La clinica legale per chi è vulnerabile

Università – A Ginevra un percorso di studio offre lo spazio di riflessione per superare le discriminazioni
/ 30.12.2019
di Laura Di Corcia

Il 9 febbraio saremo chiamati alle urne a decidere come vogliamo agire in merito alla discriminazione degli omosessuali: se la popolazione elvetica dovesse approvare la modifica della legge, offendere una persona omosessuale diventerà un crimine perseguibile. Tempo di bilanci, quindi, tempo di capire se la società civile abbia fatto o no dei passi avanti in questo senso. A queste e altre domande abbiamo cercato di dare una risposta intervistando Nesa Zimmermann, co-responsabile del master offerto dalla Facoltà di Diritto dell’Università di Ginevra e chiamato Law clinic, in italiano «clinica legale»: un percorso di studio inaugurato nel 2013 e volto ad offrire agli studenti e alle studentesse uno spazio di analisi e riflessione sui diritti delle persone con vulnerabilità. Una casistica ampia, entro cui rientrano, fra le altre, anche le persone con diverso orientamento sessuale. Nesa Zimmermann, oltre a spiegarci gli intenti del programma, che vuole innanzitutto far circolare meglio l’informazione sui diritti esistenti e non rispettati, ha anche posto l’accento su quanto resti ancora da fare nel nostro Paese per superare le discriminazioni.

Signora Zimmermann, da dove è partita l’idea di questo corso di laurea? Che scopi si prefigge?
La Law clinic nasce circa dieci anni fa negli Stati Uniti e oggi oltreoceano è ampiamente diffusa: tutte le Facoltà di diritto americane propongono corsi di laurea volti a analizzare e delineare i diritti delle persone vulnerabili. L’idea è quella di fare qualcosa di pratico con gli studenti, andando a lavorare quindi sulle domande che la stessa società civile pone. La Law clinic non si pone solamente l’obiettivo formativo, ma ha lo scopo, forse utopico, di partecipare attivamente alla costruzione di una società più equa.

Qual è il significato profondo dell’espressione «vulnerabilità giuridica»? In che modo il vostro lavoro nelle sedi accademiche può avere un riscontro effettivo anche nella realtà?
Con l’espressione «persone con vulnerabilità» ci riferiamo a tutti quei gruppi di persone i cui diritti sono o non rispettati o non conosciuti. Lavorando sui diritti di queste persone, infatti, ci siamo accorti che, al di là delle lacune ancora esistenti, in tanti casi la legge c’è ma non è rispettata, spesso nemmeno conosciuta. Facciamo un esempio concreto: quando ci si mette alla ricerca di un appartamento, spesso bisogna compilare alcuni formulari che i proprietari di casa consegnano ai futuri inquilini. Una domanda classica riguarda lo stato civile. Ecco, in questo caso esiste un diritto che spesso si ignora: la legge prevede che si possa mentire, affermando di essere sposati e nascondere il fatto di aver stipulato un partenariato civile. Questo ovviamente per proteggere le coppie di fatto dello stesso sesso, che spesso fanno molta più fatica a trovare un appartamento dove poter vivere serenamente la loro quotidianità e i loro affetti.

Una cosa simile capita alle donne, quando affrontano un colloquio di lavoro e viene chiesto loro se hanno intenzione di fare un figlio...
Anche in questi casi è utile sapere che non dire la verità è un diritto che può tutelare rispetto ad eventuali discriminazioni. Spesso manca l’informazione ed è giusto e corretto che questa circoli; talvolta, invece, la legge è carente. Anche in questo caso il Master sta cercando di far compiere dei passi: per esempio abbiamo partecipato all’elaborazione di una legge cantonale a Ginevra volta a combattere le discriminazioni di genere e di orientamento sessuale. Per rimanere nell’ambito del canton Ginevra, ci siamo occupati del caso di un ragazzo divenuta ragazza che faticava a farsi riconoscere nella sua nuova identità femminile all’interno della sua sede scolastica, prima che il cambiamento di sesso venisse registrato a livello giuridico. Anche questo è un diritto fondamentale che spesso viene negato; la scuola diceva di non poterlo fare perché i regolamenti non lo permettevano. Ma i regolamenti vanno aggiornati e i diritti delle persone vanno sicuramente messi al primo posto.

Secondo lei, quanto rimane da fare a livello di società affinché questi diritti fondamentali vengano riconosciuti?
Ogni gruppo ha una storia a sé stante, molto diversa da quella degli altri. Per esempio, la situazione delle persone transessuali è distante da quella dei migranti. La risposta non è univoca. Per quanto riguarda le persone LGBT, che è il tema di cui ci siamo occupati negli ultimi due anni di corso, mi sembra che in questo momento ci sia un bel progresso da parte della società. Su due livelli: da una parte i diritti degli omosessuali, dei bisessuali e dei trans sono riconosciuti maggiormente dalle persone, dall’altra anche la legge supporta meglio di prima le loro istanze. Attualmente sono in discussione diversi progetti legislativi a livello federale: il matrimonio per tutti, la modifica del codice civile per facilitare il cambiamento del sesso legale, la criminalizzazione dell’omofobia (la modifica del codice penale, che sarà approvata nel febbraio 2020, art. 261 bis CP, ndr). I diritti delle persone LGBT vanno avanti, ma questi passi portano anche qualche ripercussione: per esempio, incidenti omofobici causati dalla discussione sulla criminalizzazione dell’omofobia, appunto. Quella che percepisco è una continua oscillazione tra progresso e istanze conservatrici. Bisogna anche prestare attenzione ai «falsi anticipi»: ad esempio, il matrimonio per tutti, ma «light», senza accesso alla procreazione medicalmente assistita e senza pensione di vedovanza, che è discriminatorio per le donne lesbiche. Si tratta quindi di un passo avanti che però non va fino in fondo. Meglio accontentarsi o lottare ancora? La risposta non è facile.