Che i nuovi media siano parte integrante della vita dei millennials è un dato di fatto. Ma quali sono i principali media utilizzati dai ragazzi in Svizzera? Con quale frequenza e con quali motivazioni? Quali sono le loro competenze mediatiche? A questi ed altri interrogativi rispondono Mike e James, due ricerche nazionali dirette dall’Alta Scuola di scienze applicate di Zurigo (ZHAW) e condotte nelle tre regioni linguistiche del Paese. Per la Svizzera italiana, la Facoltà di scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana è partner di ricerca.
«Concretamente un gruppo di ricercatori dell’Istituto Media e Giornalismo si occupa di organizzare e coordinare la ricerca. Questa si svolge intervistando i bambini e i ragazzi e somministrando il sondaggio ai genitori e, successivamente, analizzando i dati ottenuti, che possono poi servire ad autorità, istituzioni, professionisti del settore scolastico e genitori per valutare la rilevanza dei media nella vita dei giovani», spiega Eleonora Benecchi, responsabile di James e co-responsabile di Mike per la Svizzera italiana. Lo studio James è condotto ogni due anni dal 2010 e coinvolge circa 1000 giovani tra i 12 e i 19 anni; la prima edizione di Mike – incentrata su poco più di mille bambini dai 6 ai 13 anni e su oltre 600 genitori – è invece quella del 2014-15. «Stiamo al momento svolgendo la seconda edizione, i cui risultati usciranno nel 2018», precisa Eleonora Benecchi, che è anche docente di Cultura Digitale e ricercatrice post-doc per l’Istituto Media e Giornalismo.
È quindi lo studio James che al momento attuale consente di mettere in luce delle tendenze relative all’uso che i nativi digitali fanno dei media nel loro tempo libero. Secondo le loro dichiarazioni, durante la settimana i giovani trascorrono online 2 ore e 30 minuti, il weekend 3 ore e 40 minuti, dati che corrispondono ad un aumento del 25% rispetto alla rilevazione del 2014. Su questo incremento ha verosimilmente influito la diffusione degli abbonamenti forfettari per i dispositivi portatili, grazie ai quali l’utilizzazione mobile di internet non sottostà più a un limite di dati.
La disponibilità economica è uno dei fattori che maggiormente influisce sul rapporto tra i giovani e i media, in particolare sul numero e sulla varietà dei dispositivi che essi hanno a disposizione. «Si tratta quindi di un fattore socio-economico che ha anche un impatto culturale – continua Eleonora Benecchi – nonostante aumentino i dispositivi che i ragazzi usano e il tempo che trascorrono online, ci ha stupito osservare come essi mantengano degli spazi di “decompressione” dalle nuove tecnologie, che restano quelli di sempre, e cioè incontrare gli amici e fare sport. Questo, anche se non abbiamo il raffronto temporale, è vero anche per i bambini del Mike: in questa fascia d’età, le attività preferite restano quelle del gioco e lo sport».
Il periodo preso in considerazione dallo studio Mike, quello delle scuole elementari, coincide in genere con l’approccio dei bambini ai nuovi media. Di conseguenza sia la scuola che la famiglia rivestono un ruolo importante nel determinare il rapporto dei bambini con questi dispositivi. Le caratteristiche della famiglia – in particolare livello d’educazione e origine – hanno un’influenza significativa sull’uso dei media da parte dei bambini. Quelli che frequentano le scuole elementari imparano generalmente ad usare i media osservando e imitando i genitori, che rimangono quindi dei modelli. Lo studio dimostra però che l’influenza tra genitori e figli in questo caso non è univoca, ma piuttosto reciproca, tanto che si può parlare di «media familiari» per indicare i dispositivi utilizzati da grandi e piccoli, spesso con una frequenza simile.
Visto che si tratta di media condivisi, è bene fissare dei momenti in cui tutta la famiglia ne limiti l’utilizzo, per esempio durante i pasti, i momenti comuni di svago e la sera nelle camere. Si arriva così a toccare il tema delle regole, molto caro ai genitori. «Dai dati di cui disponiamo, i genitori risultano molto attenti all’uso che i figli fanno dei media e ben consapevoli dei rischi connessi. Nella maggior parte dei casi sono in vigore delle regole, che vanno dal divieto assoluto dell’uso di determinati strumenti, ad un uso supervisionato, oppure al ricorso a sistemi di parental control, che prevedono l’applicazione di filtri e limitazioni su pc, smartphone, tablet e tv», commenta Eleonora Benecchi.
