Sanno tutti con precisione la data in cui è successo. In cui poi più niente è stato come prima. Giuseppe, detto Pino, mi racconta la sua storia: nato ad Airolo nel 1964, l’incidente è avvenuto il 13 marzo 1988, sulla Biaschina, in Leventina. Era elettricista, aveva vinto il primo premio come ticinese e il sesto a livello svizzero della scuola in cui si è diplomato. Era una domenica, alle 5 di mattina. Si è scontrato con una macchina e non si è fatto quasi niente. È uscito in strada per chiedere soccorso e un altro veicolo lo ha investito. 40 giorni di coma, tre mesi a Bellinzona, poi riabilitazione alla clinica Hildebrand di Brissago. «Non parlavo, non mi muovevo. Per un anno sono stato in carrozzella. Ora ho ripreso l’uso delle gambe e della lingua. Quante ore ho fatto e faccio ancora di ergoterapia, fisioterapia, logopedia? Tantissime. Una volta sono andato per un mese nel canton Giura in una clinica apposita dove siamo andati a cavallo e ho aiutato in lavori come tosare il prato; mi è piaciuto moltissimo. E poi ogni settimana vengo qui, a Biasca».
A Biasca c’è la sede ticinese di Fragile Suisse, un’associazione presieduta da Marzia Geninasca, che aiuta le persone colpite da lesioni cerebrali a riappropriarsi della loro vita e condurre un’esistenza il più indipendente possibile. Quando ci vado mi accolgono come un’amica, con i pasticcini e una montagna di regali. Un lavoro con legno e fiori di carta, un libro, un biglietto. E poi i racconti.
Lele era apprendista panettiere, gli piaceva fare le trecce fresche. Una mattina non ha sentito la sveglia e allora ha preso il motorino per arrivare prima. «Mi ha investito un furgone. Ho volato per dieci metri e con la testa ho aperto un cancello di ferro. Avevo 17 anni». Due mesi e mezzo di coma, due anni di riabilitazione. Poi ha ripreso gli studi: panettiere, pasticcere. Un guerriero, lo chiamano. Ma gli arriva una seconda disgrazia: un tumore a causa del quale gli asportano il cervelletto. Dopo l’operazione sta in carrozzella, poi usa le stampelle e ora cammina senza aiuti, benissimo. «Sono fortunato, posso fare tutto. Però senza Fragile sarebbero guai: mi dà un motivo per uscir di casa, è come andare di nuovo al lavoro e incontrare nello stesso tempo gli amici, quelli che sono in situazioni simili alla mia e con i quali ci capiamo. Andiamo persino in vacanza insieme...».
Fragile Ticino organizza infatti una settimana all’anno di villeggiatura a Olivone, una settimana al mare e alcune uscite di una giornata, oltre ai pomeriggi e ai giorni in sede. L’anima del bel luogo di incontro a Biasca è Paola Valli, fino a poco tempo fa responsabile dell’antenna di Fragile Ticino. Ruolo che ora ricopre sua figlia, Adele Vanzetta, che praticamente «è cresciuta con loro». Paola è molto più di una professionista formata per stare lì: è un’amica, con la spalla e la battuta sempre pronta. Raccoglie desideri e cerca di soddisfarli. Paola, andiamo a mangiare i pizzoccheri? E lei organizza una serata fuori. Paola, e se facessimo una passeggiata? E via che lei ci pensa su e poi propone di andare al monastero di Claro.
Durante la settimana gli utenti si cimentano per un paio di pomeriggi in un atelier creativo: pittura, disegno, lavorazione del legno, cucina. Un giorno a settimana si arriva fin dal mattino per occuparsi della sede, del materiale, dell’Officina creativa, il negozio di piante e fiori e spazio espositivo. Ci sono anche incontri con un’infermiera diplomata che stimola la memoria e la logica, con specifici giochi di società e un gruppo di auto-aiuto per familiari e amici di persone con lesioni cerebrali. Importante è inoltre la helpline di Fragile Ticino, attiva ogni giorno 24 ore su 24.
Quel pomeriggio trascorso insieme si ride, si ascolta, si parla, ci si prende in giro. C’è un ambiente di amicizia stretta là dentro che riscalda il cuore. Ognuno mi racconta la sua storia difficile, ingiusta, come se ci fosse una prima vita, iniziata grazie alle cure di mamma e papà e poi quella seconda vita rubata per miracolo, guadagnata con sudore e fatica, a furia di medicina, esercizi e tantissima forza di volontà. Loris dice «Ogni tanto mi passava la voglia di vivere. A 17 anni era come se avessi perso tutto. Però adesso va abbastanza bene, penso che a tutti capita una giornata no, a me come a te e a tutto il mondo». Lavora alla Fondazione Diamante, perché «stare a casa senza fare niente non è per me» e ogni anno va in quella clinica giurassiana di cui parlava Pino. Da fuori non si vede niente, non si capisce che c’è stato quel momento chiamato coma in cui tutto si è fermato. Questa è un’altra delle particolarità del trauma cerebrale: ci sono conseguenze visibili come la mimica ridotta, possibili spasmi, movimenti rallentati o l’andatura incerta, ma anche conseguenze invisibili, come cambiamenti nel comportamento sociale ed emotivo, disturbi di memoria, di orientamento o altro.
C’è Afrim, per esempio, che sorride sempre e non avrei notato niente se non mi avesse raccontato che «ero con mia zia, ho visto arrivare un bus e poi pum». E Fabrizio, che si è sposato, guida l’auto e fa da autista per tutti. «Certe cose di prima non le posso più fare, ma per il resto sono veramente stato fortunato. Alle gambe e alle mani non mi è successo niente». Enzo invece ha trovato qui a Biasca una seconda famiglia, dove «abbiamo costruito insieme tante cose» e so che non si riferisce solo agli orologi intagliati in legno o ai lavoretti creativi. Michele a Fragile Ticino ha addirittura trovato un lavoro: è il responsabile del materiale di bricolage e magazziniere; era selvicoltore e gli è caduta in testa, sul casco, una pianta. E dopo essere stato a un passo dal dover lasciare questa vita ha ricominciato tutto daccapo. Il che significa, per continuare a citare un libro dedicato a uno di loro, cercare di riprendere la sua dignità, provando a recuperare ciò che potevano essere i gesti più banali e più semplici, come mangiare da solo, parlare, ridere... insomma cercando di ridiventare un uomo bello, sano e giovane.
Sono parole di Doriana Baldassarri, sorella di un signore con dei bei baffi che parla poco e sta seduto in fondo alla sala. Anche lui scrive, e forse un giorno, mi fa capire ma non mi promette, potrò leggere i suoi diari. Ciao Berto è il libro di poesie che sua sorella gli ha dedicato e ha dedicato a tutti quelli che venendo qui stanno, con tenacia, ora buonumore ora malinconia, provando a vivere, un po’ più fragili di prima, ma pur sempre se stessi.