«Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa? Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza?», questo si chiede lo scrittore Milan Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere, e riporta che questa domanda se l’era posta Parmenide già nel sesto secolo avanti Cristo: «Egli vedeva l’intero universo diviso in coppie di opposizioni: luce-buio, spesso-sottile, caldo-freddo, essere-non essere».
La suddivisione in poli positivo-negativo può apparire semplicistica, salvo in un caso: che cos’è positivo nella vita, la pesantezza o la leggerezza? Non sappiamo se l’idea di Parmenide, secondo cui il leggero è positivo e il pesante è negativo, sia la chiave del problema, ma come scrive Kundera: «L’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni». Ne parliamo con lo psichiatra e presidente dell’associazione ASI-ADOC (Associazione della Svizzera italiana per i disturbi d’ansia, depressivi e ossessivo-compulsivi), Michele Mattia, al quale chiediamo dove si situa la depressione, e come alleviarne o guarirne il peso, spesso insostenibile, che comporta.
Parliamo di uno dei disturbi psichici fra i più diffusi, tant’è che in Europa una persona su 10 ne soffre, così come in Ticino. Una sindrome che comporta indubbiamente un profondo impatto sulla qualità di vita, la cui cura è sovente ostacolata da pregiudizi, paure e scarsa informazione. Ciò ha mosso il Dipartimento Sanità e Socialità del Cantone a promuovere una campagna di sensibilizzazione a favore della salute mentale (Alleanza contro la depressione in Ticino), e l’associazione ASI-ADOC a organizzare un convegno a tema (Depressione: dialogo fra le scuole di terapia) che si svolgerà il 5 aprile al Teatro Sociale OSC di Mendrisio. Un seminario scientifico aperto a tutti gli interessati, previa iscrizione telefonica o per email (studiomattia(at)michelemattia.ch).
«La depressione è il disturbo psichico che costituisce la diagnosi psichiatrica più trattata negli ospedali svizzeri; tradotto in franchi il “costo” che genera si attesta sugli otto miliardi l’anno», afferma il DSS. Con il dottor Michele Mattia parliamo delle cause, dei sintomi e della via da intraprendere per curarsi. Perché curarsi si può, anzi: si deve. «Nella società odierna c’è troppo trambusto e ciò crea maggiore insicurezza. Pare banale, ma è fondamentale perché l’insinuarsi dell’insicurezza dentro di noi ci porta a una maggiore predisposizione allo sviluppo di un disagio».
I fattori genetici sono predisponenti: «Le cause della depressione si situano fra una predisposizione genetica, i fattori ambientali e, in genere, gli elementi di “eccesso” possono concorrervi. Le cause riconosciute in misura maggiore riguardano gli eventi drammatici, le malattie gravi, lo stress, le problematiche lavorative e le difficoltà finanziarie, la fine di una relazione o la scomparsa di una persona cara». Il nostro interlocutore sottolinea però il fatto che un motivo scatenante «esterno» non è, da solo, condizione sufficiente perché la malattia si sviluppi.
Riconoscerne i sintomi non è sempre facile, soprattutto per la persona stessa, mentre famigliari e amici sono, in genere, sensibili unicamente se hanno già vissuto eventuali esperienze pregresse dirette o indirette: «La persona si sente stanca, il risveglio è pesante, i pensieri si fanno negativi, tutto rallenta ed entra nella dimensione di “faccio ciò che devo, con fatica, ma non ciò che vorrei”; il piacere relazionale, di vita, alimentare, cominciano a sfumare sempre di più; l’energia diminuisce e si entra nella dimensione dell’apatia. In campo cognitivo ci si sente meno stimolati, la volitività e la spinta vitale si riducono, il pensiero diviene di tipo colpevolizzante (“non sono più in grado di fare”). Subentra l’incapacità di vedere un futuro positivo, mentre il pensiero è bloccato su dinamiche depressive che si autoalimentano in modo inconsapevole».
Già, perché è sbagliato pensare che si tratti di volontà, o che con la forza di carattere si possa uscire da uno stato depressivo, ma bisogna superare i pregiudizi che permeano dalla notte dei tempi questa patologia e le relative cure. Pure la scrittrice Oriana Fallaci affermava che «è incredibile come il dolore dell’anima spesso non venga capito: ci si piega su se stessi, si rimane soli». Di fatto, un braccio rotto si vede e si cura, così è per un’influenza, ma se si ha «l’anima a pezzi» c’è chi nemmeno se ne accorge, chi sminuisce e biasima, chi ne ha paura e si allontana.
Il dottor Mattia ha la certezza dell’importanza di riuscire a superare il pregiudizio rispetto alla parola «psichiatra» («fa ancora troppa paura»): «Se riconosciamo la nostra malattia, potremo curarla adeguatamente, altrimenti si entra in cure alternative o addirittura di fortuna, che rallenteranno di parecchio la possibilità di recupero, perché più agiamo tardi e più i sintomi si saranno radicati all’interno della mente: le radici profonde richiedono più tempo per essere estirpate».
Non bisogna temere di chiedere aiuto alle persone competenti, cominciando dal medico di famiglia che saprà, nel caso, indirizzare il suo paziente allo psichiatra: «È nostro compito promuovere le conoscenze per riconoscere la depressione come una sindrome da curare esattamente come si fa con una patologia somatica, sfatando la banalizzazione e lo stigma che sono il mantello che permette alla società di guardare altrove, e infondendo consapevolezza che agisce sul comportamento».
La consapevolezza della malattia conduce alla cura: «La terapia poggia su tre pilastri fondamentali: la psicoterapia, la farmacoterapia e la stimolazione di un’igiene di vita antidepressiva». Lo specialista indica la psicoterapia come fondamentale: «Si lavora sui fattori scatenanti l’episodio depressivo, sui pensieri depressivi disfunzionali e sulla capacità di elaborare le cause che, se non rivedute, potrebbero portare a una recidiva». L’aderenza alla farmacoterapia è fondamentale: «L’antidepressivo deve essere assunto per lungo tempo: inibisce la ricattura della serotonina, aiuta a nutrire i neuroni, aumentandone la popolazione; smettere di propria volontà è un errore».
Lo stile di vita farà poi la differenza: «Un’igiene di vita antidepressiva permetterà di tenere lontani i fattori recidivanti». Il «dolore dell’anima» non va giudicato, ma va compreso: «La fatica del percorso di cura porta verso la leggerezza: in quel momento ci sentiremo sgravati dai sintomi depressivi». Quella «leggerezza dell’essere», che quando si fa «insostenibile» va curata: «Nel percorso di cura della depressione l’anima diventerà via via più leggera. Ecco, dalla depressione si può guarire, e si riprende a vivere diventando molto più leggeri». Perché fra pesantezza e leggerezza della vita, abbiamo compreso che la chiave sta nel trovare il giusto equilibrio.