Mario Ferrarini, direttore della Fondazione Antonia Vanoni

La famiglia al centro

Socialità – La Fondazione Vanoni è attiva in Ticino dal 1888. Offre un centro educativo, una scuola e un servizio di sostegno alle famiglie che riguarda 420 minori di tutto il Ticino
/ 04.03.2019
di Fabio Dozio

Orsacchiotto, giraffa, riccio, bamboline, sono gli amici che hanno accolto la piccola A., di quattro anni, quando la scorsa estate è arrivata nella sua nuova cameretta della Fondazione Vanoni. Proveniva da un altro istituto, non è mai stata a tempo pieno in famiglia da quando è nata. Per fortuna con lei c’è anche il fratellino di sei anni. I genitori sono separati, vorrebbero occuparsi dei bimbi, ma non ce la fanno. La vita in istituto deve somigliare il più possibile a quella in famiglia, una camera accogliente, la scuola dell’infanzia e poi, soprattutto, un educatore che si prende cura della bimba con tutte le attenzioni del caso, con il gioco, le coccole e le storie da raccontare la sera, prima di dormire.

L’Orfanatrofio femminile Vanoni è stato creato nel 1869 da Antonia Vanoni, appartenente a una facoltosa famiglia di commercianti luganesi. Cattolica devota, per garantire la continuità dell’opera assistenziale da lei iniziata, nel 1888 Antonia decise di dare fondamento giuridico all’Orfanatrofio istituendo l’omonima Fondazione. Sono passati tanti anni e la Fondazione si è adattata ai cambiamenti della nostra società e oggi è una delle strutture riconosciute come centro educativo dal Cantone.

Il valore principale della Fondazione rimane la famiglia: ormai non si tratta più solo di genitori e figli, ma anche di famiglie allargate e complicate.

I ragazzi che fanno capo al Centro educativo Minorile (CEM) sono 48 e vanno dai 4 anni ai 18, ma possono rimanere anche fino a 20. Ci sono 30 posti disponibili in internato e 18 in esternato. Sono giovani che provengono da situazioni di disagio famigliare, a volte hanno subito maltrattamenti, oppure sono vittime dell’incapacità di cura dei genitori. Arrivano al Centro secondo due modalità. Possono essere collocati spontaneamente dai genitori che si rendono conto di non farcela, oppure vengono indirizzati alla Fondazione dalle Autorità, in questo caso con decisione vincolante, anche se non c’è l’accordo dei genitori. «I ragazzi che abbiamo qui non hanno comportamenti devianti. – ci spiega il direttore della Vanoni, Mario Ferrarini – Provengono da famiglie fragili che si trovano in difficoltà, con disagi socio-psicologici e a volte con difficoltà finanziarie, e quindi i figli soffrono. Sommando questi elementi si ottiene spesso un risultato esplosivo. La struttura ha il compito di abbassare questa esasperazione, per intervenire sulle risorse della famiglia. Obiettivo per tutti è il rientro in famiglia, anche nelle situazioni più pesanti, dove siamo confrontati con maltrattamenti. Per noi il legame genitoriale rimane fondamentale».

Il CEM è aperto, secondo i bisogni degli ospiti, tutti i giorni dell’anno e la vita quotidiana si svolge in quattro gruppi educativi. Ma, soprattutto, si lavora in stretto rapporto con i servizi per i minori presenti sul territorio (Ufficio famiglie cantonale, Servizio Medico Psicologico, Autorità Regionali di Protezione, Magistratura dei minorenni, Preture, Servizi di sostegno pedagogico, ecc.), concordando e definendo di comune accordo il progetto di intervento con gli ospiti.

«Il rapporto con i genitori – dice il direttore – è prioritario. Manteniamo contatti telefonici giornalieri e organizziamo visite e incontri. Ogni ospite ha un suo programma specifico. C’è chi torna a casa, magari il mercoledì pomeriggio o il sabato e la domenica. Da gennaio abbiamo una nuova opportunità: un appartamento qui da noi che permette a genitori e figli di stare assieme una giornata o più in autonomia. Minore e genitore sono parte integrante del nostro progetto, l’alleanza con i genitori è fondamentale».

Con la consulenza e il sostegno alle famiglie, la Fondazione persegue lo scopo di permettere ai genitori ai quali sono stati tolti i figli, di recuperare gradualmente la capacità di rispondere adeguatamente alle richieste di attaccamento dei bambini, aumentando la consapevolezza delle famiglie sulle loro difficoltà, per poterle superare.