Non sempre però le regole sono percepite come tali dai bambini. Per esempio, dallo studio Mike emerge che più di un bambino su 10 utilizza il suo cellulare almeno una volta la settimana all’ora in cui dovrebbe dormire; tra quelli più grandi questa proporzione passa a uno su tre. Circa 1/3 dei bambini che possiede un cellulare proprio dichiara che nessuna regola è stata enunciata in materia di utilizzo notturno, mentre quasi tutti i genitori hanno indicato di aver definito delle regole che determinano l’ora, la durata e i contenuti dei media utilizzati. «Tra genitori e figli ci sono delle differenze di percezione. Quando interroghiamo i bambini e poi i genitori per Mike facciamo la differenza tra le regole fisse (per esempio, non si guarda la televisione a cena) e quelle più flessibili. Le regole che non sono applicate sistematicamente dai genitori non sempre sono percepite come tali dai bambini», spiega Gloria Dagnino, ricercatrice post-doc per l’Istituto Media e Giornalismo, che collabora alle ricerche Mike e James, «un altro elemento da citare nella differenza di percezione tra genitori e figli è che se da un lato la maggior parte degli adulti è preoccupata per i pericoli che i loro bambini potrebbero incontrare sulla rete, dall’altro parlando con questi ultimi si scopre che nella stragrande maggioranza dei casi essi hanno un’esperienza assolutamente positiva di internet». Semmai i bambini più piccoli indicano di aver fatto delle esperienze negative con immagini viste alla TV, che, pur nell’era di internet, resta il media dominante per questa età. «La sovrapreoccupazione dei genitori non è comunque un male, dal momento che probabilmente contribuisce a tutelare i bambini dalla visione di contenuti inadeguati – continua Gloria Dagnino – al riguardo, la fascia d’età critica coincide con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, si tratta di un periodo particolarmente delicato perché si è meno soggetti a un controllo rigido da parte delle famiglie, ma non si è ancora del tutto consapevoli dello strumento e dei rischi ad esso connessi».
Dallo studio James risulta che la consapevolezza dei ragazzi nell’uso delle tecnologie mediali c’è ed è più grande al crescere dell’età: «La maggior parte dei ragazzi tra i 16 e i 19 anni afferma di mettere in atto dei comportamenti che consentono di proteggere la privacy dei propri profili social e, nella metà circa dei casi, di aggiornare periodicamente queste impostazioni. Resta comunque importante mantenere alta l’attenzione sensibilizzando i ragazzi sia sui rischi immediati, come gli approcci indesiderati da parte di sconosciuti, sia su quelli più nascosti, come l’appropriazione di dati personali», commenta Gloria Dagnino.
Da un raffronto temporale risulta che oggi i ragazzi pubblicano meno dati personali sui social network e prediligono applicazioni come WhatsApp e Snapchat dove possono controllare meglio le informazioni relative alla propria vita privata. Dallo studio James, tra i social Snapchat risulta essere quello più usato a livello di frequenza. Assieme a Instagram, per la prima volta dal 2010, ha spodestato Facebook nella classifica dei social più usati dai giovani. «Facebook rimane il social network più popolare tra i ragazzi più grandi (18-19 anni), con percentuali oltre l’80% – precisa Gloria Dagnino – se vogliamo provare a dare un’interpretazione a questi dati possiamo dire che Snapchat, nascendo come applicazione mobile, è sempre a portata di mano e quindi organica rispetto al modo dei più giovani di rapportarsi ai media». James 2016 attesta, infatti, che smartphone e tablet stanno diventando onnipresenti nella vita dei ragazzi: i cellulari hanno raggiunto una penetrazione del 99% e si tratta quasi esclusivamente di smartphone, mentre il 40% circa dei giovani tra i 12 e i 19 anni possiede un tablet proprio.
Un altro dei risultati emersi con maggiore evidenza è il dominio del formato video nella quotidianità di bambini e ragazzi. Un terzo dei ragazzi tra i 12 e i 19 anni ha un abbonamento per un servizio di streaming, soprattutto Netflix, che consente di guardare serie TV, film, documentari e altro su una vasta gamma di dispositivi connessi a Internet. Ma il vero fenomeno è You Tube, piattaforma web per la condivisione e visualizzazione di video, fondata in California nel 2005 da tre neolaureati e successivamente acquisita da Google. Il successo del «Tubo» riguarda anche i bambini di Mike: YouTube occupa il primo posto tra le applicazioni preferite, distanziando di molto Instagram, Facebook o WhatsApp. «I ragazzi indicano il divertimento e lo svago come motivo principale per accedere alla rete e YouTube risponde bene a questa esigenza essendo una piattaforma che consente di vedere video ma anche di ascoltare musica, che sono due delle attività indicate come preferite», commenta Gloria Dagnino.