come a nostra volta abbiamo fatto con i nostri genitori e con i nonni. Se però la situazione peggiora, assumeremo un aiuto professionale e non graveremo sulla nostra famiglia. Pro Senectute può essere di grande aiuto proprio in situazioni del genere.
A quanto pare da giovane Lei era una punk: con tutti gli annessi e connessi?
Sì, quando ero al ginnasio mi truccavo in modo piuttosto pesante. (ride) Per i miei genitori erano tempi duri.
Il punk è sinonimo di ribellione: ne è rimasta un po’ in Lei?
Forse nel mio modo di lottare per qualcosa che ritengo giusto e importante. Allora mi ci butto anche se va controcorrente.
Qualche volta ascolta ancora la musica punk?
Questo no. Ma il mio spettro musicale è piuttosto ampio, va dalla classica al jazz fino alla musica folcloristica. E quando i miei nipoti sono da me, a volte ascoltiamo la musica ad alto volume, che è perfetta per scatenarsi.
* Redattori di Migros Magazin