Altro servizio offerto dalla Fondazione è la scuola, o meglio le Unità Scolastiche Differenziate (USD). Attualmente ci sono tre classi di sei allievi ciascuna. Gli ospiti del CEM seguono di regola le scuole pubbliche di Lugano. Le USD rappresentano una risorsa per fronteggiare tipologie di disadattamento scolastico dovuto a fattori endogeni e/o esogeni: disturbi dell’apprendimento, fragilità delle situazioni famigliari, problemi psico-affettivi. L’obiettivo è superare questi ostacoli recuperando le competenze scolastiche, sociali e relazionali, in modo da poter rientrare nelle classi regolari di scuola elementare.

«Gli allievi delle USD – precisa Mario Ferrarini – sono confrontati con problematiche comportamentali, sono disturbati e non riescono a stare in classe. La scuola le prova tutte, ma poi chiedono a noi di gestirli. È una fase provvisoria, di passaggio, noi continuiamo a lavorare con la sede scolastica da dove provengono. Posso dire che si riscontra una sofferenza emotiva pesante, in bambini di sei o sette anni che dicono: perché devo stare al mondo? Io non valgo niente!».

Secondo il direttore della Fondazione, la condizione delle famiglie non è necessariamente peggiorata negli anni, la situazione è cambiata perché è cambiata la società. Dare in mano un telefonino a un bambino può procurare disastri. Le sollecitazioni del territorio per chi a 12 o 13 anni vuole uscire il sabato sera, creano dinamiche difficili per i genitori, che non sempre sono in grado di dire di no. Anche il mondo del lavoro incide parecchio. Se in famiglia si è confrontati con la disoccupazione o con problemi finanziari, ci sono ricadute negative sui figli.

Nel Duemila la Vanoni ha avviato un nuovo progetto, il Servizio di Sostegno e Accompagnamento Educativo (SAE). Si tratta di un servizio di prevenzione e protezione dei minorenni e delle loro famiglie. Gli operatori del SAE si recano al domicilio delle famiglie per offrire la loro consulenza a bambini e genitori. L’intento è quello di offrire un sostegno ai membri della famiglia in difficoltà, promuovendo la responsabilizzazione rispetto al ruolo educativo, grazie anche alla mediazione per riattivare la comunicazione all’interno del nucleo famigliare. Gli operatori del SAE sono 22 in tutto il Cantone. Nel 2000 50 famiglie e 86 minori hanno incontrato gli operatori del SAE, oggi ci sono 280 famiglie per 420 minorenni. «Abbiamo una famiglia in valle con otto figli, – racconta il direttore Mario Ferrarini – e un’educatrice fa solo quello, anche se non è a tempo pieno. Visita la famiglia tre volte la settimana. È un lavoro di prevenzione importante, l’obiettivo è migliorare la situazione famigliare. L’intervento dovrebbe durare non più di 18 mesi, ma siamo elastici. È l’unico servizio di questo tipo riconosciuto dal Cantone. Questo aiuto a domicilio evita di portare al collocamento dei ragazzi quando crescono. Riceviamo le segnalazioni soprattutto dalle scuole, e i casi sono aumentati in modo esponenziale».

Molto spesso sono famiglie in cui si litiga e le relazioni sono perturbate. La psicologa Laura Formenti sintetizza il ruolo del SAE: «La gestione creativa del conflitto parte, prima di tutto, dal benedire le situazioni conflittuali senza temerle. Il conflitto è necessario all’apprendimento, come ogni adolescente sa. L’operatore del SAE è un esperto di mediazione, il suo ruolo è spesso quello di facilitare la comunicazione, non negando il conflitto, ma portandolo verso la trasformazione».

Lo stravolgimento dei modelli famigliari e la fragilizzazione delle relazioni accresce il bisogno di sostegno. «L’obiettivo condiviso – annota Marco Galli, capo dell’Ufficio delle famiglie e dei giovani del Canton Ticino – è che il SAE continui sulla strada che ha intrapreso con impegno in questi anni, profilandosi come una delle risorse principali per valorizzare la competenza e la resilienza genitoriali, in modo che la famiglia non sia un semplice insieme di persone che si incontrano tra un’attività e l’altra, ma una cellula di tessitura della rete sociale e della cittadinanza. Si tratta di creare il contesto storico in cui anche la famiglia più vulnerabile possa ritornare a essere protagonista della propria azione educativa: garantire un futuro di benessere alle nuove generazioni, crescere esseri umani solidali e dei cittadini consapevoli. Una volta sarebbe stata una questione di giustizia sociale».