No al precariato e no agli interminabili stage sottopagati. Il peggioramento delle condizioni di lavoro non piace ai giovani ticinesi impegnati politicamente. Le novità tecnologiche sono necessarie e accettabili, ma non devono trasformarsi in precariato stabile.
È un dato significativo che esce dall’indagine promossa da «Generazioni & Sinergie», associazione che promuove le relazioni intergenerazionali, sui temi presenti e futuri che riguardano lo sviluppo dell’economia, la ripartizione del reddito, il destino del sistema pensionistico. Per conoscere le visioni dei giovani, «G&S» ha interpellato sei rappresentanti dei movimenti giovanili di UDC, PLR, PPD, PS e Partito comunista, sottoponendo loro 28 tesi divise in tre settori: 1) Gig economy, quarta rivoluzione industriale e ripartizione del reddito; 2) formazione e primo inserimento lavorativo; 3) età del pensionamento e finanziamento delle rendite.
Diciamo subito che non ci sono risultati strabilianti. Non sembra di intravvedere spaccature nette tra destra e sinistra. I giovani comunisti, come immaginabile, sono più radicali nelle risposte, altrimenti le posizioni sono attenuate. Le maggiori convergenze si rilevano tra giovani PLR e PPD, poi tra i giovani leghisti, pipidini e liberali radicali. Il dato meno scontato è che i giovani UDC condividono le stesse risposte dei giovani socialisti in 18 casi su 28.
I temi sono piuttosto impegnativi: della Gig economy si parla da poco tempo, basti pensare che non è ancora menzionata in Wikipedia. Si tratta in sostanza di un modello economico sempre più diffuso, dove non esistono più le prestazioni classiche (posto fisso con contratto), ma si lavora su richiesta, offrendo servizi, competenze e prodotti gestiti via internet. Gli esempi ormai non mancano: la rete di taxi Uber, Airbnb per l’affitto di camere, ecc.
La domanda di fondo posta ai giovani è in sostanza questa: la Gig economy è una nuova opportunità o una generalizzazione della precarietà? Le risposte sono piuttosto convergenti: tutti e sei gli interlocutori ritengono che si tratti di una forma di precariato che non corrisponde al desiderio dei giovani, anche se può essere un’opportunità temporanea come complemento di reddito.
«Per i giovani studenti o apprendisti – afferma Diego Baratti, giovane UDC – usufruire di questi lavori part-time può essere interessante per arrotondare il reddito, ma non può essere una soluzione definitiva perché comporta pressioni psicologiche non indifferenti oltre che tante ore di lavoro per una bassa retribuzione». Per il vicepresidente dei giovani PLR, Alessandro Delorenzi, «la Gig economy comporta il rischio del precariato, ed emerge come una zona grigia tra il lavoro indipendente e quello dipendente, con lacune legislative. Preoccupante è la banalizzazione del lavoro che si crea».
Da parte sua, il socialista Andrea Ghisletta è chiaro: «Può rappresentare un’opportunità, ma solo se rimane un mercato esclusivo per redditi complementari e non diventi una chiave per introdurre precariato, insicurezza ed erosione dei diritti dei lavoratori». La quarta rivoluzione industriale, fatta di digitalizzazione e robotizzazione, ma anche di internet degli oggetti, stampanti 3D, intelligenza artificiale, prefigura una drastica riduzione dei posti di lavoro e una contrazione della massa salariale. È un’opportunità o una minaccia, chiede «G&S» ai giovani.
I movimenti interpellati ritengono che le nuove tecnologie informatiche siano una grande occasione per accrescere l’efficienza migliorando la qualità, ma la parallela perdita di posti di lavoro preoccupa, così come le conseguenze per la generazione di mezzo (45-65 anni), che rischia di subire le ripercussioni di questi cambiamenti a causa della minore flessibilità e della scarsa capacità di adattamento. Un dato, questo, che può rincuorare «G&S», un’associazione che fa della solidarietà intergenerazionale il suo obiettivo principale. I giovanissimi dimostrano, infatti, attenzione e preoccupazione per la generazione dei loro genitori.
