Il tempo delle mamme

In un libro testimonianze e pensieri di donne che non vogliono rinunciare né al lavoro né ai figli
/ 19.11.2018
di Sara Rossi Guidicelli

Ha un titolo molto italiano ma è un libro universale. Mamme con la partita Iva, di Valentina Simeoni, che parla di come la maternità possa conciliarsi con il lavoro, in particolare quello indipendente.

L’autrice è un’antropologa, ha studiato i Navajo, i luoghi sacri in Georgia e il linguaggio di Facebook. Negli anni si è accorta che c’era un tema particolarmente discusso sui social network: la maternità. Quando le è capitato a lei stessa di diventare mamma si è chiesta: potrò lavorare come prima? I miei committenti faranno compromessi su orari, distanze, impegno? O, visto che sono indipendente, salterà tutto per aria?

Per Valentina, come per molte persone per fortuna, il lavoro non è solo quell’attività obbligatoria per portare a casa la pagnotta. È un divertimento, una sfida, un modo di sentirsi utili o, per citare Gaber, liberi perché partecipativi.

I temi del libro portano a chiedersi se le donne che fanno un lavoro indipendente siano più svantaggiate al momento di andare in maternità. Innanzitutto chi ha uno studio, un negozio, un’attività in proprio deve trovare qualcuno che la sostituisce durante il periodo del congedo maternità oppure chiudere, con il rischio però di perdere i clienti. Dati specifici per il Canton Ticino non ne abbiamo trovati, pur rivolgendoci a tutti gli uffici che si occupano di indennità di perdita di guadagno, di statistica, di lavoro e di pari opportunità. Un recentissimo studio della Confederazione sul lavoro indipendente (che va dal mestiere di dentista a quello di architetto, parrucchiere, commerciante, traduttore, fotografo freelance e così via) fa notare che in media i cittadini svizzeri che lavorano in proprio hanno 10 anni di più di quelli che svolgono un lavoro dipendente; che le donne sono una parte minore della fetta di indipendenti e che perlopiù svolgono lavori a domicilio e senza impiegati; in media però tutti, uomini e donne, svolgono più ore di lavoro durante la settimana e quasi la metà lavora anche durante il fine settimana.

Per quanto riguarda le mamme con attività indipendente, anche loro pagano ogni mese i contributi come le lavoratrici dipendenti e hanno quindi la stessa copertura in caso di maternità: 98 giorni dal parto. Quasi tutte decidono di beneficiarne per intero, anche se ci sono casi in cui la neo-madre dopo due mesi torna già al lavoro. Per poter usufruire di un congedo più lungo, invece, alcune stipulano un’assicurazione privata. 

Tornando al saggio di Simeoni, edito da Sonzogno, «è dedicato a tutte le donne, libere professioniste ma non solo, che si sono chieste, almeno una volta, se dovranno a un certo punto rinunciare al proprio percorso professionale o se saranno in grado di continuare così, per quanto tempo e soprattutto perché non si ritengono già sufficientemente realizzate curando i propri figli».

La donna, dice, si sente in difetto, rispetto al lavoro. Quando diventa mamma tende a dire: Scusate, mi spiace, ma adesso non potrete contare su di me come prima, almeno non sempre. Ma non erano un diritto la maternità, i congedi, il riposo, le ore di allattamento, i giorni per malattia del bambino? Lo sono, tecnicamente, come abbiamo visto per le indennità di perdita di guadagno. Ma non è tutto così semplice. In mezzo a queste domande ci sono: la stanchezza, gli ormoni, le nausee. E poi, nove mesi dopo: la stanchezza, gli ormoni, le notti in bianco, i sensi di colpa. I sensi di colpa. Il tempo. Che ci sono sempre. Che manca sempre.

La ricercatrice antropologa ha parlato con una ventina di donne nella sua stessa situazione e raccoglie testimonianze, pensieri e qualche tentativo di soluzione. Per tutte loro, diventare madre era un desiderio fortissimo, nonostante non volessero smettere di lavorare. In altre parole, alla domanda: Che cosa sei pronta a sacrificare della tua vita di prima, una volta che avrai un bambino? loro rispondevano: A tutto, tranne che al mio lavoro.

