«Le abbiamo provate tutte! Ho un ragazzo che nelle ultime due settimane è scappato nove volte dal centro educativo per minori dove viveva. Ha sedici anni, consuma regolarmente alcol, viene da una famiglia in preda alla violenza domestica, dove lui è autore ma anche vittima. È fuggito nove volte e la polizia è sempre andata a cercarlo per ricondurlo al centro, da dove poi se ne andava ancora. È stato in ospedale e anche alla Farera, al penitenziario cantonale, una settimana in detenzione preventiva. Doveva sottoporsi alle cure del centro medico psicologico, ma non ci è mai andato. L’obiettivo è di ascoltarlo e accogliere la sua sofferenza per poi cercare uno sbocco professionale. Inizia un tirocinio ma poi lo interrompe».
Questo è l’accorato racconto del magistrato dei minorenni Reto Medici, confrontato per mestiere con i giovani difficili. «In udienza – continua il giudice – mi dice di sì, che è disponibile, ma poi aggiunge che è confuso. Venerdì scorso è sparito e l’abbiamo rintracciato martedì. Adesso, paradossalmente, e lo sottolineo, è un vero paradosso, l’abbiamo rimandato a casa e dovrebbe andare al Centro educativo durante il giorno. Se a un ragazzo così succede qualcosa, vengono a prendermi, divento responsabile del suo destino. Questo è un caso in cui è necessario l’internamento! La settimana in cui è stato in Farera era tranquillissimo, perché la giornata è strutturata e tutto è regolato. L’educatore andava a trovarlo quasi ogni giorno e hanno lavorato assieme. È vero che non avere la libertà è una cosa bruttissima, ma per questi casi la sicurezza aiuta».
Questa è la storia di uno dei ragazzi per cui in Ticino si sta progettando un Centro educativo chiuso per minorenni (CECM).
Ma mandare in prigione, al di là delle definizioni edulcorate, un minorenne, non è sempre negativo? chiedo a Reto Medici. «Per favore – risponde in modo risoluto – non chiamiamola prigione, perché non lo è. Il CECM non è un carcere minorile, sono due cose diverse, non bisogna confondere!»
La storia di questo centro è vecchia di anni. Se ne parla fin dal 2006, quando un gruppo di esperti propone la creazione di una nuova struttura di pronta accoglienza in modalità di contenimento per minorenni di 12-18 anni.
Nel 2009 si elabora un rapporto che dopo aver monitorato la situazione fissa a una cinquantina il numero dei ragazzi che potrebbero usufruire di un centro simile nel corso di un anno. Si chiarisce anche la tipologia dei giovani indicando i criteri, cumulativi, per l’identificazione della crisi: a) urgenza: la loro situazione non può essere procrastinata; b) gravità: mettono a rischio la loro e/o altrui incolumità; c) rifiuto: sono refrattari a qualsiasi tipo di proposta.
Nel 2015 il progetto prende forma e prevede di destinare otto posti alla pronta accoglienza e all’osservazione e altri due all’esecuzione di pene di breve durata.
«In assenza del centro educativo chiuso – scrive il Consiglio di Stato – alcuni giovani sono rimasti a casa, altri sono stati ricoverati alla clinica psichiatrica o collocati in un centro educativo. Tutte soluzioni ritenute inadeguate per gestire la crisi di questi giovani che mettono a rischio la propria e l’altrui incolumità e che non si riesce a coinvolgere in nessun tipo di proposta. Nella nuova struttura sono obbligati a fermarsi; questo crea le condizioni per l’osservazione, la valutazione approfondita e la costruzione di premesse per l’avvio di un nuovo progetto».
Lo scorso anno il Governo incarica la SUPSI di rifare i conti per capire se il centro è necessario: in sostanza si conferma l’esistenza di una cinquantina di casi all’anno. Il rapporto rivela alcuni dati significativi sulla condizione dei giovani in crisi. Solo l’11,3% dei casi vive una condizione famigliare normale: la famiglia costituisce un fattore di criticità decisivo nella vita dei giovani che finirebbero in CECM. Stessa cosa sul fronte del lavoro: l’85% dei casi vive in una situazione di disadattamento, di insuccesso e di abbandono. Nove ragazzi su dieci presentano un quadro condizionato da problematiche psicologiche e da abuso di sostanze. «Due delle dimensioni cardine per lo sviluppo dell’identità personale e dell’integrazione nella società – si legge nel rapporto SUPSI – quali sono la famiglia e la formazione e il lavoro, risultano essere assenti, problematiche, fonte di frustrazione e di insuccesso».
La maggioranza di questi ragazzi difficili fanno capo alla Fondazione Amilcare, diretta da Raffaele Mattei, che dice di non essere contrario per principio al Centro chiuso: ogni tanto un ragazzo va fermato, ma questo va fatto cercando di convincere il giovane e non costringendolo: «Se un minorenne ha bisogno di essere rinchiuso perché pericoloso per se stesso o per gli altri, – sottolinea Mattei – significa che gli adulti hanno fallito nel loro compito educativo, i genitori prima e la rete di professionisti poi. Un giovane minorenne che compie trasgressioni non lo fa per il gusto di farlo, o semplicemente per trasgredire le regole. Sono convinto che il minorenne vuole dirci qualcosa, magari non sa come dirlo, oppure ha subìto maltrattamenti e non è mai stato ascoltato e/o creduto dagli adulti. Questi ragazzi non hanno più fiducia negli adulti, sono stati traditi troppe volte. Si arriva all’idea di rinchiudere un minorenne poiché questi non ha un adulto significativo a cui si può riferire».
