Prepariamoli al futuro. In un mondo in cui, secondo il World Economic Forum di Davos, il 65% dei bambini che oggi sono alle elementari faranno un mestiere che oggi non esiste, a Il caffè delle mamme è ricorrente l’interrogativo: come possiamo aiutare al meglio i nostri figli a scegliere che cosa studiare? La consapevolezza è che per affrontare l’argomento non possiamo aspettare l’ultimo minuto utile; non solo: fin da quando sono piccoli bisogna coltivare le loro capacità di scelta in modo che da adolescenti abbiano a disposizione gli strumenti migliori per decidere al momento opportuno.
«È la fine del mondo, quello dei genitori», dice ad «Azione» Daniele Grassucci, fondatore nel Duemila, quand’era ancora liceale, del portale per studenti Skuola.net e oggi curatore del saggio Dopo la scuola, in libreria dal 19 marzo (ed. Sperling & Kupfer): «Non esiste nessun percorso di formazione (universitaria o meno) che possa mettere un mestiere in mano, perché il mondo cambia più velocemente di quanto possano fare i corsi universitari. È il motivo per cui i genitori devono aiutare ad acquisire un’ampia “flessibilità”, cioè una preparazione vasta e approfondita sapendo che poi starà al figlio trasformarla in uno o in mille mestieri a seconda della richiesta».
Per quest’avventura Grassucci propone delle regole per mamme e papà un po’ confusi. La prima è di lasciarli sciolti (a patto che siano informati). «Se vostra figlia vuole fare l’influencer o vostro figlio il travel blogger che gira il mondo e lo racconta, non castrateli subito dicendo che sono strade difficilissime, che loro non ci riusciranno mai e che, nel migliore dei casi, faranno la fame – scrive l’esperto –. Se i vostri figli hanno un sogno lasciateglielo seguire. Con un’unica fondamentale precauzione: devono essere informati. Molto. Moltissimo». Del resto, già all’inizio del Novecento il poeta libanese (naturalizzato statunitense) Kahlil Gibran, scrive: «I tuoi figli non sono figli tuoi. Sono i figli e le figlie della vita stessa. Tu li metti al mondo ma non li crei. Sono vicini a te, ma non sono cosa tua. Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee. Perché loro hanno le proprie idee. Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima. Perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire, dove a te non è dato di entrare, neppure col sogno».
Gli errori più grossi che possiamo fare è tarpargli le ali e sminuire i loro interessi. Sviluppatore di app, ingegnere automobilistico di macchine a guida autonoma, specialista di cloud computing, analista di big data, responsabile della sostenibilità ambientale per multinazionali, creatore di contenuti di YouTube, operatore di drone, esperto di millennials: sono tutte professioni del futuro che noi non riusciamo neanche a concepire. Essere a nostra volta il più informati possibile è importante, non scoraggiarli è un nostro preciso dovere. La passione è sempre la molla più forte per andare avanti.
La formazione di un adolescente consapevole inizia quand’è bambino. Prima ancora dello studio, è utile incentivare il gioco. «L’associazione dei pediatri americani lo raccomanda come momento indispensabile nella formazione della persona, e chi non lo fa si ritrova turbe psichiche pure da adulto – ricorda Grassucci –. Uno non può stare sempre a giocare, certo. Ma dal gioco può sviluppare una cosa che pare sia molto richiesta, specie se la chiamiamo in inglese: problem solving. Capacità di risolvere i problemi. Insomma: campare».
Altro consiglio: accettare i limiti dei nostri figli. «Qualcuno ha figli bravi e assennati. Qualcuno li ha solo bravi. Oppure solo assennati. Oppure niente di niente – sottolinea spietatamente l’autore di Dopo la scuola –. Accettate anche che un figlio possa non andare bene a scuola e non inveite contro i professori “che ce l’hanno con lui”, per non dare l’esempio – pessimo – di chi non vuole accettare regole e sconfitte. Può darsi che vostro figlio abbia dei limiti, ma certamente è capace di fare molte (o alcune) cose. Valorizzatele».
I pugni sul ring Billy Elliot non li sa tirare, ma adora le scarpe da ballo. Per chi come l’11enne protagonista dell’omonimo film di Lee Hall cresce agli inizi degli Anni Ottanta nella contea di Durham Coalfield (nord est dell’Inghilterra) durante gli scioperi del carbone, «amare il ballo è da finocchi», figuriamoci trasformarlo in una professione. Dopo mille traversie, l’immagine del papà Jackie che siede commosso e orgoglioso davanti al palco del Theatre Royal Haymarket di Londra mentre l’ormai 25enne Billy balla nel Swan Lake dev’essere d’esempio a tutti noi. I tempi e le professioni cambiano, ma il compito di mamme e papà tutto sommato è sempre lo stesso, forse: «Aiutarli a incrociare passione e talento, qualunque essi siano». Valerio Artusi, romano, 29 anni, laurea in Economia, di professione fa il quant senior specialist. Tradotto: lavora a Lottomatica e si occupa dello sviluppo di nuove modalità di scommesse. Da dove ha iniziato? Dalla passione per il calcio.