La lingua, strumento di integrazione

Corsi L2 – Le esperienze di associazioni, scuole, comuni e sindacati che si impegnano a favore della conoscenza della lingua italiana tra gli stranieri che vivono e lavorano in Ticino
/ 02.05.2017
di Paola Bernasconi

Imparare la lingua del posto è il primo passo per integrarsi in un nuovo paese, a partire dalle piccole incombenze quotidiane sino ad arrivare al lavoro. Sono molte le associazioni, ed anche i sindacati, che si occupano di organizzare, secondo il Programma cantonale d’integrazione, i corsi di italiano L2 (ovvero, lingua acquisita per apprendimento, diversa dalla lingua madre), si tratta di CRS – Settore Corsi, Associazione AMICI, Comune di Paradiso, Associazione IL CENTRO, Comune di Massagno, Centro Formazione Professionale – OCST, Comune di Caslano, Fondazione ECAP, Comune di Tenero-Contra, Comune di Chiasso, Associazione MC – MC, Scuola Club Migros, Scuola ILI, Scuola Interlingue. È Attilio Cometta, responsabile del Servizio per l’integrazione degli stranieri all’interno del Dipartimento delle Istituzioni, a elencarceli. «Sono finanziati attraverso due leggi diverse, la Legge federale sugli stranieri (LStr) e la Legge federale sull’asilo (LAsi). In genere i corsi sussidiati dalle leggi hanno comunque dei prezzi speciali, accessibili ai partecipanti ai quali sono rivolti».

A tenere i corsi sono formatori e formatrici professionisti (oltre a qualche volontario), a cui oltre che la qualifica per insegnare l’italiano come L2 vengono richieste una formazione specifica riguardo il metodo FIDE, la conoscenza del settore della migrazione e la capacità di gestire i corsi seguendo criteri di qualità. Il metodo FIDE è un modello elaborato a livello federale, nel cui ambito viene fornito del materiale didattico costruito apposta per questo tipo di target, nelle tre lingue nazionali.

Per capire meglio che cosa comportano i corsi per stranieri, quanto sono diversi da normali lezioni e l’incidenza del fattore migratorio sulla loro organizzazione, ci siamo rivolti a Giuseppe Rauseo, Centro di formazione professionale dell’Organizzazione Sindacale Cristiano Sociale (OCST). Il sindacato focalizza i suoi corsi nell’integrazione lavorativa. «Ci rivolgiamo prevalentemente ai datori di lavoro, i quali generalmente ci aprono con piacere le porte, ben capendo che un lavoratore che conosca bene la lingua italiana, oltre che essere aggiornato professionalmente, sia più motivato». L’OCST ha individuato alcuni settori in particolare (edilizia, logistica, pulizie e ristorazione, sociosanitario) e oltre ad andare nelle aziende, ha organizzato anche dei corsi nelle sue sedi, sia rivolti a coloro i quali operano già nel ramo sia a chi vorrebbe farlo, «ma non ha ancora le competenze linguistiche per farlo».

Per quanto sembri incredibile, ci sono persone che lavorano in Ticino ma parlano pochissimo la lingua. «È qualcosa che ha stupito anche noi – conferma Rauseo – Penso per esempio a una donna delle pulizie in una clinica, che nello svolgere il suo lavoro quotidiano non deve relazionarsi con nessuno, e poi si ritrova a non saper colloquiare al di fuori dell’orario di lavoro». Nel caso specifico, come interviene OCST? «Oltre a insegnarle la lingua, coinvolgiamo un esperto nel settore, che svolgerà con lei alcune ore di aggiornamento professionale, che oltre ad essere utili sono tenute in italiano, in modo che si eserciti». 

«Avere persone integrate è un aiuto per tutti, dallo Stato sino al mercato del lavoro, oltre che per le persone interessate», continua Rauseo, soprattutto partendo dal fatto che non sono assolutamente solo i rifugiati a usufruirne, bensì, nel caso di OCST, degli stranieri che già lavorano. «E capita che non siano in grado di svolgere le attività basilari, quali scrivere e far di conto: aiutarli è utile anche ai datori di lavoro». 

In molti, comunque, dopo i corsi di L2, propongono agli stranieri altre offerte: Cometta ci parla di attività pratiche nel tempo libero, quali la cucina, lo sport, il fai-da-te, il teatro, le gite sociali. Perché la sfida più difficile è integrare realmente le persone nel paese dove vengono a vivere, e magari far coesistere gente di nazionalità diverse. Infatti, precisa Cometta, «i corsi L2 sono aperti a persone di tutte le età, siano esse di sesso maschile o femminile e senza discriminazione riguardo il paese di provenienza. Le classi vengono realizzate in base al livello di conoscenza della lingua, al fine di ottenere la maggiore omogeneità possibile, rispettando l’obiettivo del PIC di integrare pubblici diversi». Rauseo aggiunge come qualche difficoltà possa nascere dal fatto di avere, seduti davanti alla stessa lavagna, etnie in guerra fra loro, anche se a suo dire «quando ci si ritrova attorno allo stesso tavolo e si condivide lo stesso sforzo si riescono a smussare eventuali pericoli legati alle differenze culturali, che vanno comunque tenuti in conto. Qui entra in gioco la bravura del formatore».

In merito, abbiamo interpellato Corrado Scenini, formatore. A suo avviso, questi corsi sono «un’esperienza arricchente che permette di gettare uno sguardo disincantato non solo sulle realtà da cui provengono le persone in formazione, ma anche sulla nostra». Il passato migratorio non è secondo lui un problema, anzi a mettere semmai in difficoltà possono essere «la composizione eterogenea dei gruppi e i diversi livelli di scolarizzazione dei partecipanti». E l’utilità non è solo linguistica, «quanto per gli ambiti operativi e gli scenari che attingono direttamente alla realtà locale». Nell’ultimo periodo, i suoi allievi provengono in particolar modo da Eritrea e Afghanistan, e quando gli chiediamo se c’è una storia che lo ha toccato in modo particolare, risponde che «tutte le storie di chi è in fuga verso qualcosa sono toccanti».