La videointervista


Servizio della giornalista Maria Grazia Buletti (video di Vincenzo Cammarata).


La filosofia della medicina riabilitativa

Un percorso terapeutico che restituisce il paziente al suo ambiente, considerata la sua patologia e la conseguente disabilità
/ 15.10.2018
di Maria Grazia Buletti

Quando una ciotola o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille cocci, noi li buttiamo con rabbia e dispiacere. Eppure un’alternativa suggerita da una pratica giapponese fa l’esatto opposto: evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto. È il Kintsugi che letteralmente riunisce e ripara con l’oro. È l’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite riportandole a una rinnovata funzionalità. Abbiamo pensato a questa delicata lezione simbolica nel colloquio con il dottor Graziano Ruggieri, medico geriatra e primario della Clinica Hildebrand Centro riabilitazione di Brissago dove i principi della cura sono quelli della medicina riabilitativa, assurta negli anni 80 a rango di disciplina specialistica proprio grazie alle tante scoperte sulla capacità intrinseca di rigenerazione cellulare e neuronale in particolare. 

«Oggi proiettiamo i suoi obiettivi clinici su prevenzione, riduzione e recupero guidato degli esiti invalidanti delle malattie, sul ripristino e il mantenimento del massimo dell’autonomia del paziente, compatibile con le sue residue potenzialità fisiche, psicologiche e vocazionali di vita», esordisce il geriatra, riferendosi a pazienti che perdono l’autosufficienza a seguito di un trauma o di una malattia, e necessitano questo tipo di approccio terapeutico per il recupero parziale o totale delle abilità compromesse. 

Il concetto di recupero è il fondamento necessario per migliorare la qualità di vita di questi pazienti. Non bisogna poi sottovalutare l’invecchiamento demografico della popolazione che conduce a una mutazione epidemiologica delle malattie verso quelle croniche e progressivamente invalidanti. «La medicina ci assicura il prolungamento della vita, ma che possiamo farcene se non fosse possibile viverla con la qualità per tutti noi desiderabile? Se non dovessimo più riuscire a muoverci, nel senso più lato del verbo, attraversando il mondo con l’insieme dei valori che ci contraddistinguono?».

Una grossa responsabilità, dunque, quella della prassi curativa della riabilitazione che chiediamo di mettere a confronto con la medicina acuta. «I nostri pazienti sono gli stessi della medicina acuta, con la differenza che noi ci occupiamo dei postumi disabilitanti dopo un trauma cerebrale o vertebro-midollare, oppure di quelli conseguenti a disordini degenerativi progressivi che colpiscono ossa e muscoli, sistema nervoso o apparato cardiovascolare». Pazienti che il medico specialista della riabilitazione incontra e conosce durante la degenza nei reparti acuti degli ospedali: «Collaboriamo, ad esempio, con il Neurocentro dell’EOC, dove un nostro specialista affianca i neurologi con il compito di valutare la situazione clinica e il grado di disabilità residua di quei pazienti che potenzialmente dovranno proseguire con cure riabilitative». 

Dopo la dimissione che segue la degenza acuta, oggigiorno sempre più breve «questi pazienti saranno accolti dalla medicina riabilitativa (in Clinica) senza interruzione di continuità di cura, iniziando lì il loro individuale percorso in un settore della medicina pronto e abituato ad assumersi la grande complessità delle situazioni cliniche: una medicina necessariamente più dilatata nei tempi clinici, perché fondata su una imprescindibile necessità di interdisciplinarità di cure e di ricerca di interazione positiva con paziente e suoi famigliari». Il dottor Ruggieri paragona metaforicamente la fase acuta (accoglienza del paziente nell’emergenza) a una sorta di non programmabile ma necessario pit stop ai box ospedalieri per risolvere il problema di salute, mentre la riabilitazione sarebbe più simile al «bacino di carenaggio di un cantiere navale» al quale l’armatore (il paziente che auspica il recupero della propria integralità corporea e funzionale) si deve affidare per rimediare alle falle dovute a una dura navigazione: «All’intervento acuto segue il tempo di recupero delle condizioni di validità necessarie per poter riprendere a navigare in tutta sicurezza; ciò necessita competenze, regolarità e intensità quotidiane d’esercizio terapeutico atte a ripristinare le menomazioni funzionali. Cambia il paradigma perché non ripariamo traumi né guariamo o blocchiamo malattie, ma ci occupiamo di permettere al malato di ripristinare tutte le possibili quote perse di funzionalità, per il recupero dell’integrità persa». Per ottenere questo risultato «possiamo ricorrere alla protesizzazione, all’affiancamento di ausili tecnologici o a nuove risorse che gli restituiscano la migliore qualità di vita possibile». 

Questi pazienti non sono solo la loro malattia, ma persone integre che sono fatte oggetto di un’attenzione medica diversa. Infatti, spesso traumi e malattie serie compromettono non soltanto una, ma differenti funzioni: «La disabilità motoria, piuttosto che sensoriale o cognitiva e via dicendo, è raramente riconducibile in modo esclusivo alla natura della patologia originaria, ma sempre una risultante più generale». Ai medici e alle altre professionalità è dunque richiesta una competenza interdisciplinare per necessità clinica, e comprende la collaborazione del paziente e della sua famiglia che riveste molta importanza nel garantire le corrette prestazioni d’assistenza al momento del rientro a domicilio, non appena sarà possibile».

Una presa in carico onnicomprensiva che decreta molti successi: «Non di tipo verticista, ma che chiama a sé, più orizzontalmente, le competenze di molte figure professionali: medico fisiatra, neurologo, cardiologo, neuropsicologo e via dicendo, insieme a infermiere, fisioterapista, logopedista, ergoterapista e altre figure disciplinari con le quali collaborano paziente, famiglia ed entourage nella vita corrente». Di grande rilievo sarà quindi la cosiddetta «valutazione funzionale oggettiva» e individualizzata per ogni paziente: «È un bilancio clinico dell’autonomia residua conseguente a una disabilità acquisita che mira all’identificazione sistematica degli esiti invalidanti attuali o attesi per ogni determinata condizione. Così si documenta il grado di disabilità s u cui dobbiamo concentrarci per strutturare programma di cura e progetto riabilitativo coerente con la persona, il suo stile di vita e l’ambiente sociale che lo riaccoglierà».

La medicina riabilitativa ha cambiato il paradigma del recupero della salute di chi ne fruisce. Perciò approfondiremo nel corso dei prossimi mesi ciascuna specialità che le compete, a cominciare dalla riabilitazione neurologica, prima tappa di una medicina mirata a restituire il paziente alla propria vita, considerate la sua patologia e le sue disabilità: «Aggiungendo non solo giorni in più alla vita, bensì più vitalità funzionale e qualità alla vita attesa», conclude il dottor Ruggieri.