Si dice spesso che i ragazzi di città non sanno da dove arrivi il formaggio né quante zampe abbia un pollo. Si pensa sempre che questi «ragazzi ignoranti» vengano da metropoli sconfinate, lontane da qualsiasi campagna. Invece, secondo i nostri contadini, anche da noi ci sono bambini che vivono senza interrogarsi sui prodotti che consumano e quindi che non hanno idea di che forma abbia la «pianta della polenta». Addirittura molti la polenta non la mangiano mai e quando la assaggiano in una fattoria la adorano.
Per questo motivo e molti altri l’Unione dei Contadini Svizzeri ha ideato un programma che coinvolge scuole e fattorie, per svolgere giornate didattiche fuori dai centri urbani. Perché va bene essere circondati da monumenti frutto dell’ingegno umano come palazzi, strade, computer, macchine, aeroplani, ma non bisogna nemmeno disdegnare ciò che da millenni unisce natura ed esseri umani: l’agricoltura.
Il cammino del latte, dei cereali, dell’uva, delle erbe, del miele: sono tutti modi per restare in contatto con la propria vita, perché tutti noi consumiamo formaggio, pasta, marmellata, vino, tè e infusi. Ai bambini molto piccoli si insegnano i versi degli animali, prima che sappiano leggere gli si regalano libri sulle creature che popolano il bosco, il mare, la giungla, la fattoria. E poi? E poi basta. Se i genitori non vanno a camminare fuori città, i ragazzi si dimenticano l’importanza di chi lavora affinché loro possano trovare sulla propria tavola pane, carne, frutta e verdura. Sembra così banale, eppure... In fattoria, per un giorno, si può imparare a mungere una capra, si possono impastare i büscion con l’erba cipollina raccolta nell’orto, si può strigliare un cavallo, andare nel bosco a raccogliere erbe, guardare un apiario, e molto molto altro. Alla fine sicuramente è meglio farsi preparare un pranzo con prodotti della fattoria piuttosto che portarsi un picnic preconfezionato: fa parte della giornata, anche se è un’opzione a discrezione degli insegnanti (leggi del budget che ha la classe in visita).
La scuola in fattoria esiste a livello svizzero da trentaquattro anni e nel nostro cantone da una ventina, sotto la responsabilità dell’Unione dei Contadini Ticinesi. Sono 28 le fattorie in cui le scuole elementari e medie del Cantone possono richiedere un programma di una giornata insieme ai contadini. Si tocca con mano quel mondo che era così presente al momento di incominciare a parlare e che poi è stato relegato in secondo piano. «Ma i bambini quando vedono le cose vere, i macchinari, le stalle, l’imponenza del cavallo e il profumo del fieno, quando sentono qualcuno che parla loro del suo mestiere, non per insegnare, ma per raccontare ciò che costituisce il suo lavoro quotidiano, allora ascoltano, si sentono importanti e si lasciano condurre in un mondo che non conoscono», racconta un insegnante che ha partecipato ogni anno alla scuola in fattoria. E cita Carlo Ossola: «Per un letterato sarebbe impossibile scrivere una poesia sul pane senza sapere come si fa. Chi si alza di notte per cuocere, impastare e la mattina ti porta una pagnotta sulla soglia di casa, fa ben altro che un alimento. Fa un simbolo di vita».
La scuola ha questo compito, difficile: fare il passo indietro e fornire il binocolo per guardare le cose nel loro insieme, per costruire un’idea globale dei fenomeni. Come sostengono Mario Delucchi (Ufficio dell’insegnamento primario) e Francesco Vanetta (Ufficio dell’insegnamento medio) in un documento che spiega il senso della scuola in fattoria, «in una società fortemente condizionata dalla tecnologia, come è quella in cui viviamo, la distanza fra l’origine delle cose e il loro stato finale, così come ci appare nell’uso quotidiano, rischia di diventare sempre più grande, tanto da risultare incolmabile. I numerosi studi sulle rappresentazione spontanee che i bambini hanno dei vari fenomeni scientifici indicano come l’assenza di esperienze dirette, sensoriali e concrete, tipica di una società in cui predomina un sapere mediato, impedisca una reale comprensione dei cicli vitali e delle trasformazioni biologiche che sono alla base della nostra esistenza. La vita della maggior parte dei nostri allievi trascorre in modo “terziarizzato”, in cui le attività umane non hanno alcun collegamento evidente con i luoghi di produzione e di lavorazione delle materie prime, ma si svolgono in un rapporto quasi sempre virtuale con l’ambiente naturale».
Perciò esserci, provare, toccare. Fare esperienza. Portare la scuola fuori dalla scuola e entrare nei mestieri, incluso quello dell’agricoltore e allevatore. «Dovrebbe diventare una giornata obbligatoria per tutti durante il percorso scolastico», dice Nicoletta Zanetti, dell’Agriturismo il Mugnaio di Semione, una delle fattorie che aderiscono al programma. «Ed è importante sottolineare che non si tratta di una gita scolastica ma di una giornata di scuola».
Uno degli obiettivi, si è detto, è formare consumatori consapevoli: sapere cosa si mangia, scegliere tra chilometro zero, biologico, prodotto fresco o scatola che gira il mondo per atterrare nella nostra dispensa, inspiegabilmente più economica ma certamente con meno gusto e vitamine. Tra gli scopi dunque togliere questa parola: inspiegabilmente. E provare a capire, dando così la possibilità all’agricoltura locale di spiegare meglio le sue esigenze, i suoi sforzi e i suoi prezzi, oltre che i suoi innumerevoli benefici.
Ultimamente sono nati nuovi cammini, come quello della biodiversità, dell’orto in fattoria, del suolo e un cammino del latte rinnovato, tutti con una storia che racconta del nostro territorio e di chi ci ha preparato il mondo in cui viviamo. «Ogni altro suggerimento da parte di docenti, allievi o agricoltori, è naturalmente ben accetto!», è l’invito finale con cui si rivolge l’Unione dei Contadini Ticinesi a chi è interessato a partecipare alle proposte della scuola in fattoria.