Dire addio alla smania di controllo

Intervista – La pandemia ci impedisce di programmare e immaginare il futuro. Secondo Olga Chiaia, psicologa e psicoterapeuta, dovremmo focalizzarci sul presente, abbracciando l’incertezza
/ 27.04.2020
di Stefania Prandi

La pandemia causata dal Covid-19 sta mettendo a dura prova il nostro senso del controllo. Difficile riuscire a programmare e immaginare come saranno i prossimi mesi. Varrebbe la pena, invece di preoccuparci eccessivamente del futuro, focalizzarci sul presente, accantonando la smania di pianificazione e di certezze. Ma come fare? Lo abbiamo chiesto a Olga Chiaia, psicologa e psicoterapeuta, autrice di diversi libri, ultimo dei quali Lezioni di fiducia per diffidenti. Quando il controllo è il problema e non la soluzione (Feltrinelli).

Perché pensiamo di avere il controllo sulle nostre vite?
Il senso del controllo è una sensazione meravigliosa che acquisiamo crescendo e che manteniamo per l’efficacia che ha sulle cose materiali. Pretendiamo di avere controllo anche sulle nostre emozioni, sulle vite degli altri, sul mondo esterno. Si tratta, però, di qualcosa di illusorio, come ci dimostrano anche gli eventi recenti, perché molto, nella vita, va al di là del nostro raggio di azione.

Perché temiamo di perdere il controllo?
La paura di perdere il controllo è tipica di questo periodo storico, in cui ci è chiesto di essere efficienti e di dare sempre il massimo, mentre siamo in molti a provare un senso di inadeguatezza profondo e costante. Crediamo, inoltre, che la scienza e gli strumenti tecnici a disposizione ci rendano padroni delle nostre vite. Quando succede qualcosa che ci fa perdere terreno, il senso di controllo viene meno, e veniamo destabilizzati, precipitando nel caos. È diverso, invece, se siamo noi che lasciamo andare la presa, concedendoci il permesso di essere come siamo, senza piani prestabiliti. In questo secondo caso possiamo parlare di controllo flessibile, che ci alleggerisce le spalle e ci fa respirare meglio, perché consente alla vita di intervenire dove noi non riusciamo più.

Nel suo libro scrive, citando Emily Dickinson, che la nostra mente è più ampia del cielo, eppure quando si contrae nella tristezza o si serra su un pensiero di rabbia diventa angusta, e si rischia di sentirsi chiusi dentro, come in un ascensore bloccato al buio. Perché veniamo sovrastati dalla paura, dalla tristezza e rabbia?
Queste emozioni hanno dei messaggi utili. Se non provassimo paura, faremmo delle cose pericolose. La tristezza ci segnala che la situazione che stiamo vivendo non è buona per noi e ci indica di cambiare qualcosa. La rabbia rivela che il nostro io è stato calpestato, è una reazione di difesa. Una volta colto il messaggio che ci viene inviato da queste emozioni, dovremmo passare all’azione e le sensazioni negative che percepiamo dovrebbero dissolversi. Spesso, all’opposto, cerchiamo di scacciarle senza averle ascoltate, finendo per trattenerle per giorni e per settimane, senza riuscire a lasciarle andare. E si cronicizzano.

Come possiamo contrastare queste tre emozioni?
Nella psicologia moderna si parla di «parti» di cui siamo composti. Quindi, non dobbiamo contrastare qualcosa, ma accogliere le parti di noi che provano certe emozioni. Ognuno, in genere, propende maggiormente verso la paura, la rabbia oppure la tristezza. Dopo avere riconosciuto quale emozione ci caratterizza, possiamo cercare di consolare la parte che la prova, come si farebbe con un bambino, aiutandola a passare all’azione. Si può partire proprio dal corpo. Ciascuna di queste tre emozioni, infatti, ha un correlato fisiologico importante. Non ci sono regole generali che vadano bene per tutti, così come certe soluzioni sono adatte solo in certi momenti e non in altri. Però sappiamo, perché esiste una letteratura di secoli al riguardo, che usando il respiro in certi modi, si permette all’ansia di calare e andarsene. Per quanto riguarda la tristezza, può passare con una tecnica chiamata «l’abbraccio della farfalla». Funziona così: si mette la mano destra sulla spalla sinistra e la mano sinistra sulla spalla destra e si fa un massaggio alternato, seguendo un proprio ritmo. Con quest’azione si esprime il contenimento di se stessi e si secerne ossitocina. E si può imparare a non far esplodere né implodere la rabbia, ma a esprimerla assertivamente.

La pandemia è un esempio concreto di perdita di controllo. Quali sono i suoi consigli per mantenere l’equilibrio psico-fisico?
La pandemia mina le nostre certezze, i progetti che credevamo sicuri, tutto ciò che consideravamo affidabile, rendendolo instabile. La soluzione è concentrarci molto sul presente: il futuro, come ci viene ricordato in continuazione da quello che sta succedendo, non è in nostro potere. È giusto sentire i pareri esterni, ma non troppo, dato che abbiamo visto che anche gli esperti sbagliano. Consiglio di stare in ascolto affettuoso del sé profondo. Alcuni suggerimenti generali: riprendere i nostri cinque sensi ed essere presenti nei nostri corpi, con attenzione. Dentro di noi risiede una propensione all’ottimismo biologico, quello che provano i neonati, che ci fa venire voglia di vivere e respirare nonostante tutto. Affidarsi alla saggezza del corpo, che in alcuni momenti ne sa più di noi, può essere una soluzione.

Lei scrive dell’importanza della leggerezza. Come ricordarci di quanto è bella? Come riacquistarla quando la perdiamo?
La leggerezza è la mancanza di pesi. Ci ricordano la sensazione della piacevolezza della leggerezza i bambini, gli animali domestici, le piante, la natura in generale e il gioco, inteso come la capacità di sbagliare, di girovagare con la mente, di fare cose che non abbiano utilità immediata. Per riacquistarla possiamo chiedere al nostro senso del dovere di darci una tregua. Possiamo lasciare per terra i carichi che ci portiamo sulle spalle, ricordandoci che alleggerirsi non significa essere meno efficaci, ma liberarsi dalla zavorra. Ridurre il sovraccarico di pensieri e di rumore è sempre utile, trovando un momento, durante il giorno, in cui si svuotano la testa e il cuore. Una tecnica semplice è il grounding: ci si sdraia per terra e si visualizza l’immagine della superficie terrestre che ci sostiene e ci accoglie, pensando che i nostri pensieri sono nuvole, passeggere, mentre la nostra mente è il cielo.