La digestione in due step

La produzione di biogas si basa sulla degradazione della sostanza organica da parte di microorganismi. Uno dei prodotti di questi processi di digestione è il biogas, che contiene metano. Quest’ultimo è una fonte di energia preziosa che può essere trasformata in energia elettrica e anche calore mediante la combustione oppure essere immessa nella rete del gas dopo essere stata sottoposta a un processo di depurazione. Negli impianti di produzione di biogas tradizionali la digestione avviene con un processo a fase unica. «Sul piano tecnico, il procedimento in un’unica fase non è tuttavia ottimale», afferma Roger König, ricercatore della Supsi. «È meglio dividere il processo di digestione in due fasi, in ciascuna delle quali possiamo regolare il grado di acidità affinché i microorganismi coinvolti possano sviluppare il loro potenziale in modo ottimale». Durante la prima fase il grado di acidità ottimale corrisponde a un valore pH di circa 5, nella seconda fase sale a circa 7. Grazie alla divisione in due fasi, il substrato viene digerito meglio, aumentando di conseguenza la quantità di metano prodotta.

Ma se si esamina il processo più attentamente, cosa avviene nelle due fasi? La prima fase comprende l’idrolisi, la fase di acidificazione e la produzione di acetato: nell’idrolisi i carboidrati, i grassi e le proteine contenuti nel siero di latte vengono resi disponibili per le fasi successive del processo, tra l’altro scomponendo le molecole a catena lunga in molecole a catena corta. Successivamente, le molecole vengono trasformate in acido grasso e acetico nella fase di acidificazione. Infine, anche gli acidi grassi vengono trasformati in acido acetico nella produzione di acetato. L’acido acetico (anche: acetato) è la sostanza di partenza che sarà trasformata in metano (e CO2) nella seconda fase del processo, la fase metanogenica.

Entrambe le fasi necessitano di una coltura di microorganismi (costituiti da batteri, archei, funghi, ecc.). Queste colture vengono prodotte ad hoc («selezionate») dai ricercatori dal substrato degli impianti di produzione di biogas in modo tale da soddisfare i requisiti della fase del processo in cui saranno impiegate. I microorganismi per la prima fase sono adeguati al substrato (qui: il siero di latte). Con un substrato diverso sarebbe quindi necessaria un’altra coltura di microorganismi. Per la seconda fase del processo (trasformazione dell’acetato in metano) può essere usata sempre la stessa coltura di microorganismi indipendentemente dal tipo di substrato da cui è stato prodotto l’acetato nella prima fase del processo. / BV 

La microbiologa Dr. Pamela Principi
(B. Vogel)
Il microtecnologo Roger König
(B. Vogel)

 

Informazioni

Maggiori informazioni sul progetto possono essere richieste alla dottoressa Sandra Hermle (sandra.hermle(at)bfe.admin.ch), responsabile del programma di ricerca Bioenergia dell’UFE. Altri articoli specialistici su progetti di ricerca, progetti pilota, di dimostrazione e faro in materia di Bioenergia sono disponibili all’indirizzo: www.bfe.admin.ch/CT/biomasse


Energia dai rifiuti industriali

Ricerca - La Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana sta esaminando i processi microbiologici che consentono la produzione di biogas
/ 26.02.2018
di Benedikt Vogel*

Molti processi industriali producono rifiuti che le aziende devono smaltire in maniera corretta sostenendo in alcuni casi costi considerevoli. Ma una parte dei rifiuti industriali contiene energia preziosa che può essere valorizzata. La Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi) sta esaminando i processi microbiologici che consentono di utilizzare i rifiuti industriali per la produzione di biogas. La praticabilità di uno di questi procedimenti viene ora testata durante tutto il 2018 con un impianto pilota installato presso l’azienda casearia ticinese Lati SA.

Il Piano di Magadino si espande dal Lago Maggiore fino a Bellinzona. L’ampia regione è sfruttata per fini agricoli ma è anche la sede di numerose imprese industriali; tra queste, a Sant’Antonino, la Latteria del Ticino, abbreviato in Lati SA, la principale azienda casearia del Canton Ticino. L’azienda, che vanta una lunga storia nel settore lattiero-caseario, lavora il latte di 180 produttori ticinesi e produce latte da consumo, dessert e formaggi. Tra questi, i formaggi freschi come il «Robiolino», il «Gorello» o il «Quadratino», ma anche i formaggi a pasta semidura come la «Formaggella». Solo nel 2016 l’azienda ha lavorato 15 milioni di chilogrammi di latte realizzando con i propri prodotti un fatturato di 29 milioni di franchi.

Il siero di latte è uno scarto di lavorazione del formaggio e può essere dolce o acidulo a seconda del processo di produzione. Contrariamente al siero di latte dolce, impiegato per l’allevamento di suini, il siero di latte acidulo non è adatto come mangime animale e deve essere smaltito. Le autocisterne della Lati SA portano ogni settimana circa 16mila litri di siero di latte acidulo all’impianto di depurazione (Ida) Foce Ticino a Gordola, che dista alcuni chilometri ed è ubicato a est di Locarno. Qui il siero viene fatto fermentare in un impianto tradizionale per la produzione di biogas insieme a fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue, rifiuti di cucina e altri residui dell’industria alimentare.

Attualmente lo smaltimento del siero nell’IDA Foce Ticino rappresenta un costo per la Lati SA, ma le cose potrebbero cambiare nell’immediato futuro. I responsabili hanno compreso che il siero non deve essere considerato come un rifiuto ma come una risorsa dalla quale ricavare energia. In effetti il siero di latte acidulo viene già impiegato per la produzione di biogas, ma se in futuro si riuscisse ad aumentare sensibilmente la produzione di gas, il siero potrebbe non rappresentare più un costo per la Lati SA ma diventare addirittura una fonte di guadagno. 

