L'autrice dello studio

Gli errori della scienza con le donne

Angela Saini, giornalista scientifica inglese, ha scritto un libro nel quale smonta i pregiudizi che la comunità scientifica ha avuto nei confronti delle donne, primo fra tutti la presunta debolezza fisica
/ 25.12.2017
di Stefania Prandi

Tutto è cominciato quando Angela Saini, giornalista scientifica inglese, si è trovata di fronte all’articolo di tre ricercatori della McMaster University, pubblicato sulla rivista «Plos Computational Biology», che sosteneva che le donne entrano in menopausa perché gli uomini, anche quelli più anziani, non le trovano attraenti quando invecchiano e quindi non c’è ragione che continuino a restare fertili. Saini si occupa di divulgazione scientifica da anni per la BBC, ha scritto su riviste prestigiose come «Science», ha vinto premi internazionali e ha due master, uno in Ingegneria all’Università di Oxford e l’altro in Scienze al King’s College di Londra. Quando ha letto la teoria di Richard Morton, Jonathan Stone, Rama Singh, dal titolo Mate Choice and the Origin of Menopause (Accoppiamento e origine della menopausa), è andata su tutte le furie: era di fronte all’ennesima ricerca che denigrava le donne. Che lei sapesse, una delle teorie più accreditate sul tema, condivisa da diversi studiosi, ritiene che la longevità femminile, dopo la perdita della fertilità, sia dovuta al loro ruolo che le nonne hanno avuto a livello evolutivo, al fatto che si dovessero prendere cura dei nipotini. Ha quindi deciso di sfruttare le sue competenze e capire da dove avesse origine un’idea come quella dei ricercatori della McMaster University. Ha intervistato gli autori e ha allargato lo sguardo, sentendo le principali autorità in materia. Successivamente ha deciso di fare lo stesso per altre teorie che le sembrava dessero troppo poco credito alle donne. È nato così Inferior, How Science Got Women Wrong – and the New Research That’s Rewriting the Story (Inferiore, come la scienza ha mal interpretato le donne e la nuova ricerca che sta riscrivendo la storia), un saggio in inglese che dal 2018 sarà in vendita, tradotto, nelle librerie di Corea del Sud, Brasile, Svezia, Olanda e Spagna.

La tesi centrale del libro è che la scienza, nel corso della storia, abbia rinforzato gli stereotipi di genere, dando un’immagine fuorviante delle donne, con teorie ammantate di oggettività e imparzialità. Tra le pagine, fitte di citazioni, vengono messi in discussione personaggi fondamentali per i loro contributi all’umanità, come Charles Darwin che aveva una scarsa considerazione del genere femminile. Nel 1881 scrisse a Caroline Kennard, un’attivista per la parità di diritti: «Penso che le donne, anche se superiori agli uomini per qualità morali, intellettualmente siano inferiori». Ci sono altri esempi. Nel 1887, l’ex chirurgo William Hammond scriveva sulla rivista «Popular Science Monthly» di avere osservato molti casi di donne che avevano il sistema nervoso disturbato nel tentativo, inutile, di imparare algebra, geometria, trigonometria e altre branche della matematica. Di recente, nel 2015, il giornale scientifico «Plos One» ha licenziato uno dei suoi critici dopo che, nella fase di revisione di un articolo, aveva suggerito alle autrici di farsi supportare da qualche uomo per prevenire «assunzioni ideologicamente faziose».

Saini ha spiegato, in diverse interviste, di non avere la pretesa di offrire una verità assoluta. Il suo obiettivo è mettere in discussione gli schemi usati dalla scienza – che è un processo, e non una sequela di fatti – mostrando come funzionano, evidenziando le teorie che non sono dimostrabili, come ad esempio l’idea, ancora ampiamente condivisa, che uomini e donne abbiano forme di intelligenza diverse. Nonostante non ci siano prove dell’esistenza di differenze basate sull’anatomia e sulla fisiologia del cervello, ciclicamente vengono pubblicati articoli che insistono su una presunta disparità di ragionamento dei due sessi dovuta a cause biologiche.

Un altro dei falsi miti analizzati nel dettaglio dalla giornalista riguarda la questione della debolezza. Per le donne si usano ancora espressioni come «il sesso debole», e si dà per assunto che il corpo femminile sia poco resistente e potente. Eppure, secondo un’autorità in materia di vecchiaia e longevità, come Steven Austad, che ha una cattedra all’Università dell’Alabama, nel corpo femminile è contenuto il segreto per il prolungamento della vita dato che «a tutte le età le donne sembrano sopravvivere meglio degli uomini». Il Gerontology Research Group ha stilato una lista che conferma l’idea: su quarantatré ultracentenari nel mondo (con più di centodieci anni), quarantadue sono donne. Questo potrebbe dipendere da una costituzione più robusta, sostiene Kathryn Sandberg, direttrice del Centro per gli studi sulle differenze sessuali della Georgetown University. «Analizzando le diverse società, nelle varie epoche storiche, risulta che in media vivono cinque o sei anni più degli uomini». Le donne sembrano essere particolarmente forti nella corsa di resistenza, nota Marlene Zuk, che dirige un laboratorio di biologia evoluzionistica all’Università del Minnesota. La caratteristica declina molto lentamente nel tempo. Inoltre, sono capaci di coprire grandi distanze quando sono incinta. Ad esempio, nel 2011, Amber Miller, ha corso la maratona di Chicago sette ore prima di partorire e Paula Radcliffe, campionessa pluripremiata, si è allenata durante tutte e due le gravidanze. Ovviamente si tratta di due casi particolari: atlete con anni di esercizi, predisposte per lo sport, sottoposte a un monitoraggio continuo. Già la sola capacità di portare avanti una gravidanza, comunque, sarebbe una dimostrazione della forza fisica femminile. L’antropologa Adrienne Zihlman, ricercatrice all’Università di Santa Cruz, ha studiato le migrazioni dal continente africano, all’inizio della storia dell’umanità: durante questi spostamenti le donne camminavano migliaia di chilometri, con condizioni atmosferiche estreme, anche mentre erano incinta. Quindi, secondo Saini, la categoria «debolezza», così come altri luoghi comuni, non sono altro che modi per rinforzare preconcetti che c’entrano poco con quello che le donne sono nella realtà.