Il calore del finocchio

Fitoterapia - Da tempi lontani risolve piccoli problemi digestivi ed è un amico fedele per i nostri occhi
/ 11.03.2019
di Eliana Bernasconi

«Ha un piacevole calore e non è di natura secca né fredda (…) E comunque lo si mangi rende allegro l’uomo e gli conferisce (…) un buon sudore e favorisce la digestione». Lo affermava nell’epoca delle crociate un’umile monaca, teologa e badessa in un monastero benedettino che, sulle rive del Reno, anticipava le scoperte della moderna medicina. Hildegard von Bingen, (1098-1179), in armonia con la cultura del suo tempo, spiegava che cinque elementi costituivano l’intero universo: il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria, l’etere. Attribuiva a ognuno di loro quattro qualità: caldo, secco, freddo e umido. La proprietà curativa di una pianta dipendeva dalla prevalenza di una di queste qualità. 

Al di sopra di tutto vi era l’«Energia verdeggiante» (in latino Viriditas). Quando questa energia si esauriva, si spezzava un equilibrio e l’organismo si ammalava. Per cui, facendo uso di una pianta che conteneva la qualità necessaria mancante si poteva ritrovare tale energia che governava ogni essere nel cosmo. Hildegard già aveva compreso che a ogni singolo individuo occorreva sperimentare il rimedio specifico per la propria costituzione. 

Per la monaca erborista, che prescriveva l’uso dei semi di finocchio (Foeniculum vulgare) contro la follia causata dal vino nell’uomo, questa pianta erbacea era soprattutto un rimedio oculistico: «Se qualcuno ha gli occhi grigi e vede in qualche modo offuscato e gli dolgono e se quel dolore è ancora nuovo, macini del finocchio o i suoi semi, ne prenda il succo e la rugiada che trova sull’erba giusta e un po’ di farina fina, ne faccia una tortina e la notte la ponga sugli occhi e vi leghi sopra un panno e starà meglio». E continuava aggiungendo che «se negli occhi non completamente limpidi insorgono nebbia e dolore, si macini il finocchio se si è in estate, o se si è in inverno si pongano i semi ben macinati nel bianco d’uovo ben schiumato e quando si va a dormire lo si ponga sugli occhi, questo ridurrà la nebbia». 

Anche in epoca rinascimentale si prescriveva il succo spremuto dalla pianta ed essiccato al sole per medicare «i difetti de gli occhi» che impediscono di vedere. Il medico senese Mattioli, vissuto nel Cinquecento, fra i primi grandi studiosi del sapere scientifico fitoterapico, narrava che in Iberia i contadini raccoglievano dal finocchio un liquore simile a una gomma utile nelle patologie oculari. Si resta increduli constatando la precisa concordanza di simili consigli provenienti da luoghi del mondo fra loro tanto lontani; ci si chiede ad esempio come potessero credere gli antichi romani, se è vero quanto ci è tramandato, che i serpenti succhiavano la linfa dei finocchi per migliorare la loro vista…

Per Egizi, cinesi e indù la pianta era infatti un antidoto contro i veleni di scorpioni, serpenti e insetti vari, e nella Roma antica anche Plinio la raccomandava a chi era debole di vista e voleva dimagrire. Ci si chiede allora se, nell’era dei viaggi spaziali, la pianta possa conservare intatti i suoi poteri, e niente troviamo che ci dimostri il contrario. Era anche una delle nove piante sacre presso i Germani: gli si attribuiva il potere di allontanare le forze maligne. Carlo Magno ne aveva resa obbligatoria la coltivazione negli orti dei conventi, insieme a note erbe aromatiche come rosmarino, salvia e menta.

Della famiglia delle Ombrellifere, il Finocchio (Foeniculum vulgare) è una pianta erbacea perenne, conosciuta per uso alimentare da secoli. Le specie coltivate sono annue o biennali. Nativo dell’area mediterranea, per alcuni di origine asiatica, cresce selvatico in luoghi secchi, assolati, ciottolosi e incolti. Le sue foglie, verde cedro e finemente incise, sono aromatiche. Fiorisce da giugno ad agosto in piccoli fiori gialli raccolti in ombrelle, i semi, la parte più preziosa di questa straordinaria pianta, seccando aumentano il loro gradevolissimo e inconfondibile aroma. 

In fitoterapia si usano principalmente le radici, raccolte da settembre a novembre ed essiccate al sole: sono diuretiche, sudorifere e depurative. Per uso esterno – come detto – sono decongestionanti per gli occhi. I frutti, in commercio e detti comunemente semi, si raccolgono da agosto a novembre. Arcinote e popolari sono le loro proprietà digestive nel trattamento di problemi legati all’ambito gastrointestinale, come fermentazioni e meteorismo. Essi inducono un aumento della saliva, e agiscono anche nelle affezioni delle vie respiratorie, in particolare in presenza di catarro. Hanno, infine, qualità aperitive, espettoranti e antisettiche. Dalla radice e dai frutti si ricava l’estratto fluido, aromatico e stomatico che, con piante come cumino, menta, zenzero e peperoncino, è anche carminativo (cioè promuove l’espulsione di gas da stomaco e intestino). Per uso interno si prepara un infuso con un cucchiaino di semi in una tazza di acqua bollente che si filtra dopo cinque minuti e si beve dopo i pasti o all’occorrenza. Per uso esterno si usa il decotto della radice al 2% o l’infuso dei semi al 3% come collirio, per lavaggi oftalmici o affaticamento degli occhi.

Concludiamo con una curiosità. Vi hanno mai detto: «Non farti infinocchiare»? (Cioè, raggirare?) Ebbene l’espressione ha origine in una raccomandazione che veniva fatta agli acquirenti meno esperti di vino, che spesso, quando questo era di qualità scadente, veniva trattato con semi di finocchio dal forte aroma che ne mascherava il cattivo odore e sapore. 

Bigliografia 
Gabriele Peroni, Trattato di Fitoterapia Driope, Nuova Ipsa editrice