Fenomenologia di Lara Gut

Sportivamente – «Come è quella storia che non si riesce ad essere profeta a casa propria?»
/ 12.11.2018
di Giancarlo Dionisio

Ho incontrato Lara Gut rare volte, in contesti non professionali, e non ho nessun elemento per esprimere giudizi sulla sua persona. Del resto se anche la conoscessi meglio con quale diritto potrei giudicare. Mi stupisce per contro l’astio nei suoi confronti che si percepisce nei bar reali, così come in quelli virtuali. Dopo aver assistito all’anteprima di Looking for Sunshine – Un anno nell’universo di Lara Gut, un politico locale ha espresso su Facebook le sue impressioni positive sul film-documentario realizzato dal regista ticinese Niccolò Castelli, ed ha affermato di averci visto una Lara Gut coraggiosa e vera.

Massaggino ai polpastrelli ed ecco che, ai «like» ed alle testimonianze di affetto e di stima, si aggiungono commenti come: «Che piangiüda... con questo documentario non diventa certo più simpatica«; «Da vero ticinese, come la maggioranza dei ticinesi, tifo CONTRO l’antipatica Lara Gut, una che non sa cosa sia l’umiltà»; «...mah...diario di una cafona mi sembra il titolo più adatto». Nonostante lei abbia un ruolo pubblico di spicco, capisco benissimo la sua decisione di prendere distanza dai social media, scelta fatta pochi giorni dopo anche dal marito Valon Behrami. Questo livore mi suscita infatti un paio di interrogativi. Perché? Di quali colpe si è macchiata? Mi stupisce questa avversione nei suoi confronti. Il ciclista Bradley Wiggins è simpatico come un calcio in mezzo alle gambe, eppure nel Regno Unito l’hanno idolatrato e nominato Baronetto. Il suo illustre collega Bernard Hinault è uno dei personaggi più ruvidi e spocchiosi che io abbia mai incontrato, ed in Francia, ancora oggi, è considerato un supereroe. L’immagine pubblica di John McEnroe era quella di un odiosissimo e viziatissimo rompiscatole, ma per gli americani era ed è tuttora un’icona del tennis.

Lara Gut, a casa sua, e sottolineo a casa sua, poiché vive nel Luganese, viene sovente snobbata e vilipesa. Eppure è indiscutibilmente la nostra numero 1 dello sport da alcuni decenni: 1 generale di Coppa del Mondo con 24 gare, 3 Coppe di Specialità, 5 medaglie ai Mondiali, 1 ai Giochi Olimpici. Qualcuno saprebbe trovare, dopo Michela Figini, un atleta ticinese, uomo o donna che sia, che ha saputo vincere altrettanto? Non sprecate tempo in google, vi anticipo la risposta: nessuno-nessuna. Oggi, lo si voglia o no, la nostra principale ambasciatrice nel mondo è lei: Lara Gut. Nessun altro ticinese riesce ad avere altrettanto visibilità nei media, neppure Mario Botta, considerato come uno dei grandi maestri dell’architettura contemporanea, ma la cui fama è confinata all’interno di un’élite.

Quindi, ripeto, perché? Un atleta deve per forza essere simpatica?

La simpatia me la aspetto da un cabarettista, un attore comico, un venditore, un conduttore televisivo. Da uno sportivo, non necessariamente. Mi attendo per contro serietà, impegno, rispetto delle regole e delle persone e, eventualmente, dei buoni risultati. Si tratta di doti che non fanno difetto alla ragazza di Comano che, ricordiamolo, ha solo 27 anni, e che, quando ne aveva 16-17 si è trovata sommersa da telecamere, microfoni e taccuini, perché allora, lei, era il Fenomeno emergente. Scrivevo poco sopra che non intendo giudicare, tuttavia vorrei esprimere qualche considerazione personale. A volte ho avuto l’impressione che nelle sue interviste ci fosse una nota stonata. Mi mancava un pizzico di autenticità. La sentivo come una ragazzina a disagio, prigioniera del suo ruolo. Il film di Castelli e Lara stessa, mi hanno confortato. Non ero fuori strada. Schierandomi dalla parte dei buonisti, ho provato sovente tenerezza nei confronti di Lara. Altri, invece, magari partendo da sensazioni simili alle mie, hanno sviluppato astio ed antipatia.

Nel film, così come nella chiacchierata fatta col pubblico dopo la proiezione, è stata più volte pronunciata la parola «svolta», un repentino e deciso cambiamento di rotta avvenuto quel pomeriggio del 10 febbraio dello scorso anno, quando Lara si stava riscaldando fra i paletti in attesa dello slalom della Supercombinata ai Mondiali di Sankt Moritz. Un infortunio apparentemente banale, ma il verdetto è spietato: la rottura del crociato del ginocchio sinistro. È stato l’inizio di una nuova vita. La ragazza, che nel frattempo stava diventando una donna, si è presa il suo tempo, ha ridisegnato le sue gerarchie esistenziali, è tornata a lavorare duramente, ma più serenamente, nell’ottica di nuovi successi, si è innamorata, si è sposata. Insomma è cambiata. Almeno così sostiene. E quella nota stonata va dissolvendosi nel vento. La si percepisce appena. Si ha l’impressione di ascoltare un’ex ragazzina prodigio che desidera essere una donna, prima ancora che un’atleta di vertice. E allora, e mi rivolgo soprattutto a chi non la ama, perché non darle credito? In fondo basterebbe ricordarsi che il «tifo contro» è un fenomeno da stadio, e che nello sci, nel tennis, nel ciclismo e in mille altre discipline sportive il pubblico manifesta simpatia e affetto per tutti. Consapevole che per tutti, Lara compresa, ogni ricompensa è figlia di duri, a volte durissimi, sacrifici.