In questo libro, il cui sottotitolo è Come vivere allegramente la maternità quando tutto è contro, c’è il capitolo su come essere multitasking al meglio; quello sulla riorganizzazione del tempo (quando lavorare?); e quello sulla riorganizzazione dello spazio (dove è meglio lavorare?). 

Proprio mentre arrivo a questo capitolo del libro mi viene la curiosità di sentire a che punto sono i progetti di quel gruppo di genitori di Lugano che cercava una casa, dove mettere gli uffici su un piano e al piano di sotto uno spazio sorvegliato per i loro bambini. Chiamo Assunta Ranieri Bernasconi che insieme ad altre due mamme, Chiara Di Palma e Selva Varengo, aveva ideato lo spazio di Family Coworking dal nome 8Hz (che sta a ricordare la banda di frequenza nell’uomo con la quale il cervello attiva la creatività e un generale stato di benessere).

«Guarda, mi chiami in un momento che potrei parlarti per ore ma non ho un minuto», risponde dal set cinematografico in cui sta lavorando come costumista. «Ho la bimba a casa con la febbre, io sono al lavoro ma non ci sto con la testa. Avrei bisogno di un po’ di calma, di un aiuto. No, infatti, il progetto 8Hz è fermo. Ci manca l’ultimo pezzetto per completarlo e realizzarlo: il luogo. Abbiamo permessi e aiuti cantonali, sostegno e doni utili, abbiamo le famiglie interessate, le educatrici, ma manca la casa. Ieri sono andata a visitarne tre, ma è da un anno che cerco... sembra che nessuno voglia affittarci uno spazio per mettere i nostri uffici vicino allo spazio giochi con professionisti che badano ai nostri piccoli. Pensa a come saremmo più tranquilli se potessimo averli lì a due passi e non bisognasse attraversare la città per portarli al mattino e andare a prenderli al pomeriggio... per non parlare di chi deve ancora allattare. Noi genitori avremmo una produttività più forte e ci potremmo sostenere l’un l’altro come una comunità: questo lo hanno già capito in un sacco di posti, nelle città svizzere, italiane, di tutta Europa...».

Mi piace che Assunta parla di genitori, mentre il libro delega quasi unicamente alle mamme la questione di giostrarsi tra figli e lavoro. È vero che nella pratica è ancora la donna che rimette in questione la sua professione molto più dell’uomo, ma la scelta dovrebbe essere familiare, e non singola. 

Un aspetto sollevato da Mamme con la partita Iva è che i bambini arrivano spesso, adesso, nel momento più proficuo per il percorso professionale di un giovane adulto. Tra i venti e i trenta, per molti è il momento della formazione e della ricerca. Tra i trenta e i cinquanta invece è quello in cui si trova, si consolida e si sviluppa la propria competenza lavorativa. Ecco perché non è un crimine, vuol far capire l’autrice, se una coppia non ha voglia di rinunciare né all’una né a un’altra bellezza della vita: allargare la famiglia e andare avanti con un’attività che piace e che fa sentire realizzate le proprie potenzialità.

Conclusione di tutte le storie del libro: è possibile. Non bisogna per forza mollare, se non si vuole. Gli orari in cui si fanno i lavori domestici diventano spesso folli; la testa ha sempre in mente sia i figli sia il lavoro; Però ci sono anche alcuni vantaggi da sfruttare nel lavoro flessibile, in cui non c’è un cartellino da timbrare, se ci si organizza, se si può contare su partner, famiglia e servizi; se si riesce a fare pace con la parte più intransigente di se stessi.

E in tutto questo, i bambini? I bambini sono quelli che ci mettono davanti «i tempi vuoti, lenti, stupendamente inutili», per usare le parole di Valentina Simeoni. «Se non li conosci o se non li ricordi più te li insegna: il tempo del sonno, del gioco, della coccola, della meraviglia davanti a un raggio di luce sulla mano. Solo così la perfetta e calcolatissima ottimizzazione in cui siamo così brave trova il suo senso, altrimenti resta una fatica inutile».

Ci sono persone per cui è più facile lavorare, anche con bambini piccoli, che mettersi sdraiate sul divano a poltrire insieme. E se i figli riusciranno a insegnare loro il valore del tempo (prezioso quando si lavora, prezioso quando si sta insieme a giocare, prezioso quando lo si passa da soli, in silenzio a svuotare la testa) allora sarà un insegnamento che durerà per tutta la vita.