Giulia ha sette anni e la sua giovane vita è stata repentinamente divisa, come quella di tutti, in un prima e in un dopo. Sino a pochi giorni fa la mattina si svegliava di malavoglia e si vestiva pigramente. Ma, salita sullo Scuolabus, era felice mentre guardava il paese allontanarsi e sparire dopo l’ultima curva. Frequentare la prima elementare rappresentava per lei una conquista fondamentale: voleva dire lasciare alle spalle l’asilo perché era diventata grande e impegnarsi in cose più serie rispetto ai giochi, seppur gradevolissimi, che aveva fatto sino allo scorso anno. Della nuova esperienza le piaceva tutto: l’edificio scolastico, l’aula, la maestra, i compagni, il lavoro, persino i compiti. Come insegna Maria Montessori i bambini vogliono lavorare, imparare a fare da soli e con gli altri. Abbassando la testa, si applicano con attenzione e concentrazione a un compito in cui si vede subito se è stato svolto bene e si è raggiunto l’esito sperato.
La scuola offre il modo migliore per valutare se stessi e confermare la propria autostima attraverso l’approvazione dell’insegnante. Anche i compagni rappresentano una sfida emozionante perché crescendo i rapporti tra di loro divengono più complessi e contraddittori rispetto a quelli della prima infanzia.
Mentre la famiglia garantisce la continuità la sicurezza, la fiducia di base, la scuola è l’apertura al mondo, la sfida, il domani. Ora questa generazione felice ha subito dall’epidemia in atto una privazione incalcolabile, i bambini non lo sanno ma, impedendogli di volare, li abbiamo messi temporaneamente in gabbia. Ieri Giulia, dopo aver svolto i compiti che l’insegnante le ha inviato e aver giocato in giardino col papà e la cagnolina, ha recuperato senza dir nulla le conchiglie portate dal mare e, dopo averle colorate, ha deciso di ripetere il mercatino che tanto le era piaciuto in spiaggia. Allestito un banchetto sulla soglia di casa e fissato il prezzo, 10 centesimi l’una, ha atteso passasse qualche acquirente. Evento quanto mai improbabile in tempi di clausura domestica.
Quel gioco solitario rappresenta un desiderio di libertà, d’iniziativa, la voglia di un altrove, il rimpianto di una socialità tra bambini ora negata. Eppure anche questa necessaria dolorosa privazione aiuta a crescere. Mentre, quando siamo felici viviamo immersi nel presente e nel mondo, l’infelicità favorisce la fantasia, l’introspezione, il ricordo, il rimpianto. Probabilmente questa generazione diverrà particolarmente sensibile, pensosa, capace di comprendere se stessa e gli altri, forse migliore delle precedenti.