Dalla famiglia alla scuola

Scuola dell’infanzia – Opinioni a confronto sul delicato momento dell’inserimento graduale durante il primo anno
/ 04.02.2019
di Sara Rossi Guidicelli

Chi ha figli piccoli e lavora deve fare i conti con tre aspetti: i propri orari, i ritmi del bambino e l’offerta scolastica.

P. e G. hanno due figli, vivono nel Locarnese. Lui lavora a tempo pieno, lei ha un posto al 50%, per due giornate e mezzo, a Bellinzona. «Il più piccolo l’ho portato alla scuola dell’infanzia nell’anno facoltativo, perché era già stato al nido e mi avevano detto che in due settimane avrebbe concluso l’inserimento, ma per un mese il suo orario era dalle 8.30 fino alle 11.30, quattro giorni a settimana. Tempo di andare al lavoro ovviamente non c’era. Dopo un mese, ha cominciato a rimanere in mensa a mangiare, cosa che lui avrebbe voluto fare dal primo giorno. Prima di Natale dunque restava 4 giorni fino all’una e mezza. Mi dicevano che l’inserimento serve a dare continuità con le persone di riferimento di prima, per un passaggio graduale dalla famiglia alla scuola, ma ho dovuto mobilitare nonni, sorelle, mamme diurne e babysitter affinché aiutassero me e mio marito nell’organizzazione degli orari. Al pomeriggio non lo tenevano perché avrebbe avuto bisogno di un riposino, ma nella nostra sede non ci sono le brandine (perché non ci sono brandine in ogni sede?). Credo piuttosto che sia una questione di organizzazione della maestra, perché è lei che decide. Io ho provato a dirle i miei bisogni e quelli che penso siano di nostro figlio, ma non volevo insistere troppo per paura che poi l’antipatia per me si ripercuotesse sul piccolo. Prima al nido gli orari erano un po’ più prolungati, e tra me mia mamma e mio marito riuscivamo a gestire la settimana».

Susy Poletti, vice presidente aggiunta della Conferenza Cantonale dei Genitori e direttrice pedagogica di Agape (associazione attiva nel sostegno alla conciliabilità famiglia-lavoro), commenta così: «Posso confermare che esistono diversi casi di genitori che si trovano in difficoltà nel conciliare lavoro e inserimento del figlio al primo anno di scuola dell’infanzia (facoltativo o obbligatorio, ndr). Le segnalazioni arrivano anche a noi. A volte, anche se raramente, si vivono situazioni frustranti quando si vedono bambini che assumono comportamenti regressivi dal nido alla scuola dell’infanzia proprio a causa di un inserimento troppo lento». Secondo lei ci vorrebbero criteri chiari, semplici e poco fraintendibili, che possano aiutare anche il genitore a capire quando il figlio è pronto a essere inserito e in quanto tempo, soprattutto quando devono scegliere se iscriverlo all’anno facoltativo. Durante la transizione, aggiunge Poletti, i tempi dovrebbero essere concordati coinvolgendo anche i professionisti che operano nelle strutture collettive come i centri extrascolastici, se li frequenta, e così via.

Il regolamento sull’inserimento è infatti piuttosto elastico. «Noi per legge accogliamo tutti dai 3 anni», spiega Rezio Sisini, capo sezione delle Scuole Comunali. «Poi ci impegniamo a raggiungere entro la fine dell’anno facoltativo il tempo pieno, facendo quello che è più giusto per il bambino. Nell’anno obbligatorio, dai 4 anni, i bambini inizialmente frequentano 4 mattine e tutte le famiglie hanno un colloquio entro fine ottobre con il docente; i tempi di inserimento vengono concordati ad personam e l’obiettivo è di raggiungere il tempo pieno entro fine ottobre. I maestri sono professionisti che hanno metodi di osservazione molto precisi e che prendono decisioni sulla base di molti criteri, difficili però da definire in modo inequivocabile, perché non si tratta di macchine bensì di esseri umani. Per noi è importante il colloquio con la famiglia, per informarla sempre mano a mano delle osservazioni fatte sul bambino e per venire incontro ai loro bisogni qualora possibile. La scuola è un’istituzione e non un servizio: il suo compito è di formare ed educare i bambini. I servizi sul territorio devono invece dare una risposta ai bisogni di conciliabilità».

Ma da parecchie testimonianze raccolte da noi, la piena frequenza spesso non è raggiunta nemmeno alla fine dell’anno, tra i bambini di tre anni; e molti genitori lamentano che anche tra i bambini di quattro anni l’inserimento si protrae ben oltre questo termine.

