La salvezza verrà dal paywall?

Media Il «CdT» investe nell’offerta online, ma il futuro della stampa rimane incerto
/ 14.01.2019
di Enrico Morresi

Con una bella foto in prima pagina, il 4 dicembre 2018 il «Corriere del Ticino» annunciava la creazione di una newsroom, cioè di una redazione integrata che proporrà al lettore contenuti di qualità anche sul rinnovato portale cdt.ch. A chi fosse curioso del retroscena segnalo un articolo di Gerhard Lob, corrispondente dal Ticino di varie testate della Svizzera tedesca, pubblicato sul sito online «Medienwoche» il 6 dicembre 2018 («Paywall-Premiere im Tessin: “Corriere del Ticino” baut und stuft Zeitung zurück»). Ma quel che interessa qui è l’adozione – la prima volta in Ticino – del paywall, cioè dell’offerta a pagamento di articoli e servizi leggibili finora solo sull’edizione cartacea.

Chiarisco il concetto per chi… non mastica l’internettese. Fino a pochi anni fa dei giornali esisteva solo la versione a stampa, che si comprava all’edicola oppure ci veniva recapitata in casa. Gli abbonati pagavano un abbonamento. Questo modo di fruizione vale ancora ma la diffusione del cartaceo (la tiratura, in senso classico) tende a stagnare, mentre si diffonde la lettura sul computer, sul tablet o sul cellulare, cioè online. Sul sito web del «Corriere» si poteva già accedere gratis alle notizie del giorno, godendo della tempestività con cui le notizie sono messe in rete, talvolta integrate da foto e piccoli filmati. Questo servizio era gratis, ma non comprendeva gli approfondimenti, cioè l’editoriale, le inchieste, gli articoli lunghi. Ora, pagando, si possono ricevere via web anche quelli, mentre gratis rimane l’offerta di base (le notizie). Si intende andare incontro così a chi il giornale vuole leggerlo tutto anche solo in rete.

Sul successo o l’insuccesso del paywall gli editori di giornali per ora sono abbastanza discreti: si direbbe che un’opinione definitiva non se la siano ancora fatta. Il paywall è offerto dai grandi giornali americani ed europei (compresi «Corriere della Sera» e «laRepubblica»). Ed è significativo che sia stato adottato anche da testate fruibili solo online, come «Médiapart», «Huffington Post», «Correctiv». Ma Lugano (si può obiettare) non è New York: vi saranno persone disposte a pagare per un giornale che si può ancora leggere al bar più vicino? Rispondo che al «Corriere del Ticino» avranno fatto i loro calcoli... e gli auguri sono perlomeno dovuti.

Ma la novità è importante anche per un altro aspetto. Questa offerta giornalistica coraggiosa e generosa è rivolta anche a chi non legge (o non legge più) i giornali di carta, ma porta in giro il tablet o lo smartphone e desidera così tenersi informato su un po’ di tutto: dai programmi del cinema al menu del ristorante in cui vuol prenotare un tavolo. I servizi offerti con il paywall tendono a raggiungere i lettori più esigenti, tra essi ovviamente i cittadini-elettori. E poiché la democrazia è un regime esigente, la domanda è: sarà efficace l’online per migliorare l’informazione del cittadino? Oppure gli utenti di tablet e smartphones li usano per tutt’altro? Una constatazione poco rallegrante l’ha fatta «le Monde» mandando i suoi giornalisti a intervistare i gilet jaunes che presidiavano i blocchi stradali. Dalle interviste raccolte e pubblicate si apprende che quasi nessuno usava quegli apparecchi per accedere ai siti dei giornali, e neppure alla radio o alla televisione. 

È un popolo che frequenta piuttosto i social media, Facebook, Twitter, Google: informazioni ridotte ai minimi termini, non verificate e spesso inquinate da fake news, cioè da notizie false oppure manipolate. Ai giornalisti di «Le Monde» fu mostrata per esempio una notizia che dimostrava come il comunicato della polizia francese sulla strage di Strasburgo fosse stato pubblicato qualche minuto prima della sparatoria ai mercatini, prova del tentativo di Macron di distogliere l’interesse dall’agitazione! Finché, guardato bene il sito da cui proveniva l’imbarazzante news, si scoprì una differenza di fuso orario: la prova provata che l’interpretazione complottista non stava in piedi.

In Svizzera saremmo migliori dei francesi? Il dato fornito dal più recente studio dell’Università di Zurigo sul consumo di notizie taglia corto alle illusioni: il 36% dell’insieme dei cittadini svizzeri e il 53% delle persone tra i 16 e i 29 anni non «consuma» notizie: né stampate né online. Mai, punto e basta. Servirà il paywall – che implica un sacrificio finanziario per migliorare il proprio grado di informazione – per ridurre il numero dei newsdeprivierter (ossia dei non-interessati alle notizie)? 

Il grado d’informazione dell’elettorato tende a calare quasi ovunque in Europa. Vi concorrono non solo il declino della stampa d’opinione ma anche altri sviluppi della società: per esempio la diminuita incidenza dei corpi intermedi (i partiti, i sindacati), che un tempo pure editavano giornali ed erano luoghi di apprendimento della democrazia e del suo esercizio. Su questo punto da anni insiste l’ex consigliere di Stato Alberto Lepori: ora in particolare con l’opuscolo Riflessioni e proposte per una politica alta (edizioni del «Popolo e Libertà», Locarno 2018), che nasconde un’ironia feroce: raccoglie infatti gli articoli che l’ex consigliere scriveva per «Pegaso», la rubrica di approfondimento che il «Popolo e Libertà» ha soppresso.

Non può soddisfare, allora, la giustificazione del Consiglio federale (purtroppo spalleggiata dall’associazione degli editori di giornali), che spiega l’impossibilità di finanziare la stampa con la mancanza di un articolo costituzionale specifico. Parlamentari sono per fortuna all’opera per rimediare alla lacuna. Rimane da augurarsi che si vi arrivi prima che la moria delle testate riduca il mondo dell’informazione allo stato delle foreste delle Dolomiti devastate dal «tornado».