I riflettori che fanno la differenza

Mondoanimale - La vita è imponderabile e una morte improvvisa può capitare anche ai cavalli abituati a gareggiare in una competizione
/ 14.08.2017
di Maria Grazia Buletti

Aveva già fatto notizia, circa sette anni fa, un’altra perdita di rilievo. Accadde durante la tappa di qualificazione di Verona della Rolex FEI World Cup: una gara ippica di salto a ostacoli che vide soccombere al suolo Hickstead, il cavallo di Eric Lamaze, medaglia d’oro olimpica nel 2008, allora numero uno al mondo della disciplina. 

«La perdita di ogni cavallo, ma specialmente di uno con il carattere e la storia di Hickstead, è sempre uno shock per tutti, ma il nostro pensiero va al difficilissimo momento di Eric Lamaze (ndr: per l’appunto, il suo cavaliere e compagno di cotanti allori sportivi)», così dichiarò il direttore del servizio veterinario della manifestazione ippica subito dopo la morte del valoroso cavallo, dalla cui autopsia risultò «una catastrofica rottura dell’aorta (ndr: il nostro più grande vaso sanguigno) con immediato infarto cardiaco»: il destino e, soprattutto, un evento tanto nefasto quanto imprevedibile. 

Si è ripetuto a fine luglio, al Concorso di salto internazionale di Ascona, quando è stata la volta di Rock’n’Roll, un cavallo di 18 anni montato dall’amazzone Corina Sorg (con cui formava un binomio di successo da parecchio tempo). Rock’n’Roll si è accasciato improvvisamente al suolo, rimanendo esamine. Anche questa volta si può desumere si sia trattato di un infarto. In entrambi i casi si trattava di cavalli sani, da considerare a tutti gli effetti dei veri e propri atleti, dunque allenati e avvezzi agli sforzi che le competizioni ippiche richiedono al cavallo come pure al cavaliere o all’amazzone che vanno a formare il binomio gareggiante. 

«Una relazione assolutamente equilibrata, quella del cavaliere con il proprio cavallo, che vede quest’ultimo darsi da fare con un’immensa forza di volontà e passione: mi commuove quest’attitudine alla disponibilità del cavallo verso l’essere umano, che a sua volta, non dimentichiamolo, domesticandolo lo ha pur sempre salvato sottraendolo al suo destino legato al fatto di essere, in natura, un animale con poche risorse per difendersi dai predatori», spiegava a chi scrive il veterinario in capo dell’équipe veterinaria Pierre Alain Glatt durante il Concorso ippico internazionale di Ginevra del 2014. 

Certo è che questi fatti di cronaca – ancorché rarissimi se considerata la quantità di partenze in gara per anno (si parla di milioni) – proprio perché accadono sotto i riflettori, danno adito a una marea di pensieri, insinuazioni, dubbi e domande a cui abbiamo cercato di dare ordine con una chiacchierata avuta con il veterinario Stefano D’Albena, che ci ha accolti con qualche chiara precisazione: «Per prima cosa, dobbiamo ammettere che nessun cavaliere vorrebbe veder morire il proprio cavallo, né in gara né mai, ma la vita e le sue imponderabilità ci mettono talvolta dinanzi a fatti inimmaginabili, che però bisogna affrontare senza giudizio e pregiudizio». 

D’Albena ricorda che il cavallo è a tutti gli effetti un partner sportivo dell’uomo e che i cavalli atleti sono assolutamente curati, sani e sottoposti a continue visite di controllo e verifiche veterinarie: «Anche alla vigilia di ogni manifestazione ippica importante, è d’obbligo la visita veterinaria dell’animale che, se presenta sintomi di qualsiasi genere, sarà sottoposto a ulteriori approfondimenti ed eventualmente ritirato dalla competizione». Ciò significa che, in questi casi, quanto accaduto ai due cavalli non era prevedibile nemmeno a livello veterinario: «Come per gli esseri umani (pensiamo ad esempio a quei giovani calciatori che soccombono in campo), il cuore può risultare sano e asintomatico alla visita, ma poi può capitare un infarto assolutamente imprevedibile».

Anche il dottor Glatt ci aveva confermato la cura nella scelta dei cavalli impiegati a livelli sportivi agonistici così alti: «Sono soggetti selezionati secondo la loro attitudine (dunque contenti di gareggiare assieme all’uomo) e nascono con le qualità che dimostrano in gara, sotto la guida del cavaliere o dell’amazzone che comunque deve fare la sua parte nel condurre l’animale al buon risultato». Ciò significa che nessun cavaliere maltratterebbe il proprio cavallo o gli infliggerebbe coscientemente una morte indecorosa, come puntualizza D’Albena: «Uno che ha un cavallo e lo porta in gara investe parecchio tempo, denaro e affetto nella relazione con il suo partner sportivo e non auspica certo un epilogo del genere, che può però succedere seppur davvero rarissimamente».

Due eventi rarissimi, dunque, e imprevedibili perché la morte può sopraggiungere anche così, senza sintomi e soprattutto senza avvisare. Solo che in questi casi i riflettori della gara amplificano il fatto oltre ogni limite e spesso ci si chiede se non fosse stato il caso di mettere in pensione il cavallo invece di continuare a farlo gareggiare a 18 anni. D’Albena è chiaro anche su questo: «È il cavallo a mostrarci quando è arrivato il momento di rallentare (ndr: Rock’n’Roll già partecipava solo a qualche gara amatoriale rispetto a quelle impegnative internazionali che lo avevano visto vincente da giovane), ma attenzione: un cavallo che non fa più l’attività sportiva a cui è avvezzo può sentirsi abbandonato, perde muscolatura, non è più brillante e si lascia andare».

L’amore del cavaliere che ben conosce il proprio cavallo saprà valutare tempi e misura dell’attività dell’animale affinché questo non succeda. «E poi, premesso che la morte fa parte della vita e prima o poi sopraggiunge per chiunque, proviamo a pensare a come muoiono certi cavalli che subiscono una colica: devono essere trasportati in clinica in condizioni criticissime, sotto morfina, magari operati e, dopo qualche giorno di sofferenze necessarie per provare a salvargli la vita, può essere che bisogna praticare un’eutanasia a causa del sopraggiungere di una setticemia che non lascia scampo. Questi cavalli, che non sono sotto gli occhi di tutti, non fanno discutere, ma la loro morte è certamente più dolorosa di quella che, né più né meno rispetto a quanto accade nel mondo delle persone, può sopraggiungere in seguito a un infarto improvviso mentre stanno facendo qualcosa che amano fare insieme al loro amico umano».