A proposito delle trasformazioni del lavoro, si ammette che sono necessari modelli innovativi di ripartizione del reddito, per evitare che si approfondisca la frattura sociale. Tutti i sei movimenti affermano che la quarta rivoluzione industriale e la Gig economy esigono adattamenti nei contratti (tempo di lavoro, sistemi retributivi) e negli strumenti esistenti di sicurezza sociale.
Può forse stupire che non vi sia adesione alla proposta di reddito di base incondizionato. Anzi, la netta maggioranza dei gruppi è contraria a questa proposta (solo i giovani socialisti sono «piuttosto d’accordo»), su cui si è votato recentemente in Svizzera, dove è stata accolta da quasi un quarto dei votanti, con punte del 40 per cento nelle città di Berna e Ginevra.
«Il reddito di base – sostiene Alessandro Delorenzi – rischia di causare delle distorsioni negative per il cittadino: mancanza di competitività, di voglia di emergere e di meritarsi quello che si vuole raggiungere. Come diceva mio nonno: Van a lavurà». «Il reddito di base – incalza Alberto Togni dei giovani comunisti – rischia di favorire un approccio individualista alla società, a scapito delle istanze di solidarietà collettiva (prestazioni del welfare state) che sono il frutto di anni di lotta del movimento operaio».
Eppure recentemente si è espresso a favore del reddito garantito anche Mark Zuckerberg, inventore di Facebook. Davanti agli studenti di Harvard ha detto che «dobbiamo esplorare idee come il reddito universale per dare a ciascuno una sicurezza che permetta di affrontare cose nuove». Ed ha anche aggiunto che i giovani di oggi «devono definire un nuovo contratto sociale per la nostra generazione».
Come giudicano i giovani la formazione e il primo lavoro? Non hanno dubbi; tutti criticano la tendenza a utilizzare stage interminabili prima di essere inseriti in modo degno nel mondo del lavoro. La ripetizione di stage in azienda dopo il conseguimento di un diploma è considerato un abuso per sfruttare a basso costo le competenze dei giovani. Anche qui, si conferma l’attenzione nei confronti delle altre generazioni. Infatti, sono tutti d’accordo affinché imprenditori, lavoratori ed enti pubblici promuovano e migliorino le relazioni fra generazioni in azienda.
Come vedono il sistema pensionistico i movimenti politici giovanili? Su questi temi c’è minor convergenza. Sul futuro dell’AVS c’è una spaccatura, anche se la maggioranza ritiene legittimo il finanziamento dell’assicurazione tramite prelievi sui salari. Attualmente l’Assicurazione vecchiaia e superstiti è finanziata nella misura del 75% dai redditi di lavoro, quindi dalla popolazione attiva, mentre il 25% circa scaturisce da imposte federali, soprattutto dall’IVA. Lega, socialisti e comunisti ritengono che l’IVA – imposta pagata da tutti i consumatori – non sia uno strumento adeguato a finanziare l’AVS, mentre UDC, PLR e PPD pensano di sì. Sulle prospettive a lungo termine ancora una divergenza: Lega, liberali e PPD ritengono che le future generazioni non saranno in grado di pagare i contributi necessari a finanziare le rendite dei pensionati fra 30, 40 anni. La sinistra e l’UDC si esprimono invece positivamente.
Le questioni riguardanti il pensionamento e il finanziamento delle rendite rimangono piuttosto fluide. D’altra parte basti pensare alla fatica che ha fatto il Parlamento nazionale per varare il progetto «Previdenza per la vecchiaia 2020», proposta dal Consigliere federale Alain Berset. Su questa importante riforma i cittadini svizzeri si esprimeranno il prossimo 24 settembre.