L’etimologia del nome porta alla mitologia greca, alle Naiadi, ninfe delle acque dolci che vegliavano su sorgenti, laghi e fiumi; si chiamava Mintha la bellissima ninfa figlia del Dio degli Inferi Cocito, il fiume affluente dell’Acheronte. Era l’amante di Plutone e aveva suscitato la folle gelosia di sua moglie Persefone, che per vendicarsi l’aveva tramutata in vegetale, (pratica disinvolta non raramente adottata dalle divinità quando volevano punire qualcuno). Sembra che furono poi altri dei, o la stessa Persefone impietosita, a donarle l’inimitabile profumo affinché potesse rimanere per sempre amata. Le versioni del mito comunque non concordano, si narra anche che fu il solito Zeus, innamorato respinto, a mutarla in pianta dal freddo aroma per vendicarsi della sua freddezza.
Della famiglia delle Lamiaceae, che comprende salvia, timo e rosmarino, la menta è una pianta perenne con foglie seghettate, i fiori spigati e minuti di un tenue colore biancastro rosato durano da maggio a settembre e si raccolgono appena sbocciano; le foglie invece vanno colte prima della fioritura. Predilige luoghi non troppo secchi, necessita di parecchia acqua e se la temperatura del clima scende, il suo inconfondibile acuto aroma perde intensità. Va essiccata appesa a mazzi in luoghi ventilati, e conservata in barattoli di vetro al riparo da luce e umidità.
Raggruppa decine di specie e ibridi in varietà selvatiche e coltivate, il cui aroma si differenzia mantenendo sempre la nota di fondo, come la menta dolce, la menta romana o menta viridis, la mentuccia spontanea o menta pulegium. Molto apprezzata è la mentha piperita, utilizzata in gastronomia, nell’industria dei liquori, per la preparazione di talco e creme: è un ibrido nato in Inghilterra nel 1750 dall’incrocio di tre specie diverse. Quando il botanico inglese John Ray notò nei giardini dell’Hertfordshire una menta dal profumo che ricordava il pepe, le diede quel nome; si cominciò a usarla e coltivarla a scopo medicinale in Piemonte e nel Veneto nel 1871.
Tutte le specie di menta condividono le stesse proprietà medicamentose e nella medicina popolare se ne è sempre fatto un largo uso: le foglie erano impiegate, ad esempio, contro «il nervoso», l’infuso curava vertigini, insonnia, combatteva «la malinconia» ed era bevuto come digestivo per l’acidità gastrica, mentre l’Acetolito (preparato macerando le foglie di menta in aceto) era gargarizzato contro il mal di gola. Inoltre pochi sanno che era usata anche come efficace antiparassitario per piccoli insetti e pidocchi.
Studi recenti hanno dimostrato le sue proprietà antivomitive, antifermentative, antidolorifiche e la sua azione su molti disturbi gastrointestinali e respiratori. Stimola l’appetito, invece l’infuso che favorisce la digestione e può essere anche utile in certi tipi di emicrania. La tintura madre ha un’azione riflessa sulle terminazioni nervose dello stomaco; l’olio essenziale, estratto per dilatazione a vapore della pianta fiorita, va usato con cautela perché ricchissimo di mentolo. Di fatto ha un potere energizzante e balsamico oltre ad essere un vasodilatatore per la mucosa nasale. Uno studio recente di ricercatori indiani nel 2010 ha evidenziato le notevoli potenzialità radioprotettive, ambientali e terapeutiche degli estratti acquosi di menta, che avrebbero un’azione antiossidante sui metalli pesanti e inibirebbero i radicali liberi.
La menta compare per la prima volta nel Papiro di Ebers, il più antico testo medico databile al XVII secolo avanti Cristo. Era sacra a Toth, dio della medicina dell’antico Egitto; i sacerdoti la usavano per acquistare lucidità mentale e longevità, mentre i romani la ritenevano in grado di aumentare la memoria. Un’altra interpretazione dell’origine del suo nome riporta appunto al termine latino «mentis» sulla quale eserciterebbe una forte azione. Nicolas Lémery, chimico e medico francese vissuto fra 600 e 700 nel suo Trattato delle droghe semplici così scrive: «Mentha è dedicata a mente perché questa pianta rinforzando il cervello risveglia i poteri e la memoria».
Plinio il vecchio, naturalista e studioso nato a Como nel 23 dopo Cristo attribuiva alla Menta proprietà anafrodisiache, perché «impedirebbe al liquido seminale di addensarsi», ma curiosamente i medici e botanici Galeno di Pergamo e Dioscoride, vissuti ai tempi di Nerone, sostenevano il contrario, ovvero la ritenevano un afrodisiaco dall’effetto talmente potente che ne era proibita la consumazione in tempo di guerra: avrebbe impedito la «gagliardia bellica» dei guerrieri. Pure Seneca sosteneva che i soldati non dovevano mangiarne perché avrebbe tolto loro vigore e forze.
Nell’804 Carlo Magno nei suoi famosi Editti rese comunque obbligatoria la sua coltivazione negli orti dei monasteri. Nell’Islam la menta è pegno d’amore fra innamorati e nell’antica Grecia era dedicata ad Afrodite, mentre al tempo dei Samurai era ritenuta afrodisiaca (in Giappone si usava metterne delle foglie tra le lenzuola). Nell’Erbario antico di Castore Durante, medico botanico e poeta del Rinascimento si legge: «Ha facultà di scaldare, ristagnare, disseccare, la salvatica è più potente della domestica, e la menta che ha le foglie crespe è la migliore».
Il potere straordinario su mente e corpo di quest’umile pianta, come si vede, ha millenni di storia: perché dubitare che anche nell’era della tecnologia e dei viaggi spaziali non conservi intatta la sua efficacia?