I genitori e l'educazione alle nuove tecnologie

Intervista – Lo psicoterapeuta Matteo Lancini è stato ospite di una tavola rotonda organizzata dal Decs e intitolata «Accompagnare il bambino digitale a casa e a scuola»
/ 30.12.2019
di Alessandra Ostini Sutto

Nei genitori di oggi, specie quelli con figli adolescenti o preadolescenti, le questioni relative al rapporto tra questi ultimi e le nuove tecnologie suscitano in genere un grande interesse.
Quando parliamo di come accompagnare i nostri figli, nativi digitali, in questo ambito, dovremmo però innanzitutto avere una visione chiara del ruolo della società in relazione alla tematica in questione. Oggi, infatti, vita reale e vita virtuale sono così «intrecciate» tra di loro che definirne i confini diventa sempre più difficile. Ma, soprattutto, ha ancora senso farlo?

Di questi temi si è dibattuto in occasione della tavola rotonda «Accompagnare il bambino digitale a casa e a scuola», organizzata dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport, che si è tenuta alla fine di novembre a Lugano. Relatore della serata è stato Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, con studio a Milano. Lancini, che è presidente della Fondazione Minotauro e docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca, ha dedicato vari libri agli adolescenti e ai pre-adolescenti. Recentemente ha curato Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa. Sul tema di cui ci stiamo occupando citiamo invece Adolescenti navigati: come sostenere la crescita dei nativi digitali e Sempre in contatto. Relazioni virtuali in adolescenza (scritto con Laura Turuani).

Nel corso della serata, Matteo Lancini ha voluto soffermarsi su come le trasformazioni dei modelli educativi, affettivi e sociali abbiano contribuito alla diffusione delle nuove tecnologie. Perché, a suo avviso, «dobbiamo smettere di vedere lo smartphone o i videogiochi come qualcosa che si è diffuso in modo avulso dal contesto». Lo abbiamo intervistato per approfondire il suo punto di vista.

Matteo Lancini, innanzitutto quali sono le caratteristiche del bambino digitale rispetto a quello della generazione precedente?
Bisogna fare un passo indietro, per precisare che i bambini di oggi, prima che gli venga regalato qualsiasi strumento digitale, crescono con una mamma virtuale. Secondo i modelli educativi in vigore, i dispositivi elettronici vengono quindi utilizzati da subito. Di conseguenza i bambini crescono lontani con il corpo ma vicini con la mente.

Cosa significa?
Se nella famiglia tradizionale c’era maggiore vicinanza fisica (per esempio per il fatto che le madri stavano a casa), è pur vero che il modello educativo non esitava a interrompere la relazione affettiva. Oggi invece la famiglia è organizzata intorno al mantenimento della relazione, che è quasi il fine ultimo dell’intervento educativo. Prendiamo la figura della madre. Essa delega più che in passato ed essendo distante con il corpo, usa la relazione – che non è quindi più il mezzo – per far transitare i valori. Questo aspetto è importante perché fin da piccoli i bambini sono abituati che ciò che conta non è tanto la presenza del genitore ma il modello di fondo.

Torniamo alla figura della madre….
Prenderò come esempio l’asilo di fronte a casa mia. All’orario di uscita, si osserva una popolazione composta per una metà da madri e per l’altra metà da nonne, tate, eccetera, che ritirano il bambino e lo portano a svolgere una serie di attività, le quali non vengono però scelte autonomamente. Dal suo luogo di lavoro la madre virtuale verifica tramite telefono che tutto funzioni secondo i piani. Lo dico sempre, ho visto qualcuno cambiare programma e venire immediatamente licenziato! Si cresce così in un sistema dove il modello educativo è molto diverso da quello della generazione degli attuali genitori e dove la digitalizzazione fa parte di un contesto che ha contribuito alla sua diffusione. Al suo interno, bisogna quindi capire cosa significa essere un bambino, in genere molto espressivo e creativo, con tanti amici e tante attività, a cui a un certo punto arriva il telefonino, e successivamente altri mezzi digitali, regalati in genere proprio dai genitori.

