A Lugano nasce l’ente autonomo della socialità

Lugano fa da apripista in Ticino anche per la costituzione di un ente autonomo della socialità. Dal prossimo primo gennaio, infatti, l’attività e la gestione degli Istituti sociali comunali che comprende, oltre alle sei case anziani, anche Casa Primavera e gli asili nido comunali saranno affidate ad un ente autonomo di diritto comunale. Il Servizio di accompagnamento sociale e l’Ufficio intervento sociale, invece, resteranno di competenza comunale. L’ente, denominato LIS, Lugano Istituti Sociali, che avrà un bilancio autonomo, sarà gestito da un Consiglio di amministrazione (il cui presidente sarà un municipale) e una direzione. I rapporti con la Città e i compiti affidati all’ente saranno definiti da un mandato di prestazione di durata massima quadriennale. I dipendenti dell’ente saranno assoggettati al Regolamento organico dei dipendenti della Città e saranno affiliati alla Cassa Pensioni di Lugano. 


La «dolce morte» entra nelle case per anziani

Autodeterminazione - Facciamo il punto della situazione a quindici anni dall’entrata in vigore del protocollo sul suicidio assistito negli Istituti sociali di Lugano. In Ticino ogni anno una ventina di persone si affida ad Exit
/ 02.12.2019
di Mauro Giacometti

Quindici anni fa, nel 2004, quando nelle case anziani di Lugano entrò in vigore l’Ordinanza che disciplinava il suicidio assistito, la notizia fece un certo scalpore. «Lugano apre le porte alla dolce morte», titolarono all’epoca i giornali che diedero la notizia dell’entrata in vigore del protocollo che permetteva alle associazioni che si occupavano di suicidio assistito di entrare negli istituti sociali cittadini per assistere i suoi ospiti – che ne avevano fatto richiesta – a porre fine alla propria vita. «In effetti in Consiglio comunale ci fu un’accesa discussione e qualche interpellanza, ma poi l’Ordinanza fu approvata e divenne esecutiva – ricorda Paolo Pezzoli, direttore degli Istituti sociali comunali di Lugano –. In effetti in quei tempi la problematica e le basi legali sul suicidio assistito non erano chiari, anche per questo decidemmo di intraprendere la strada della trasparenza: chi tra i nostri anziani aveva scelto volontariamente e in piena coscienza di determinare la propria morte poteva farlo nelle nostre strutture, nella sua camera, evitando così sotterfugi o trasferimenti improvvisi», spiega Pezzoli. Il pericolo, evidenziato anche durante la discussione politica, era quello che le case anziani comunali luganesi diventassero un «ricettacolo» di suicidi assistiti, una sorta di «cimitero» legalizzato. «Ma non fu e non è assolutamente così – sottolinea il direttore degli Istituti sociali luganesi –. In questi quindici anni i casi di suicidio assistito tra i nostri ospiti si contano sulle dita di una mano. E in diverse occasioni, chi aveva scelto di morire, pur in condizioni estreme di salute, ci ha ripensato e all’ultimo momento ha rinunciato ad attivare l’iniezione letale, optando per un decesso naturale, a conferma che nelle nostre strutture si rispetta fino in fondo la volontà dei residenti. Inoltre, non accogliamo ospiti da altre case anziani o cliniche se abbiamo la netta percezione che sia un trasferimento di comodo».

Età media oltre i 70 anni, una ventina di casi di accompagnamento alla morte ogni anno in tutto il cantone, dato piuttosto stabile dall’inizio del terzo millennio. Anche per Exit, l’unica associazione che pratica il suicidio assistito in Svizzera presente in Ticino con una propria sede, farsi accompagnare verso la morte non è un fenomeno in crescita esponenziale. «C’è più informazione, più consapevolezza sul suicidio assistito, ma a sud delle Alpi c’è anche una forte componente religiosa a condizionare le scelte in fatto di autodeterminazione e fine vita – dice Ernesto Streit, responsabile di Exit in Ticino –. I nostri operatori, ad esempio, sono banditi dalle case anziani gestite da fondazioni religiose ed è più che comprensibile». E questo nonostante dal primo gennaio 2013 sia entrata in vigore in Svizzera una modifica del Codice civile relativa alla protezione degli adulti che definisce le basi legali sulle direttive anticipate, quindi sulla possibilità delle persone in grado di intendere e volere di fissare anzitempo quali misure mediche accettare o rifiutare nell’eventualità che subentri una sua incapacità di discernimento o di esprimere le proprie volontà. Altro discorso è il pendolarismo dei decessi assistiti, in particolare dall’Italia, come hanno raccontato le cronache anche recentemente. Qui Streit è perentorio: «Noi per statuto accogliamo tra i nostri soci, e quindi tra chi accompagniamo alla morte, solo svizzeri o residenti. Non portiamo gente da fuori a morire in Svizzera, tantomeno in Ticino», assicura il rappresentante di Exit.

Gli Istituti sociali luganesi – che nelle sei case di riposo medicalizzate ospitano 600 anziani, dando lavoro ad altrettanti collaboratori – dopo aver fatto da «apripista» a livello cantonale sulla «dolce morte», continuano nell’operazione trasparenza per quanto riguarda cure e trattamenti dei suoi residenti, a prescindere che possano aver scelto di affidarsi ad Exit o meno. «Appena arriva un nuovo anziano nelle nostre residenze gli consegniamo una brossure esplicativa e gli facciamo compilare il formulario sulle disposizioni del paziente. Intendiamoci: la compilazione delle direttive anticipate (anche dette testamento biologico, ndr) non è obbligatoria, ma fortemente consigliata, anche su disposizione del medico cantonale, in tutti i contesti in cui si ha a che fare con la salute delle persone», sottolinea Pezzoli. Direttive anticipate formulate per iscritto che peraltro possono essere annullate o modificate dal diretto interessato in qualsiasi momento, anche verbalmente. «Nei nostri interventi nelle case anziani pubbliche o private, che ci siano dei protocolli o meno, manteniamo uno stretto contatto con la direzione dell’istituto, che ci deve in ogni caso autorizzare all’accompagnamento nel suo ultimo viaggio della persona che s’è rivolta a noi», assicura Streit.

Un ultimo viaggio che, seppur «programmato» attraverso le direttive anticipate o l’iscrizione ad Exit, non è immune da ripensamenti dell’ultimo minuto o effetti collaterali. Come nel caso del personale che per anni ha accudito e curato una persona che ha scelto di «giocare d’anticipo» sulla propria morte naturale. «Ci è capitato recentemente con alcune infermiere che seguivano un nostro ospite che ha optato per il suicidio assistito – precisa Paolo Pezzoli –. Dopo il suo decesso, abbiamo costituito un care team che ha aiutato il personale ad elaborare la perdita di una persona alla quale negli anni si era affezionato, che aveva curato e che aveva comunque deciso di porre fine alla propria esistenza. Le infermiere e anche i medici hanno vissuto questa esperienza in maniera abbastanza traumatica, come una sconfitta, un’inadeguatezza nel loro operato. Per questo abbiamo deciso di aiutare, con l’ausilio di specialisti esterni, chiunque del nostro personale si possa trovare in condizioni di disagio e sofferenza per la perdita di un nostro ospite», conclude il direttore degli Istituti sociali luganesi.