I no aiutano a crescere, ma troppi divieti rischiano di avere l’effetto contrario. Allora l’obiettivo è iniziare il nuovo anno scolastico, che segna il ritorno alla (faticosa) quotidianità dopo le vacanze, senza essere costrette a trascorrere le giornate a dire NO!. Al Caffè delle mamme la domanda s’impone: possiamo rivalutare il potere del SÌ senza diventare succubi dei nostri figli?
A partire dal 1999 la psicoterapeuta infantile londinese Asha Phillips con il manuale I no che aiutano a crescere (ed. Feltrinelli), ormai alla 45esima edizione, si è fatta portavoce della linea più intransigente: «Dicendo no forniamo al bambino un modello che lo aiuterà a cavarsela quando si sente sopraffatto». In un’epoca in cui i figli rischiano di venir su troppo viziati, tra perdita di autorevolezza dei genitori e sensi di colpa delle mamme lavoratrici, il saggio è interpretato come un richiamo a una maggiore severità. Con lo scopo di evitare che il bambino si creda onnipotente. Dopotutto nessuno di noi vuole in casa piccoli tiranni.
Forse, però, è arrivato il momento anche di prendere in considerazione il rischio di white noise: i continui divieti possono diventare un rumore di sottofondo a cui i figli non danno più retta. Si può crescere con continue negazioni? Uno dei più noti pedagogisti italiani, Daniele Novara, fondatore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza, anticipa ad «Azione» i contenuti di Organizzati e felici, il nuovo saggio che uscirà a ottobre per Bur-Rizzoli, in cui torna su un tema affrontato anche nel 2016 in Punire non serve a nulla: «Il genitore che voglio presentare, in grado di raggiungere i propri obiettivi educativi, punta a una buona organizzazione anziché ai dialoghi infiniti, alle discussioni, agli scambi verbali di ogni tipo – dice il pedagogista –. Non è la pura e semplice relazione che garantisce la crescita dei figli, non è parlare con loro che li educa, ma organizzare bene tutto ciò che serve alla loro crescita. “Sbrigati!”, “Mangia!”, “Studia!”, o addirittura “Dormi!” sono comunicazioni che attivano il pensiero dicotomico infantile e fanno scattare un meccanismo di contrapposizione creando il tipico muro contro muro da cui poi il genitore difficilmente esce bene. I bambini infatti riescono a dare il meglio di sé nel muro contro muro, mentre i genitori si ritrovano solo in una trappola emotiva. La regola non è un divieto».
Abbiamo bisogno di esempi concreti, eccoli qui.
Uno: «Un bambino di 3 anni, dopo essere stato malato per alcuni giorni, vuole misurare la febbre al gatto di peluche. Cerca insistentemente il termometro, uno vero, e tormenta la mamma che ovviamente non vuole darglielo – spiega Novara –. L’adulto si innervosisce e sbotta: “Basta! Il termometro non è un gioco, puoi farti male. Smettila!”. Si crea così una tensione relazionale inutile, perché in fondo il bambino chiede all’adulto solo di entrare nel suo pensiero magico». Quale può essere il comportamento alternativo? «La mamma invece di opporsi all’idea in sé gli offre un’alternativa, acconsentendo, ad esempio, a patto che sia lei, adulta, a misurare la febbre al pupazzo. È davvero difficile che un bambino, una volta che si è entrati nella logica del suo pensiero, non si adatti, perché in fondo la sua è un’operazione magica a tutti gli effetti. È importante che i genitori imparino ad assumere questa prospettiva e che, nei limiti del possibile, siano disponibili a giocare sul piano immaginario e fantastico dei figli».
Due: «Puoi giocare con la Wii o con il tablet o guardare la tv mezz’ora, dopo aver finito i compiti» può essere più utile che dire: «No all’Ipad perché non hai finito i compiti».
Tre: «Bisogna andare a scuola con vestiti comodi. Puoi mettere la gonna una volta alla settimana» suona meglio di un divieto assoluto così come: «Puoi andare alla festa ma non restare a dormire lì con i tuoi amici. Devi essere a casa entro l’una».
Attenzione, però: ciò non vuole dire infilarsi in estenuanti discussioni con i propri figli, bensì offrire una chiarezza di regole che consenta ai bambini di procedere in modo adeguato, di sapere esattamente cosa è possibile e cosa non è possibile, di avere una cornice di riferimento esplicita. È mortificante per un bimbo dovere chiedere il permesso per ogni cosa, così come è sfinente per un genitore ripetere NO in continuazione. Ripete Novara: «L’organizzazione prevede chiarezza di richieste, indicazioni, orientamenti operativi/pratici ai bambini che amano essere abitudinari. Una volta, per dire, che hanno capito che la regola è non mangiare davanti alla tv, dopo un po’ non lo chiederanno più».
Del resto, William Ury, autore di bestseller e direttore del Global Negotiation Project della Harvard Law School, mette sull’avviso: «Il grande problema di oggi è che abbiamo fatto divorziare i nostri SÌ e i nostri NO. SÌ senza NO è buonissimo, mentre NO senza SÌ è guerra. Il SÌ senza NO distrugge la propria soddisfazione, mentre il NO senza SÌ distrugge il rapporto con gli altri. Abbiamo bisogno dell’uno e dell’altro insieme. La grande arte è imparare a integrarli e a sposare il SÌ con il NO».
La sfida raccolta al Caffè delle mamme è complessa: costruire nella vita quotidiana con i propri bimbi degli automatismi che ci permettano di non essere risucchiati in una spirale di NO, ma di godere talvolta del potere del SÌ.