Gli spazi di socializzazione online che si aprono così ai ragazzi, in che modo influenzano quelli offline?
Il problema non è suddividere le due vite, ma capire come si sono intrecciate in un unicum di cui si sta costruendo l’identità. Ciò detto, la domanda può essere rigirata: come influenzano la vita online le scelte dei genitori relative alle questioni scolastiche dei figli? Tutto avviene tramite i gruppi WhatsApp delle madri. Se i bambini crescono con adulti che invece di guardare la recita di classe la riprendono e che prendono decisioni che riguardano la vita «vera» tramite un’app di messaggistica, cosa potranno mai pensare a 12 anni? Che la vita virtuale non conta? Non possiamo costituire dei modelli di un certo tipo e chiedere solo a loro di non utilizzarli. A ciò si aggiunge un altro elemento. Una volta si cresceva nei cortili e nei giardini. A 7-8 anni si poteva socializzare con il compagno di classe tornando a casa da soli. Oggi questo non è possibile, perché i figli sono iper protetti e si vive nel terrore di un mondo pericoloso.

Con quali conseguenze?
La seconda infanzia è il momento in cui il corpo andrebbe consegnato all’autonomia dei ragazzi. Se noi non siamo pronti a farlo, se blocchiamo una certa corporeità, loro andranno a cercare quello di cui hanno bisogno nel mondo virtuale. E questa è un’altra manifestazione di come oggi si viva distanti col corpo ma vicini con la mente. Se quindi prima un ragazzino giocava con la fionda all’aperto, oggi riverserà quello stesso istinto nei videogiochi. Non si sbuccerà le ginocchia, ma ciò non significa che non sarà pericoloso. La comunità è composta da 7 miliardi di persone che possono potenzialmente essere contattate dalla propria stanza. Grandi risorse, quindi, ma anche grandi rischi.

Data questa situazione, come possono genitori ed insegnanti sostenere adeguatamente la crescita dei bambini nell’era digitale?
Facendosi carico anche della loro vita virtuale, che, peraltro, sono stati gli adulti a consegnargli. Ovviamente poi il discorso varia a seconda dell’età. Se parliamo di bambini, bisogna accompagnarli e questo compito è dei genitori; non si può dargli un tablet in mano e lasciarli soli. Passando all’adolescenza mi convinco sempre più di quanto sia fondamentale che scuola e famiglia educhino al digitale. Penso infatti che stiamo pagando lo scotto di modelli che vietano l’accesso dei cellulari a scuola e mirano a limitare l’utilizzo di strumenti che in realtà non sono limitabili. Educare al digitale significa anche educare alla vita perché, come dicono i principali ricercatori, internet e vita reale oggi sono la stessa cosa. Bisogna a mio avviso tenere conto di questi aspetti e quindi spiegare ed educare piuttosto che vietare e controllare, affinché i ragazzi possano usare la rete in modo consapevole. Anche se questa strada è più difficile.

Di solito quindi gli adulti quale tendono a percorrere?
La tendenza è quella di crescere dei bambini digitali e poi, per paura, chiedergli di non essere digitali proprio nell’età dell’autonomia. Se prima mi dispiaceva, adesso trovo folle che tutti usino internet in ogni dove e che gli unici che non dovrebbero farlo sono gli adolescenti! Inoltre, senza le tecnologie oggi si è tagliati fuori, dal mondo del lavoro, dalla politica, dalla società in generale. Basti pensare che il Papa ha aperto un profilo Twitter o a come le decisioni politiche vengano prese online e poi certificate dai governi in Parlamento.

Come si dovrebbero quindi comportare i genitori di figli adolescenti, fase in cui l’uso di internet e delle nuove tecnologie si fa intensivo?
Bisogna chiedere non solo «com’è andata oggi a scuola?» ma anche «come va in Internet?». Bisogna avere il coraggio di dare il nome alle cose che un tempo avvenivano fuori casa e che oggi avvengono davanti allo schermo, dove i ragazzi fanno un sacco di esperienze. Bisogna superare la paura di affrontare queste tematiche, che è poi quella che porta a far prevalere un finto controllo il quale ci consente di dormire sonni tranquilli. Un adolescente non si controlla, perché è per sua natura destinato a fuoriuscire dal monito educativo. Per questo motivo vale la pena porgli delle domande e magari si otterranno davvero delle risposte. Se invece preferiamo far finta che l’unica vita che conti sia quella davanti ai libri di scuola, il rischio che corriamo è di perdere dei pezzi della vita che noi stessi abbiamo costruito.