La rinascita nelle azioni quotidiane

Incontri – Il campione paralimpico di basket Ian Sagar si racconta in un libro, aspettando Tokyo 2020
/ 26.08.2019
di Natascha Fioretti

Sul campo da basket e nella vita Ian Sagar è un giocatore che picchia duro e non si accontenta. I limiti, se ve ne sono, non lo spaventano, anzi, sono uno stimolo ad andare oltre «Non c’è un soffitto nella vita, se hai volontà e costanza, alle stelle puoi arrivare». E lui, come ci racconta nel libro scritto a quattro mani con il giornalista italiano Alessandro Camagni Le mie vite in gioco uscito per add editore, alle stelle ci è arrivato o, comunque, ci è andato molto vicino. Il suo prossimo obiettivo è quello di migliorare il bronzo conquistato a Rio alle prossime paralimpiadi di Tokyo nel 2020. Nato a Sheffield, un paesino del profondo nord inglese, forgiato un tempo dall’acciaieria Wombwell Foundry che oggi come molte altre non esiste più, credeva che il suo destino sarebbe stato quello di tanti altri suoi coetanei: lavoro in fabbrica, serate al pub o in discoteca con gli amici e una famiglia. Poi, il 23 settembre del 1999, sale sul motorino nuovo di un amico per fare un giro di prova. Non si allaccia bene il casco, va veloce e finisce contro un muro. Al suo risveglio nel centro di unità spinale non muove più le gambe.

Per Ian Sagar e la sua famiglia inizia una nuova realtà ma le difficoltà che potrebbero mettere al tappeto chiunque tirano fuori il lato forte del carattere del diciassettenne. «Imparai sempre meglio a fare i conti con le mie reali capacità e durante una di quelle giornate passate a pensare mi promisi che avrei iniziato a combattere e che lo avrei fatto come mai prima d’allora. Testa bassa e lavorare, senza pensare troppo a cosa era o a cosa sarebbe successo». Grazie alla sua forza di volontà e all’incontro con il basket Ian Sagar oggi è un atleta di successo. Tre volte campione di basket in carrozzina con la nazionale inglese ha vinto il bronzo paralimpico a Rio nel 2016. Dopo due anni nel campionato spagnolo, nel 2013 è approdato alla Briantea84, la società di Cantù che da anni è al vertice del movimento cestistico in carrozzina italiano. E pensare che lui non era uno sportivo, l’incontro con il basket è avvenuto durante il suo percorso di riabilitazione ed è stato amore a prima vista: «Non era per niente come lo avevo immaginato. Era esaltante. Contatti, agonismo, azione. In due parole: sport vero… La gente si scontrava, sudava, cadeva. Si sentiva il rumore del ferro delle carrozzine che sbattevano tra loro. Era qualcosa di realmente duro, non un gioco per disabili».

Naturalmente, entusiasmo a parte, gli inizi sono stati tutt’altro che semplici «quando misi le ruote sul linoleum della palestra fu un mezzo disastro, anzi un disastro totale. Avevo sì imparato a muovermi su una carrozzina, ma ancora dovevo prendere dimestichezza con il mezzo, e quando mi legai con la cintura di sicurezza a quella curiosa carrozzina speciale, con le ruote curvate all’infuori mi trovai qualcosa di ben più complesso rispetto a quanto avevo visto e immaginato. La sensazione era straniante». Devo dire, di tante esperienze e di tante vite, quella professionale ad esempio in cui vediamo un Ian Sagar audace che a soli 25 anni ha la sua azienda, la Ian Sagar Mobility, che si occupa della vendita al dettaglio e del montaggio di control per automobili, a colpirti in modo particolare è il racconto del suo e del nostro rapporto con la carrozzina.

«Ancora oggi capisco che, mentre parlo con molte persone, per loro faccio parte di un mondo distante e vedo che non guardano me, ma la carrozzina, come se non riuscissero a puntare gli occhi sui miei. Adesso mi sono accettato e ho accettato anche lei, la mia carrozzina, e me ne prendo cura come farei con una gamba o un braccio». Quando lo incontro nella sua casa di Mariano Comense dove da poco si è trasferito con la sua famiglia e mi dice «ogni cosa sta andando a posto, i tasselli della mia vita si sono ricomposti» a colpirmi sono la sua energia e la sua forza. Ian Sagar è una persona dirompente, coraggiosa, il sudore e la fatica non lo impressionano, anzi, fanno parte del gioco, quel gioco che lui prende seriamente perché non vuole essere un numero, gioca per essere il migliore. E, al contempo, è concreto, tiene i piedi per terra e ammette «la rinascita personale passa attraverso le azioni più semplici, quelle di tutti i giorni».

Determinanti per la sua rinascita sono stati anche gli amici: «quando la sera venivano a prendermi a casa per uscire e io dicevo di non essere in forma non sentivano ragioni mi prendevano, mi caricavano in auto, e mi portavano con loro. Con il loro carattere nordico non facevano domande personali per capire il mio stato d’animo, la loro dimostrazione di amicizia stava nel non lasciarmi mai da solo, nel farmi sentire parte del gruppo. Andavamo insieme ai concerti, al cinema e alle feste. Il loro supporto e la loro amicizia sono stati fondamentali per il mio recupero, il loro modo di fare e di coinvolgermi mi ha insegnato a non arrendermi e a dire piuttosto: perché non provare?».

Oggi niente sembra poterlo fermare. Presto inizieranno gli allenamenti in Inghilterra per le paralimpiadi di Tokyo, a ottobre nascerà suo figlio e proprio in questi giorni si è iscritto a un corso di canoa sul lago. Ian Sagar è felice: «È inutile dannarsi troppo, basta capire che la felicità passa da altro, tanto altro, e una volta che ci arrivi ti accorgi che molti discorsi su abile e disabile hanno poco senso, perché tutto dipende dal punto da cui ognuno di noi vuole guardare le cose. Quindi, alla fine, dipende da noi».