Attualmente in Svizzera si contano circa 35mila esemplari di Cervus elaphus da noi conosciuto come cervo. Ritenuto vero re del bosco, per i grandi palchi del maschio, per il suo bramito e perché con la sua imponenza è l’animale selvatico più grande che vive in Svizzera, è eletto animale dell’anno 2017 da Pro Natura.
Il cervo necessita di ampi spazi per le sue migrazioni stagionali, caratteristica che i responsabili di Pro Natura sottolineano spiegandone le caratteristiche salienti: «Il cervo è di fatto un assiduo pendolare che fa la spola fra l’ambiente diurno e quello notturno, tra l’habitat estivo e quello invernale». La sua spiccata esigenza di mobilità è poco nota, e si traduce nel fatto che il suo ambiente diurno è differente da quello notturno, e l’habitat estivo può distare anche dozzine di chilometri da quello invernale. Purtroppo, la crescente frammentazione del territorio in Svizzera pone non pochi problemi al re del bosco: «I suoi assi di migrazione sono sempre più spesso interrotti da strade, ferrovie e insediamenti umani».
Scegliendo questo assiduo pendolare dei nostri boschi come animale dell’anno 2017, Pro Natura vuole proprio attirare l’attenzione sulla necessità di spostarsi della fauna indigena e sulle difficoltà che essa incontra. «Le strade, le ferrovie e gli insediamenti sono i principali ostacoli sul percorso quotidiano o stagionale degli animali selvatici; (…) urge un numero maggiore di passaggi faunistici», rivendica sul comunicato ufficiale, Andreas Boldt, esperto di fauna selvatica del sodalizio.
A questo proposito, accanto all’elezione di Re cervo, è stata lanciata pure la campagna di sensibilizzazione Via libera per la fauna selvatica: «Scegliendo il cervo, abbiamo lanciato un segnale a favore della rimessa in rete degli ambienti naturali nel nostro territorio e ci impegniamo, oltre che nella protezione dei corridoi faunistici naturali, anche nella realizzazione di nuovi e adeguati sovrappassi per la fauna», ribadisce la responsabile della comunicazione e progetti della sezione ticinese, Martina Spinelli.
Tornando a parlare dell’animale dell’anno, 150 anni or sono esso era estinto sul territorio elvetico, vittima di una caccia implacabile e dello sfruttamento incontrollato dei boschi. Il suo ritorno risale al 1870, quando nel canton Grigioni iniziarono ad arrivare i primi cervi provenienti dall’Austria, e le sue condizioni migliorarono definitivamente nel 1875 con la Legge federale sulla caccia che limitò i periodi venatori e inserì la protezione delle femmine. Col tempo, anche il bosco saccheggiato si riprese riconquistando terreno, mentre il cervo prese a diffondersi in gran parte delle Alpi e Prealpi svizzere. Negli anni Novanta alcuni esemplari giunti dalla vicina Francia si insediarono in alcune aree del Giura.
Il cervo è «un erbivoro di poche pretese che mangia quel che trova sul piatto, nutrendosi per oltre il 90 per cento di piante presenti nel suo territorio». E non dev’essere poco, visto che un maschio adulto pesa fra i 170 e i 220 chilogrammi: «circa il doppio di uno stambecco e otto volte più di un capriolo». La femmina è molto più piccola, ma raggiunge comunque i 90-130 chili.
Conosciuto come «cervo rosso», l’animale dell’anno rende giustizia al proprio nome solo in estate, quando il manto è bruno rossiccio, mentre dalla muta autunnale emerge un pelo che va dal grigio al bruno grigiastro. Il manto invernale è più fitto e ispido di quello estivo e cade a grossi ciuffi in tarda primavera. Il suo organo di senso meglio sviluppato, «affidabile indicatore», è il naso: «Quando possibile, il cervo si sposta controvento e sceglie i luoghi di riposo in modo che l’aria porti l’odore di possibili nemici in avvicinamento». Inoltre muove le orecchie una indipendentemente dall’altra: «È un ottimo sistema per individuare con precisione le fonti di rumore e i pericoli».
Gli occhi percepiscono tutto ciò che è in movimento «dato che le pupille ovali possono dilatarsi molto, il cervo vede però piuttosto bene anche in situazioni di scarsa luminosità». Fra le curiosità che scopriamo di questo animale selvatico vi è la sua socialità: «Tranne che nel periodo degli amori vive in branchi divisi per sesso. I branchi femminili sono l’unione di più famiglie di femmine e una famiglia consiste di un’adulta, il suo cerbiatto e il giovane dell’anno precedente; la capobranco è una femmina di esperienza con compiti importanti come conoscere le aree di ritirata e le vie di accesso ai pascoli, percepire quando è ora di cambiare territorio, sapere come comportarsi in presenza di fastidiosi esseri umani».
I giovani maschi lasciano la famiglia all’età di 2-3 anni per unirsi a un branco di cervi maschi. È raro avvistarli perché sono molto timidi ed estremamente preoccupati per la loro sicurezza, al di fuori del periodo degli amori quando diventano un po’ più imprudenti: «In autunno si separano dal branco e, dopo lunghi mesi di vita silenziosa e appartata, iniziano a mettersi rumorosamente in mostra: un maschio eccitato dà voce alla sua condizione fino a 500 volte all’ora e in quel periodo non mangia, arrivando a perdere fino a un quinto del proprio peso».
Una buona ricompensa, però, lo attende se riesce a imporsi: «Allora sarà l’unico a coprire tutte le femmine presenti». E tutto questo malgrado i palchi (ndr: le corna) di un soggetto di grandi dimensioni che pesano attorno agli otto chili e ogni anno si rinnovano nel giro di pochi mesi. Palchi che seguono anch’essi un proprio destino: «All’inizio degli amori è un’arma pronta a minacciare e lottare, mentre dopo l’accoppiamento è solo un peso e, a fine inverno, le perderà». Così il re del bosco deporrà la sua corona.