Immagino che alla fine del Tour de France, Chris Froome avesse un cuore diviso in due.
Una metà avrà gioito per la vittoria di Egan Bernal. Il suo giovane compagno di squadra ha la gentilezza, l’arguzia e la disponibilità che ricordano proprio il Froome prima maniera. L’altra metà avrà distillato gocce di sangue amaro.
Questo Tour de France era proprio nel mirino dell’asso britannico, per salire a quota 5 ed eguagliare il record di trionfi di Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault e Miguel Indurain. Qualcuno obietterà: che porti pazienza, avrà altre opportunità per penetrare ancora più profondamente nella leggenda! Sì. Anzi, nì! Perché Froome l’anno prossimo avrà 35 anni. Ed altri recenti vincitori non saranno distanti. Vincenzo Nibali il prossimo anno ne compirà 36, Geraint Thomas 34. Gli over 30 dovranno far fronte ad una generazione di fenomeni. Dalla sovrapposizione di Merckx, Gimondi, Thevenet, Ocana, De Vlaeminck e altri, non si era più visto un proliferare di talenti come oggi.
Egan Bernal è un mostro di efficacia. Pur essendo solo da 2 anni nel grande circuito del World Tour, ha palesato una sagacia tattica al di sopra della norma. Il colombiano è nato e cresciuto a quasi 3000 metri di altitudine, a Zipaquirà, la cittadina in cui Gabriel Garcia Marquez ha frequentato il liceo. Egan, in età da liceo, è emigrato. È venuto in Italia, alla corte di Gianni Savio. Si è sistemato a Cuorgnè, nel Canavese, dove ha imparato l’italiano e si è fatto un sacco di amici. Con Savio ha imparato a leggere la corsa. Lo scorso anno, al suo primo Tour de France, è giunto 15, sfacchinando per i suoi capitani Froome e Thomas. Quest’anno è andato subito a segno dominando la Parigi-Nizza. Poi una caduta in maggio gli ha impedito di partecipare, da leader, al Giro d’Italia. Una manna. Un breve riposo, poi via, in altura a fare il pieno di globuli rossi. È arrivata la vittoria tutto sommato facile al Tour de Suisse. Il resto è storia recente. Con 2 scatti ha blindato la Grande Boucle. Signori, ha solo 22 anni. Nessuno nel ciclismo moderno ha fatto meglio di lui. Gimondi nel ’65 ne aveva 23; Merckx nel ’69 spegneva 24 candeline e Contador nel 2007 compiva 25 anni. Ci sono le premesse perché il suo regno duri a lungo.Attenzione però ai colpi di coda degli «anziani». Attenzione soprattutto a coloro che, per ragioni diverse, hanno disertato la Grande Boucle di quest’anno: Tom Dumoulin, Primosz Roglic, Richard Carapaz, Miguel Angel Lopez. Per non dimenticare la sete di vendetta dei francesi Pinot, Alaphilippe, Bardet, che in 2 giorni sono passati dalla possibile realizzazione di un sogno , alla frustrazione più profonda.
A prescindere da chi vincerà la prossima edizione del Tour de France, posso sostenere a viva voce che si sta affermando una nuova generazione di campioni. Anzi si sta affermando un nuovo ciclismo, con nuove frontiere e nuovi contorni agonistici. In primo luogo perché, se lo scorso anno i 3 Grandi Giri furono appannaggio dei britannici (Froome, Thomas, Simon Yates), quest’anno il baricentro si è spostato sulle Ande, grazie all’ecuadoriano Richard Carapaz, vincitore del Giro d’Italia, e ad Egan Bernal, trionfatore a Parigi. Alla Vuelta di Spagna scommetterei su un duello Carapaz-Lopez, tanto per completare il trasloco. La seconda nuova frontiera sta nel percorso formativo di molti di questi giovani fenomeni. Bernal viene dalla MTB, come Peter Sagan, che per la settima volta (record assoluto) ha indossato la maglia verde della classifica a punti. Julian Alaphilippe, eroico protagonista di 3/4 di Tour, il corridore che ha acceso i cuori dei francesi ed ha affascinato il mondo per il suo ciclismo spregiudicato, viene dal ciclocross. E dal fuoristrada provengono anche i suoi maggiori futuri rivali nelle classiche primaverili: Mathieu Van der Poel, figlio di Adri, campione degli anni ’80-’90, nipotino di Raymond Poulidor, l’eterno secondo amatissimo dai francesi; e Wout Van Aert. Quest’ultimo, 3 volte campione mondiale di ciclocross (contro le 2 di Mathieu) ha un potenziale pazzesco: regge il ritmo sui massacranti muri fiamminghi, tiene alla distanza, ed è pure molto veloce. Lo ha dimostrato al Tour imponendosi in una volata di gruppo, prima di fare le valigie a causa di un brutto incidente durante la cronometro di Pau. Dal canto suo Van der Poel è un satanasso capace di spezzare tutti gli schemi tattici. Quindi, piace. Il modo inimmaginabile in cui ha vinto in aprile l’Amstel Gond Race, lo proietta di diritto nella cerchia ristretta dei grandi cacciatori di classiche. Di fenomeni ce ne sono altri in rampa di lancio.
Mi piacerebbe inserire nella lista anche uno Svizzero. Lo faccio, sottovoce. Marc Hirschi, 21 anni il prossimo 24 agosto, campione del Mondo U23 lo scorso anno ad Innsbruck , non ha nulla in meno rispetto a chi ho citato. Anzi, il ragazzo proveniente dalla pista, cresciuto a Ittigen, il villaggio di Fabian Cancellara, dà persino l’impressione di essere superiore a loro quanto a recupero degli sforzi tra una tappa e l’altra. Tuttavia Marc è svizzero. E come tale soggiace a caratteristiche che sono quasi impresse nel nostro DNA collettivo: prudenza e progressione lenta e costante. Ovvero non bruciare le tappe, per non bruciare il motore. Perciò nei duelli che questa generazione di fenomeni ci regalerà, ci sarà anche lui. Ma non subito. Speriamo fra 2 o 3 anni. Non c’è forse un Campionato Mondiale sulle strade svizzere anche nel 2024?