Questa è la settimana del primo agosto e in molti discorsi ufficiali ci sarà come sempre un forte riferimento alla storia della Svizzera e alla necessità di saper guardare al passato per poter cesellare il futuro del nostro Paese. Propositi nobili e più volte ribaditi, non solo nel giorno del Natale della Patria. La realtà dei fatti è però ben diversa, la storia svizzera viene spesso confinata in una zona d’ombra, lontana dalle priorità più immediate del nostro Paese. Ne è un esempio il destino della Fondazione Marthe Gosteli, con sede a Worblaufen nel canton Berna. Forse poco conosciuta al grande pubblico, non solo a sud delle Alpi, questa fondazione gestisce e finanzia con fondi propri un archivio interamente dedicato alla storia dei movimenti femminili del nostro Paese. Conserva ad esempio i documenti delle oltre duecento organizzazioni che già a partire dal diciannovesimo secolo si sono impegnate per difendere le rivendicazioni e i diritti delle donne. Ora dopo 35 anni di esistenza questa istituzione privata vede la propria esistenza compromessa per mancanza di finanziamenti. «Sarebbe una perdita gravissima», ci dice Doris Fiala una delle cinque consigliere nazionali all’origine di un postulato, presentato la scorsa primavera, in cui si chiede al Consiglio federale di intervenire finanziariamente per garantire un futuro a questa fondazione. «Questo archivio conserva i documenti fondamentali di tutti i movimenti femminili svizzeri – ricorda la deputata liberale-radicale – Si tratta di una pagina molto importante della storia del nostro Paese. Solo salvando il lavoro di questa fondazione riusciremo a preservare la memoria del grande impegno delle donne teso a garantire la parità dei diritti, obiettivo del resto non ancora raggiunto oggi».
Un archivio creato nel 1982 da Marthe Gosteli, l’inesauribile combattente per i diritti della donna, deceduta all’età di 99 anni lo scorso 7 aprile. Gosteli fece della battaglia per la parità il centro della sua esistenza e per questo motivo decise di non sposarsi e di non avere figli. «Se lo avessi fatto – disse più volte – non avrei avuto il tempo necessario per sostenere le rivendicazioni femminili nel nostro Paese». Figlia di contadini e per decenni impiegata presso l’ambasciata statunitense a Berna, la signora Gosteli aprì questo archivio nella sua casa natale una volta raggiunta l’età del pensionamento e continuò a lavorarvi fino alla sua scomparsa. Un impegno che non si esaurì il 7 febbraio del 1971, giorno in cui in votazione popolare – si espressero allora unicamente gli uomini – venne finalmente garantito il diritto di voto e di eleggibilità anche alle donne. Dopo anni di rivendicazioni e di proteste popolari, la Svizzera fu così uno degli ultimi Paesi occidentali a compiere questo passo fondamentale per la parità dei diritti tra i sessi.
L’azione di Marthe Gosteli continuò anche dopo quella vittoria epocale e si concretizzò proprio nella creazione dell’archivio storico. «È il solo archivio completo che racconta la storia del movimento femminile svizzero – aggiunge ancora Doris Fiala – Adesso che Marthe Gosteli è scomparsa il nostro Paese rischia di perdere questa importante memoria storica. Sono una politica fedele ai valori liberali e in attesa della risposta del Consiglio federale ai nostri postulati mi sono impegnata a trovare questi soldi nell’economia privata, magari attraverso l’intervento di una fondazione. Finora non ho avuto molto successo. Ho ricevuto per il momento alcune risposte negative, anche se tutte le persone con cui ho parlato si sono dette convinte dell’importanza dell’archivio Gosteli. Continuerò ad impegnarmi in questo senso ma se non dovessi riuscire a concretizzare il mio obiettivo penso proprio che toccherà alla Stato dover intervenire». In altre parole alle casse pubbliche. Finora sono due le istituzioni chiamate in causa per dare un futuro alla fondazione, la Confederazione e il canton Berna, dove ha sede l’archivio Gosteli. Entrambi hanno ribadito a parole l’importanza della fondazione e la necessità di trovare una soluzione al problema del suo finanziamento, ma per il momento non hanno ancora compiuto alcun passo tangibile in questo senso. Tra gli obiettivi da concretizzare – e anche ben inteso da finanziare – c’è quello della digitalizzazione dell’archivio, per renderlo accessibile a tutti attraverso i canali delle nuove tecnologie. «Se riuscissimo a farlo, sarebbe una vera e propria rivoluzione – sottolinea la consigliera nazionale Doris Fiala – perché questa digitalizzazione aprirebbe virtualmente le porte dell’archivio a qualsiasi persona interessata. Penso in particolare alle giovani generazioni, che non hanno conosciuto direttamente la Svizzera di quegli anni e che oggi si meravigliano quando scoprono quale è stato il tipo di vita condotto in passato dalle donne del nostro Paese».
Tra chi ha consultato l’archivio di recente c’è anche la regista Petra Volpe. L’autrice del film Die göttliche Ordnung – L’ordine divino, in italiano – ha dato vita ad uno dei principali personaggi della pellicola dopo aver trovato alcuni documenti proprio presso l’archivio Gosteli. Il suo film è uscito quest’anno ed è il primo lungometraggio che racconta la storia dei movimenti femminili svizzeri, concentrandosi in particolare sulla lotta per l’introduzione del diritto di voto e di eleggibilità. «Quando sono nata e ancora per i decenni successivi l’uomo si occupava della cosa pubblica, la donna della famiglia – amava ricordare Marthe Gosteli – era un ordine prestabilito e c’è voluta tanta forza e determinazione per cambiarlo». Capacità ancora oggi necessarie per garantire in primo luogo la parità tra i sessi e anche per dare un futuro all’archivio Gosteli. Affinché la necessità di preservare la nostra memoria collettiva non sia soltanto un tema che ascoltiamo ogni anno nei discorsi del primo di agosto.