Il giudice Medici è convinto della necessità del Centro e dice che quest’anno la situazione è peggiore rispetto al passato. «Il CECM avrà dieci posti per giovani, ma non è un cambiamento sistemico nei confronti dei casi problematici. La maggioranza, più di trecento, sono collocati nei foyer. Prioritario rimane il lavoro di prevenzione. Un franco speso a favore della prima infanzia genera in futuro un risparmio da cinque a nove franchi, sono dati delle Nazioni Unite. Proprio ieri un papà, disperato, mi ha detto che è gravissimo che in Ticino non ci sia questa struttura».
Il progetto di CECM è ora al vaglio del Gran Consiglio, che dovrà decidere se stanziare i 6 milioni di franchi necessari per la realizzazione di quello che un tempo veniva definito riformatorio.
Ma non mancano le voci critiche e contrarie. Il sindacato dei servizi pubblici VPOD ha raccolto 472 firme – soprattutto fra addetti ai lavori del settore – contro la decisione del Consiglio di Stato di aprire il Centro. «Come è possibile – si chiede il sindacato – che nel 2018 vi sia la possibilità di segregare qualcuno senza processo o senza la presenza di un reato accertato? Come usciranno, una volta maggiorenni, i soggetti sottoposti a tali trattamenti? Con quale fiducia potranno guardare al futuro? Si prevede un investimento di sei milioni di franchi. Sarebbe, a nostro avviso, più opportuno investire queste risorse in reali politiche di reinserimento».
Si è anche costituito un Coordinamento contro il CEMC che fa capo al circolo anarchico Carlo Vanza: «Si vogliono davvero sprecare milioni di franchi per realizzare un centro chiuso inutile che è sinonimo di esclusione? Bisogna assolutamente sostenere progetti che favoriscano l’inclusione dei giovani nel tessuto sociale. Gli interventi pedagogici devono rimanere tali e non diventare repressivi, autoritari, diseducativi».
Va chiarito che i giovani potranno essere collocati nel CECM per massimo 90 giorni, tre mesi. «Cosa succede quando escono? – si chiede Raffaele Mattei – non saranno più aggressivi di quando sono stati rinchiusi? È evidente che la gestione del rischio in certe situazioni è alta. Ma siamo sicuri che piuttosto di un intervento violento con polizia e ambulanza per rinchiudere un minorenne non sia meglio aspettare, stargli vicino prendendo qualche rischio?».
Critiche pure per le misure disciplinari che potranno essere eseguite nel nuovo centro: la consegna semplice in camera per al massimo 21 giorni (in cui i minorenni passano in camera solo il tempo del riposo) e la consegna restrittiva in camera per al massimo 7 giorni (ove il minorenne passa in camera tutto il tempo). Inoltre il messaggio del Governo cita misure di contenzione, volte a proteggere il minorenne stesso o gli altri ospiti o il personale. In questo caso si prevede la chiusura in camera e, perfino, le cinghie al letto. «Cinghie? – tuona il direttore di Amilcare – non esiste, non siamo nel Medioevo». Si spera che siano provvedimenti eccezionali, certo non sembrano intonati al concetto di «educazione» contenuto nella definizione del centro. «A subire la contenzione saranno casi estremamente rari, ma è importante che ci siano le basi legali. – spiega il magistrato dei minorenni – Sono cose che si facevano, come avviene nelle case per anziani, ma eravamo nell’illegalità. La base legale è importante per definire i limiti di gestione della contenzione».
Il giudice cita, a giusta ragione, le case per anziani, che in Ticino negli ultimi anni hanno dimostrato lacune non indifferenti. Questo dimostra che è fondamentale la modalità di gestione di questi istituti e, soprattutto, che bisogna insistere sulla qualità dei professionisti che vi operano, dal direttore a tutti gli addetti. «Ho proposto – dice Reto Medici – di mandare operatori e direttori in istituti della Svizzera interna un anno a lavorare per capire come funzionano queste strutture. Inoltre ci deve essere un comitato etico scientifico che accompagna la messa esercizio del Centro. La qualità della gestione è determinante».
Case per anziani, penitenziari, ospedali, cliniche neuropsichiatriche, foyer per giovani, sono tutte strutture molto sensibili: dalla qualità del loro funzionamento dipende la qualità della democrazia di un Paese.
Il Parlamento dovrà decidere sull’avvio di questa esperienza. Resta aperto un interrogativo: è proprio necessario costruire una struttura che, volenti o nolenti, a Castione sarà identificato, in modo stigmatizzante, come istituto dedicato alla sorveglianza e alla punizione? Non è possibile far gestire dalle strutture aperte esistenti (Amilcare, Vanoni, Torriani, ecc.) qualche camera da utilizzare a questo scopo, finanziando gli istituti affinché possano preparare gli spazi e il personale adeguati?