Una volta, nei primi decenni del secolo scorso, i bambini poveri si distinguevano. Vestiti malamente, zoccoli di legno ai piedi invece delle scarpe, pantaloni sdruciti, maglioni di seconda o terza mano, pulizia e igiene del corpo discutibile. Le abitazioni dei poveri erano poco confortevoli, non erano riscaldate o lo erano in modo insufficiente, i servizi igienici si dovevano condividere con altre famiglie. I figli, non solo in tenera età, dormivano nella stessa camera, anche se erano quattro o cinque: a volte, in due, dividevano lo stesso letto.
Oggi, i bambini poveri si mimetizzano, si confondono con gli altri. La povertà è cambiata, non è più quella estrema che a volte sfiorava la miseria. Oggi siamo confrontati con una povertà relativa, che è data dalla mancanza di poter vivere decentemente in questa società. I bambini poveri, anche se quasi invisibili, in Svizzera sono una realtà.
Una realtà scandalosa, denuncia Caritas, che lo scorso dicembre ha pubblicato un documento sulla povertà infantile rivelando che il fenomeno è molto diffuso nella Svizzera benestante. Nel nostro Paese, 103mila bambini vivono in condizione di povertà e il doppio di essi in condizioni precarie appena sopra la soglia di povertà. Il dato è preoccupante anche perché nel nostro Paese il numero delle persone vittime della povertà è in costante crescita dal 2014. Un rapporto della Confederazione risalente al 2015 afferma che crescere un bambino può costare dai 7mila ai 14mila franchi all’anno, a dipendenza della dimensione della famiglia e dell’età del figlio. Crescere due o più figli è sempre più difficile e quasi impossibile se la madre non lavora. Il reddito medio disponibile delle coppie senza figli è infatti superiore del 40% rispetto a quello dei genitori con figli. Le cause della povertà infantile vanno ricercate nella situazione dei genitori. In Svizzera 71mila bambini crescono in famiglie di lavoratori poveri.
A fine gennaio l’Ufficio federale di statistica ha pubblicato i dati sulla povertà relativi al 2018. Il 7,9% della popolazione, ossia circa 660mila persone, era colpito da povertà reddituale. Una persona su otto aveva difficoltà a sbarcare il lunario. I più sfavoriti sono coloro che vivono in economie domestiche monoparentali (tasso di povertà del 19,3%), gli stranieri (17,5%), le persone senza lavoro (14,4%) e quelle senza formazione postobbligatoria (12,1%). Una persona su cinque non era in grado di far fronte, nello spazio di un mese, a una spesa imprevista di 2500 franchi. Questo è lo stato della nazione, una delle più ricche al mondo.
È evidente che le categorie appena citate, confrontate con le difficoltà finanziarie, ripercuotono sui figli le loro situazioni negative. Le lacune nella possibilità di conciliare famiglia e professione sono motivi di povertà e le famiglie meno abbienti non possono permettersi di collocare i figli negli asili nido. La Confederazione ha riconosciuto la mancanza di strutture di cura dei bambini piccoli, anche se negli ultimi anni sono stati creati circa 60mila posti per la custodia. Il divorzio è un altro fattore che può spingere genitori e figli verso la povertà.
Secondo Caritas, esistono misure efficaci contro la povertà infantile, ma lo Stato deve fare di più. «In Svizzera – si legge nel documento – i bambini sono considerati in gran parte una questione privata e per questo lo Stato investe poco nella famiglia e nei bambini. Per le prestazioni sociali a sostegno delle famiglie e dei bambini viene impiegato solo l’1,5% del prodotto interno lordo, una percentuale nettamente inferiore alla media europea del 2,4%. Nel settore della prima infanzia il dato è anche peggiore: le spese per la formazione, l’assistenza e l’educazione sono tre volte inferiori alla media dei Paesi dell’OCSE».
Per contrastare la povertà dei bambini, Caritas propone di introdurre a livello nazionale le prestazioni complementari a favore delle famiglie. Il Ticino è stato il primo Cantone, nel 1997, a proporre queste misure di sostegno alle famiglie e alla prima infanzia. All’inizio del 2000 sono state presentate due mozioni a Berna sulla base del modello ticinese. Le iniziative parlamentari Fehr e Meier-Schatz chiedevano la crea zione di una base legale per l’introduzione di prestazioni complementari a livello federale per le famiglie. Dopo dieci anni di discussioni e di tira e molla le proposte sono state insabbiate. In sostanza il Parlamento federale ritiene che le politiche a sostegno della famiglia debbano rimanere di competenza cantonale.
L’esempio del Ticino è stato seguito dai cantoni Soletta, Vaud e Ginevra. «I quattro cantoni che prevedevano il versamento di aiuti integrativi per le famiglie – dice Caritas – erano convinti che questo strumento fosse adeguato alla situazione delle famiglie indigenti e che avrebbe quindi contrastato anche il fenomeno della povertà». Il documento di Caritas elogia il Ticino che con la sua politica sociale è riuscito a ridurre il rischio di povertà tra i bambini e gli adolescenti. Inoltre è l’unico cantone a offrire una scuola dell’infanzia cantonale a partire dai tre o dai quattro anni. Il modello introdotto dal canton Vaud è ritenuto il più efficace in quanto «i sussidi sono erogati fino all’adolescenza e non prevedono l’obbligatorietà di un reddito o di una percentuale lavorativa. Il canton Vaud si assume inoltre la maggior parte delle spese di custodia dei bambini ed è l’unico che rimborsa le spese sanitarie».
Per Caritas è tempo di rivedere la politica federale in questo campo e chiede al nuovo Parlamento di promuovere una riforma. Prendendo esempio dai quattro cantoni citati, si afferma che «urge l’elaborazione di una soluzione sul piano federale come pure una partecipazione economica significativa da parte della Confederazione». Si chiede in particolare una legge quadro a livello federale per l’introduzione di assegni famigliari integrativi, come quelli esistenti nell’ambito delle prestazioni complementari AVS e AI.
La povertà infantile è in contrasto con il diritto vigente e in particolare con la Costituzione. Nell’articolo 12 la Carta fondamentale afferma che la Svizzera garantisce alle persone nel bisogno e che non sono in grado di provvedere a se stesse il diritto di essere aiutate e assistite e ricevere i mezzi indispensabili per un’esistenza dignitosa. Inoltre, sottolinea Caritas, all’articolo 11 la Svizzera si impegna a garantire ai bambini e agli adolescenti il diritto a particolare protezione della loro incolumità e a promuoverne lo sviluppo.
Intanto nel Ticino precursore nazionale dell’aiuto alle famiglie le preoccupazioni nei confronti della povertà rimangono vive. A metà febbraio la commissione parlamentare Sanità e sicurezza sociale si è chinata sul tema dicendosi preoccupata dai dati che rivelano come nel cantone la povertà sia sempre presente, con tassi molto più alti rispetto alla media nazionale. «La povertà – scrivono i relatori Gina La Mantia e Giorgio Galusero – rimane un tema di stretta attualità di cui soffrono troppe persone nel nostro cantone e che ha ripercussioni negative non solo in merito all’esclusione sociale, ma anche sulla salute fisica e psicologica e, di conseguenza, sulla qualità di vita di famiglie intere. La povertà incide, inoltre, in modo pesante sul futuro dei bambini toccati». Per tenere sotto controllo il fenomeno, la Commissione chiede al Consiglio di Stato di presentare con ogni consuntivo anche un aggiornamento sulla situazione della povertà nel Cantone.