Tra i milioni di scatti fotografici della storia del ciclismo ce n’è uno che è rimasto scolpito nel profondo del cuore degli appassionati: il passaggio di borraccia tra Fausto Coppi e Gino Bartali sulle rampe del Puy-de-Dôme. Era il 17 luglio del 1952. Si correva la 19a e terzultima tappa del Tour de France. Un’edizione dominata dal Campionissimo con quasi mezz’ora di vantaggio sul belga Stan Ockers.
Non importa chi dei due offrisse o ricevesse da bere in quella giornata torrida. In quella foto è racchiusa l’essenza del ciclismo. L’Airone e Ginettaccio non erano amici, ma neppure nemici. L’inimicizia in gruppo è merce rara. Il Piemontese e il Toscano erano due rivali, correvano con due maglie diverse, al servizio di due padroni diversi. Ma nel ciclismo non si lascia nessuno a bocca asciutta. In gruppo ci si scambiano bevande, panini, gel liquidi, zuccheri. Sempre, tranne nei finali di corsa, quando magari si spera che l’avversario venga colto da una potentissima «fringale», la crisi di fame che riduce le gambe in pappa. Negli ultimi chilometri non si chiede e non si dà. Si studiano i volti, le posture, gli sguardi per capire chi sta bene e chi è al gancio. Almeno queste astuzie gliele dobbiamo concedere. Sono carini i ciclisti, ma non perfetti. E che diamine!
La lingua italiana ha un termine molto pertinente per definire chi, in una squadra è chiamato ad aiutare: «gregario», dal latino «grex, gregis», ovvero, «facente parte del gregge». Essere gregario significa appartenere a una comunità. Meraviglioso, molto più efficace del francese «domestique», che sottintende un rapporto servile, o dei più generici «helfer» e «helper», che non esaltano a sufficienza la relazione simbiotica tra chi corre per vincere, e chi si mette in gioco affinché ciò possa accadere.
Storicamente, il gregario è sinonimo di dedizione, lealtà, fedeltà e sacrificio. Non a caso chi garantisce una qualità elevatissima, chi porta il proprio velocista in posizione ideale fino ai 300 metri, chi resiste accanto al capitano fino alle rampe conclusive, viene adeguatamente ricompensato. Chi conosce il ciclismo capisce che non sto raccontando una fandonia, o intuisce, perlomeno, che la verità non è molto lontana. Agli altri, libertà di credere e approfondire, oppure di sorridere per cotanta ingenuità.
Arunas Matelis, regista lituano di Vilnius, ha voluto andare oltre, e ha tentato di raccontare questi sentimenti. A quanto pare, lo ha fatto molto bene poiché il suo film-documentario Wonderful Losers (I fantastici perdenti) è fra i candidati all’Oscar nella categoria «Miglior film straniero». Arunas ha colmato un vuoto suo personale, quello di un ex ragazzino che correva in bici e che avrebbe voluto essere un professionista. Ha ottenuto la fiducia degli organizzatori del Giro d’Italia per filmare dalla pancia del gruppo, ed è riuscito a farsi accettare anche dai corridori, impresa tutt’altro che scontata, visto che, a partire dalle grandi indagini sul doping degli scorsi decenni, telecamere, cineprese, microfoni e taccuini sono visti come dei nemici.
L’operazione Wonderful Losers ha pure colmato un vuoto storico poiché, nel ciclismo moderno nessuno era mai riuscito a cogliere così bene l’anima dei gregari, riuscendo a scandagliarla dall’interno. Davanti agli occhi dello spettatore scorrono le immagini di alcune tra le vicende più toccanti degli ultimi anni. Come ad esempio quella di Paolo Tiralongo nella salita finale verso Macugnaga al Giro d’Italia del 2011. Lui, lavoratore siciliano con un cognome da gregario, in fuga, lanciato verso la sua probabile prima vittoria in carriera, a 34 anni suonati, viene avvisato che dietro, dal gruppo, è partito come una scheggia la maglia rosa Alberto Contador. Proprio quel Contador che l’anno precedente aveva più volte beneficiato del suo prezioso aiuto. Che infame cannibale, avranno pensato in molti. Già, valori universalmente riconosciuti, spazzati via per una vittoria di tappa da parte di un campione che aveva già iscritto il proprio nome nell’albo d’oro dei tre Grandi Giri. Invece no, i romantici potranno continuare a credere che nel ciclismo ci sono delle regole non scritte che nessuno osa e oserà infrangere. E se qualcuno vorrà scoprire come si concluse realmente quella tappa, e conoscere anche le altre storie raccontate dal sensibile regista lituano, potrà accomodarsi in platea. Da domani Wonderful Losers approderà nelle sale cinematografiche della Svizzera Italiana.