Bigliografia 

- Gabriele Peroni, Trattato di Fitoterapia Driope, Nuova Ipsa editrice.
- Bernard Erio e Nard Ezia, Il quaderno delle tisane di una volta. Decotti e infusi per star bene, Kellerman editore.

Esemplare di pianta essiccata e pressata della specie Equisetum arvense L. (Università di Neuchâtel - Herbarium project)

La pianta più antica del mondo

Fitoterapia - L’aiuto che ci dona l’equiseto (Coda Cavallina) giunge dalla notte dei tempi
/ 19.02.2018
di Eliana Bernasconi

Trecento milioni di anni or sono, nell’era carbonifera era un albero di 30 metri di l’altezza. Tracce della sua tipica struttura sono state rinvenute nei resti fossili. Oggi, pur essendo la pianta più antica del mondo, non ha di certo un aspetto imponente: è una pianticella di poche decine di centimetri, sottile e fortissima, quasi secca al tatto. 

Cresce sui terreni umidi delle zone campestri, lungo i fossati, nei boschi, ai lati delle strade. Non ha subìto altre mutazioni: la sua struttura, come quella delle felci, è identica a milioni di anni or sono. Gli studiosi ritengono che la maggior parte della vegetazione che a quei tempi popolava la terra fosse costituita proprio da piante di questo tipo. 

Della famiglia delle Equisetaceae, (nome volgare: «Coda cavallina») Equisetum arvense L. deve il suo nome al latino equus (cavallo) e seta (setola, crine), per i sottili rami che ricordano il crine di un cavallo, arvense deriva invece dal latino arvum (campo), con riferimento al suo habitat di crescita. Inconfondibile la geometria perfetta della sua struttura, i fusti cavi scanalati longitudinalmente, dello spessore di 1-5 mm sono suddivisi in segmenti con nodi e internodi avvolti in guaine fogliari scagliose, in corrispondenza delle quali escono delle tipiche punte lanceolate a quattro coste. Non ha fiori ma spore: sporifica da ottobre a maggio. Dal punto di vista filogenetico, l’equiseto è una pianta ancor più primitiva delle angiosperme, che non hanno organi sessuali. 

L’azione terapeutica di tutte le piante utilizzate in fitoterapia è data dalla presenza di sostanze chimiche dette principi attivi che agiscono in modo più o meno incisivo sui processi biochimici del nostro organismo. L’equiseto, pianta interessante dal punto di vista etnofarmacologico, ne è molto ricco: racchiude in primis il silicio e poi molto altro, come ad esempio calcio, magnesio, potassio, sali minerali e tannini che agiscono sulla rimineralizzazione del sistema osseoarticolare e sui tessuti come unghie e capelli; questa pianta è preziosa quindi per curare unghie fragili, perdita dei capelli, osteoporosi, postumi da fratture, artrosi e tendiniti (una favola racconta di gnomi del bosco dalla lunghissima vita che lo impiegavano contro il deterioramento di denti e unghie), e per rinforzare lo scheletro degli adolescenti: agisce sulla cartilagine articolare, sul tessuto osseo e sull’elasticità dei tendini. 

Uno studio italiano del 1995 ha dimostrato che l’assunzione di equiseto in estratto secco con estratto fluido di luppolo ha prodotto una riduzione del dolore e un contemporaneo incremento di attività in pazienti affetti da osteoporosi postmenopausa. Ma la sua fama è anche di essere una pianta di potente azione diuretica, che guarisce le affezioni della vescica e dei reni. Pare che i Sumeri, 5000 anni or sono, lo usassero per gli edemi e le ferite in battaglia. È usato invece come diuretico e nelle affezioni urinarie in Chiapas, Messico; in Brasile è assunto nei casi di anemia; in Cina, dove si chiama mi zèi, l’infuso della pianta intera è usato come astringente nella dissenteria ed esternamente contro varie affezioni oculari che provocano gonfiore, annebbiamento della vista o lacrimazione eccessiva. Secondo alcuni autori avrebbe anche proprietà leggermente allucinogene. 

La pianta ha potere abrasivo dovuto al silicio presente nei fusti e nelle foglie: le donne lo utilizzavano per lucidare i metalli e lo stagno, mentre in agricoltura lo si impiega in preparati naturali utili a nutrire e difendere le piante da malattie fungine e dai parassiti. Troviamo in tutto il mondo 35 specie di Equisetum, qualcuna anche tossica; non è facile distinguerle perché molto simili fra loro, e quindi non è superfluo ricordare il consueto avvertimento: non usare mai incautamente le piante senza le dovute indicazioni di personale specializzato.

Si assume l’equiseto come Tintura madre (che come sempre possiede maggiori quantità di principi attivi e maggiore efficacia delle preparazioni a base di pianta secca), in forma di polvere, come decotto, come estratto fluido e in infuso anche in associazione con altre erbe, l’infuso mostra azione diuretica molto forte e un minore effetto rimineralizzante, mentre il decotto ha azione più rimineralizzante che diuretica. Castore Durante, medico e cittadino romano nel 1684 così ne prescriveva l’uso: «L’acqua applicata con pezzetta tepida sana l’erisipele, le pustole rosse, l’infiammagioni del sedere e de li altri luoghi occulti, e applicata al ventre conferisce alla dissenteria».

Ed ecco un decotto per le unghie fragili: mettere 25 g di equiseto (la parte aerea) a bagno in un litro d’acqua a temperatura naturale per 4 ore, a fuoco lento bollire 20 minuti e lasciare in infusione un paio d’ore; basteranno tre tazze al giorno per invidiabili artigli.