«Daniele ammazzalo!». È l’esortazione di un padre a suo figlio. In pista si affrontano a skater hockey due squadre di ragazzini di 10-12 anni. Due altri padri intervengono per ricondurre il tizio a comportamenti più civili. Lo fanno con ferma delicatezza e la questione, fortunatamente, finisce lì.
Spesso la violenza dentro e fuori gli stadi scaturisce dall’incoscienza di un singolo. Se attorno a questo individuo, invece di pompieri, ci sono degli incendiari, la bomba è innescata. Che ci siano lottatori nell’arena e pubblico urlante sugli spalti non è storia solo di oggi. «Morituri te salutant» era il grido che lanciavano a Cesare i gladiatori votati alla morte. E il popolo del Colosseo andava in visibilio.
Da sempre gli stadi sono bolge infernali. Si freme, si soffre, si lotta, a volte ci si azzuffa e ci si azzanna. Pure sulle tribune si freme, si soffre, si lotta, a volte ci si azzanna e ci si azzuffa. Difficile dire se oggi lo sport sia un fenomeno vissuto e consumato più serenamente rispetto a 20 o 30 anni or sono. Posso affermare che molto è stato fatto, negli ultimi decenni, contro l’hooliganismo, soprattutto nei paesi in cui, come l’Inghilterra, era un’autentica piaga. Per contro non ho dubbi nell’affermare che 70-80 anni or sono il rapporto atleti-pubblico-arbitri era più corretto e rispettoso.
Non c’erano i tornelli alle entrate degli stadi. Nessun controllo. Nessuna perquisizione. La separazione dei sostenitori di due squadre in settori lontani fra di loro era inimmaginabile. La spesa alla voce «sicurezza» era di scarsissima entità. Nella cinematografia e nella narrativa, così come nell’immaginario collettivo, l’arbitro era, nella peggiore delle ipotesi, un «cornuto». Il concetto non è caduto in disuso, tuttavia da un po’ di tempo il direttore di gara è spesso definito con espressioni un po’ più dure, come: «arbitro tua moglie (o le varianti madre, sorella, ecc) sta sc....., pardon, sta facendo sesso con un’intera squadra di rugby».
Del resto gli sfottò tra opposte tifoserie sono spesso oggetto di querela. E gli striscioni, soprattutto se di matrice razzista o sessista, possono comportare multe salate per le società che li tollerano. Il litigiosissimo mondo sportivo del Ticino non è una terra vergine. Anche da noi ci si porta appresso il fardello di episodi vergognosi, come la feroce aggressione all’arbitro Luigi Grassi, a opera di giocatori, dirigenti e sostenitori del FC Mezzovico, il 7 maggio del 1969. Fu massacrato di botte solo per alcune presunte valutazioni errate durante una partita di Coppa svizzera.
Un episodio isolato, certamente, tuttavia negli ultimi tempi, chi dirige il calcio e chi difende gli interessi della classe arbitrale, ha lanciato accorati segnali di allarme. Non tanto per quanto sia accaduto, o potrebbe accadere, ai fischietti più prestigiosi, che sono adeguatamente protetti (a quale prezzo!?) da strutture solide e da forze dell’ordine private e pubbliche. Ciò che preoccupa sono la maleducazione e la violenza dilaganti sui cosiddetti campi minori, dove è impensabile organizzare un servizio d’ordine adeguato, e dove tutti, giocatori, arbitro, pubblico, sono alla mercè di tutti.
Poche settimane fa l’incontro di 5a lega tra il Codeborgo ed il Makedonija è finito in rissa, con un giocatore della squadra bellinzonese circondato e picchiato da numerosi rappresentanti del fronte avversario. Così, per lo meno, narravano le cronache.
L’inchiesta è ancora in corso, quindi lungi da me l’intenzione di attribuire delle responsabilità. Mi preme tuttavia sottolineare il fatto che, in simili situazioni, basta pochissimo che ci scappi il morto. Perché, per chi, per la difesa di quali valori? Sarebbe uno pseudo gesto eroico in nome di una squadretta di calcio, e non un atto di coraggio in difesa della propria terra, del proprio paese, dei propri simili. No, saremmo confrontati con una morte stupida, inutile, insensata.
Qualcuno potrebbe pensare: sono storie fra adulti, che si arrangino. Succede fuori da bar, discoteche e night club per uno sguardo che si posa dove non è gradito, o anche senza alcun motivo. Accade sulle strade per un banalissimo dito medio alzato o per un’involontaria manovra ritenuta azzardata. Il fatto che da sempre ci si prenda a botte senza motivi validi e seri (ammesso che ce ne siano), non è una ragione per abbassare la guardia, soprattutto se, a farne le spese, sono bambini e ragazzini. Poco tempo fa un gruppo di adulti ha aggredito verbalmente un giovanissimo arbitro quattordicenne. Gli autori hanno avuto per lo meno la sensibilità di tenere le mani in tasca. Tuttavia, lo si sa, la violenza verbale può avere sull’animo umano degli effetti ancora più deflagranti. E così, pare, è stato per il ragazzino in questione, che per diverse notti si è portato dentro lo smarrimento e la paura.
Non credo sia semplice ricondurre il fenomeno sport a valori puramente ludici. Tuttavia, cominciando almeno dagli ambiti in cui in palio ci sono una pacca sulla spalla e una pizza a fine partita, sarebbe un sogno realizzabile smorzare gli ardenti spiriti e divertirsi anche in caso di sconfitta?