Il Beverly Hills 90210 di noi mamme 45enni con Brenda e Dylan, Kelly e Brandon è ormai davvero storia d’altri tempi. Il 4 marzo 2019 quando nella vita reale è morto Dylan (alias Luke Perry) per tutte è come se, almeno un po’, se ne fosse andato l’amico dell’adolescenza: il primo amore della generazione che il giovedì sera dei primi Anni Novanta restava incollata davanti alla tv per non perdere la nuova puntata attesa per una settimana. Oggi nelle abitudini dei giovanissimi la televisione ha divorziato dal televisore. L’attesa è sparita. Le serie si possono consumare tutte d’un fiato: 10 puntate di fila durante il fine settimana. Ognuno con il proprio tablet può guardare quel che vuole quando vuole. La fruizione di contenuti può essere più che mai individualistica. Al Caffè delle mamme allora, dopo un’occhiata all’inquietante, spaventoso e avvincente Stranger Things e una sbirciatina al fantasy Teen Woof, ci domandiamo: quali sono le conseguenze del consumo on demand che Netflix e Amazon Video stanno portando nella vita degli adolescenti?
Per rispondere al meglio dobbiamo intanto capire che ci troviamo di fronte a una nuova rete televisiva globale su Internet che non possiamo ignorare. È da questa che i nostri figli dipendono. Quando il 6 gennaio 2016 l’amministratore delegato di Netflix Reed Hastings annuncia il lancio dello streaming globale in 130 paesi osserva: «D’ora in avanti i consumatori potranno godere di serie televisive e film senza dover aspettare. Con l’aiuto di Internet mettiamo nelle mani dei consumatori il potere di vederli in qualunque momento, ovunque e su qualunque dispositivo. Niente più attese, niente più confini geografici». Ecco, la rivoluzione oggi è compiuta. Come ben sottolinea nel saggio Che cosa vogliono gli algoritmi (ed. Piccola biblioteca Einaudi. I Maverick, 2018) il docente americano Ed Finn, fondatore del Center for Science and the Imagination dell’Università dell’Arizona, le tre parole chiave sono proprio: «In qualunque momento, ovunque e su qualunque dispositivo».
C’è di più. «Netflix (e gli altri a seguire, ndr) mette in pratica – sottolinea Finn – una miscela di produzione creativa hollywoodiana e di analisi alla Silicon Valley per creare un nuovo modello di impegno artistico basato su intense sedute di consumo di media, il cosiddetto binge-watching (ossia le maratone televisive, ndr)». In sintesi: i produttori televisivi creano prodotti in base ai risultati di algoritmi che permettono di identificare cosa piace a un determinato target e sono in grado di incollare lo spettatore al video per un’indigestione di contenuti.
Così, come spiega ad «Azione» Massimo Scaglioni, responsabile delle attività di ricerca del Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi dell’Università Cattolica di Milano, le serie tv che i nostri figli guardano si possono inserire in due filoni ben definiti: il teen drama e il fantasy. In Stranger Things, arrivato alla terza serie lo scorso luglio e ambientato negli anni Ottanta nell’immaginaria cittadina di Hawkins nell’Indiana, i 12enni Mike, Dustin e Lucas si mettono sulle tracce del loro migliore amico, Will Byers, scomparso misteriosamente: per trovarlo si fanno aiutare da Eleven, una ragazzina con poteri soprannaturali scappata dal laboratorio segreto Hawkins National Laboratory.
Il mistero insieme a sesso, amori, scuola e famiglia, è una costante. Il bel liceale Archie Andrews nella piccola città di Riverdale idealmente ubicata sulla costa Est degli Stati Uniti – e il cui nome dà il titolo a un’altra popolarissima serie Netflix – si trova invischiato nella tragica morte del compagno Jason insieme con gli amici High, Betty, Jughead e la nuova arrivata Veronica di cui s’innamora. E la vita dello studente Scott McCall della Beacon Hills High School, scarsa popolarità e poco successo nella squadra di Lacrosse della scuola, cambia drasticamente quando, una notte, viene morso, come racconta Teen Wolf, da un lupo mannaro e lo diventa a sua volta. Thirteen - 13 anni invece, nato da una storia vera, racconta il bullismo e il tema del suicidio tramite le vicissitudini di Tracy, tredici anni da studentessa modello, trascinata in un baratro di sesso, droga e crimine dalla nuova amica per la pelle Evie, la più sexy e popolare della scuola.
Così sono proprio i giovanissimi i principali consumatori della tv on demand, fino a spingersi, con Il trono di Spade, a guardare gli episodi in lingua originale pur di non aspettare: «Tra i 15 e i 24enni la composizione degli ascolti in inglese è stata al 78%», evidenza Scaglioni che ribadisce: «I contenuti televisivi restano un importante orizzonte di consumo, ma molto più frequentemente secondo modalità differenti rispetto a quelle più tradizionali. L’incidenza dell’on demand è più marcata mentre avanza la disaffezione verso i palinsesti rigidi».
Nell’epoca «allyoucanwatch», l’immagine della famiglia seduta a casa a guardare i programmi insieme sembra destinata a tramontare. Ma – ed è la domanda principale del Caffè delle mamme – tutto ciò è un bene per i nostri figli? «Le serie on demand sono impacchettate in modo straordinario ma, a parte rari esempi, rischiano di fornire modelli di visione omologati che ruotano intorno a un immaginario ben definito (gli anni Ottanta, il liceo, il noir, per esempio) che ingaggia gli adolescenti con tempi narrativi perfetti», riflette Simone Arcagni, esperto di cinema e nuovi media e professore all’Università di Palermo: «Ma demonizzare Netflix o Amazon Video non serve a nulla perché semplicemente mettono in evidenza un gap culturale che c’è sempre stato, ma che oggi si manifesta in modo diverso.
Forse quel che possiamo fare come genitori è permettere loro di appassionarsi e poi sfruttare, nel senso buono del termine, questa passione anche per allargare i loro orizzonti con film meno omologati. In una sorta di contaminazione di generi». Un altro suggerimento di Arcagni: «La sfida può essere anche cercare di creare momenti di aggregazione intorno alla tv on demand in cui si guarda tutti insieme qualcosa, scelto magari di volta in volta secondo i gusti di ciascuno. Adulti e giovanissimi».