All’inizio del 2018 è stato messo in funzione un impianto pilota per la trasformazione del siero di latte acidulo in metano all’interno dell’area aziendale di Lati a Sant’Antonino. L’impianto utilizza un processo di digestione in due fasi. Scopo del test è dimostrare se è possibile aumentare la produzione di metano dal siero di latte acidulo.

Il progetto pilota presso la Lati SA si basa sui risultati promettenti di uno studio scientifico della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi) che è stato sovvenzionato dall’Ufficio federale dell’energia (Ufe). Nell’ambito del progetto Tanais (acronimo di «Two-phase anaerobic digestion for aqueous industrial wastes») i ricercatori della sede di Supsi a Manno hanno studiato la digestione dei rifiuti industriali per comprendere se è possibile aumentare la resa in metano mediante l’impiego di un procedimento di digestione a due fasi. Secondo questo procedimento, la materia organica viene digerita in due tempi all’interno di due reattori. In entrambe le fasi del processo, la digestione è anaerobica, cioè avviene in assenza di ossigeno. 

I ricercatori hanno esaminato tre tipi di rifiuto industriale prodotto in grandi quantità in Ticino: il siero (prodotto residuo ottenuto nel corso della fabbricazione del formaggio), l’acqua in uscita dal processo di fermentazione impiegato per la produzione di antibiotici e un prodotto di scarto della produzione di olio di pesce. Per due dei tre rifiuti esaminati, i ricercatori che collaborano con la microbiologa dottoressa Pamela Principi e il biotecnologo Roger König hanno evidenziato alcuni limiti: per quanto riguarda l’acqua di scarto dal processo di fermentazione, l’elevato tenore di zolfo limita la resa in metano, mentre l’assenza di solubilità del prodotto di scarto dalla produzione dell’olio di pesce impedisce l’aumento della produzione di metano. 

I ricercatori ticinesi hanno trovato invece un risultato promettente nel terzo substrato in esame, riuscendo ad aumentare sensibilmente il rendimento in metano prodotto con la digestione anaerobica del siero di latte all’interno di un reattore a doppia fase. La resa è risultata quasi tripla rispetto alla digestione in un reattore a fase singola. Se impiegando un procedimento a una fase in condizioni di laboratorio controllate è possibile produrre 10,9 normal metri cubi (Nm3) di metano da un metro cubo di siero di latte, la produzione sale a 27,1 Nm3 con il procedimento a doppia fase della Supsi.

La resa maggiore si spiega nel fatto che con un procedimento a doppia fase la digestione può essere effettuata in due fasi distinte particolarmente efficienti (vedi riquadro di testo). Il progetto pilota avviato presso la Lati SA dovrà ora dimostrare se questo risultato può essere raggiunto anche con un impianto che funziona in condizioni vicine alla realtà. Finora, la triplicazione del rendimento in metano ottenuta in laboratorio, di cui si è detto sopra, è stata ottenuta in un piccolo reattore sperimentale con circa 100 ml di siero di latte. A tale proposito, nella relazione conclusiva di Tanais si legge: «I test sono stati condotti senza ripetizioni (necessarie per un risultato statisticamente significativo) e il campione di substrato usato per la digestione non è perfettamente rappresentativo delle variazioni nella composizione chimica del siero di scarto di origine industriale». L’esperimento pilota presso la Lati SA dovrà ora dimostrare se la triplicazione della resa in metano può essere ottenuta anche in condizioni vicine alla realtà.

L’impianto pilota è costituito da due reattori da 5 litri (per la prima fase di digestione della durata di quattro giorni) e da un reattore da 60 litri (per la seconda fase di digestione della durata di circa 30 giorni). L’impianto ha una capacità di circa due litri di siero di latte al giorno, che corrisponde solo a una piccolissima parte dei 16mila litri prodotti ogni settimana dalla Lati. Ma in questo esperimento non importa la quantità ma la qualità: l’impianto pilota deve infatti testare principalmente se sia possibile ottenere buoni risultati di resa in metano non solo in laboratorio ma anche con siero di latte «reale», ossia utilizzando del siero la cui composizione varia di continuo in base al tipo di formaggio prodotto in un dato periodo. Il valore della resa in metano è determinante per la redditività del processo: «Ogni punto percentuale in più di biogas è interessante sul piano economico: qualora fosse possibile aumentare la produzione di biometano nella misura auspicata, per la Lati SA potrebbe essere realmente vantaggioso produrre biogas dal siero di latte», così Pamela Principi. «In questo modo il siero cesserebbe di essere un fattore di costo e diventerebbe una fonte energetica sfruttabile a fini commerciali».

Se fosse possibile trasformare tutto il siero di latte prodotto dalla Lati – quindi 16mila l alla settimana – in biometano con un elevato rendimento, a titolo indicativo si potrebbero ottenere 432 Nm3 di biometano alla settimana, che corrispondono al tenore energetico di 432 l di olio combustibile o a 4307 kWh di elettricità. Di per sé si tratta di una modesta quantità che copre appena il fabbisogno di energia di una casa unifamiliare. Se il nuovo procedimento di digestione venisse tuttavia adottato da diverse imprese industriali, si potrebbe ottenere una produzione di energia di tutto rispetto: «Immaginiamo che la prima fase della digestione potrebbe essere effettuata sul sito della rispettiva impresa industriale. L’acetato così ottenuto sarebbe successivamente trasportato a un impianto centrale e usato per la produzione di biometano all’interno di un grande reattore», spiega Pamela Principi guardando al futuro.

* su incarico dell’Ufficio federale dell’energia (UFE)