A marzo scorso Nadia Ghisolfi ha scritto una mozione al Governo affinché le direttive nella scuola dell’infanzia siano adattate in modo che la frequenza a tempo pieno entro la fine di ottobre valga per tutti gli allievi iscritti, fatta eccezione per casi pedagogicamente motivati. Secondo Ghisolfi l’obiettivo della frequenza a tempo pieno per gli allievi nell’anno facoltativo «sembra in particolar modo venire dimenticato in alcune sedi». Nel corso della reale introduzione nella scuola dell’infanzia, la frequenza a tempo pieno per i bambini nell’anno facoltativo non viene più «costruita progressivamente e in accordo con la famiglia ma viene imposta secondo un rigido schema uguale per tutti: settembre e ottobre 4 mezze giornate senza refezione, dopodiché, se la maestra considera il bambino pronto, novembre e dicembre si integra la refezione, e poi, sempre a discrezione della maestra, da gennaio potrà frequentare anche al pomeriggio». Il Consiglio di Stato ha risposto che a febbraio 2018 solo il 47,14% degli allievi di tre anni erano scolarizzati a tempo pieno e che questo dato «è lungi dall’essere soddisfacente» e che l’opzione di un tempo parziale deve essere concordata con la famiglia.

Laura Battaini e Alexia Devittori sono docenti di scuola dell’infanzia, rispettivamente di Pregassona e di Olivone, entrambe membre del comitato dell’Associazione Cantonale Docenti Scuola dell’Infanzia. «Secondo noi», spiegano, «abbiamo una struttura pensata molto bene. Ci sono maestri che ritengono sarebbe meglio separare i bambini dell’anno facoltativo in una classe a sé, così da poter integrare più rapidamente sia loro sia quelli dell’anno obbligatorio, ma noi non siamo di questa opinione. Tre fasce d’età insieme costituiscono una grande ricchezza. Seguire il ritmo del bambino significa inserirlo gradualmente il primo anno, renderlo poi pienamente partecipe nel secondo e addirittura responsabile dei più piccoli nel terzo. È una crescita bellissima. Certo, sappiamo che ci sono genitori che lavorano e quindi cerchiamo a volte di velocizzare il processo, ma se pensiamo al bambino, ai suoi bisogni affettivi, fisici, comunicativi, molte volte avrebbe bisogno di maggiore gradualità e lentezza».

Nessuno nega poi che ci sia anche una questione di difficoltà crescente nell’organizzazione delle classi della scuola dell’infanzia. «Certo che esistono problematiche che non sono legate né al bambino né alla questione della conciliazione lavoro-cura dei figli», esplicita Sisini. «Per esempio da molto tempo si denuncia il fatto che i docenti di SI lavorano ininterrottamente dalle 8.30 del mattino alle 16 senza pausa. In più c’è il fatto che il numero massimo di allievi per classe è troppo elevato (il Decs ha più volte proposto a diminuirlo ma senza trovare il consenso del Gran Consiglio). Riguardo alla refezione, di cui sono responsabili i Comuni, solo 18 sezioni su 419 non ne sono ancora dotate. Infine, sulla questione della possibilità di riposare, ogni sede offre un angolo tranquillo».

Visto che non è la Scuola dell’Infanzia a dover risolvere i problemi dei genitori che lavorano, le loro disattese richieste d’aiuto devono essere rivolte altrove, cioè a chi si occupa di conciliabilità famiglia-lavoro (Dipartimento Sanità e Socialità) e in particolare alla sua rete di servizi extrascolastici. Rezio Sisini spiega che il Decs e il Dss, in collaborazione con la Supsi, hanno un gruppo di lavoro che sta compilando un documento da fornire ai Comuni al più presto con tutti i suggerimenti per l’offerta che questi possono mettere in piedi per le famiglie riguardo a validi servizi extrascolastici. «Come Conferenza Cantonale dei Genitori cooperiamo affinché migliori sempre più la collaborazione tra i due Dipartimenti», spiega Susy Poletti, «così da favorire la conciliabilità tra lavoro e genitorialità, nel rispetto dei bisogni del bambino. Il nostro contributo su questo tema passa anche attraverso la piattaforma “Forum della genitorialità”, che raggruppa associazioni e professionisti del territorio. Lavoriamo insieme ai Dipartimenti per un potenziamento dei centri extrascolastici, che ora sono più sviluppati nelle regioni del Luganese e del Mendrisiotto, nelle città di Bellinzona e Locarno, mentre sono meno presenti nelle Valli e nelle periferie dove, quindi, per il momento, chi può deve appoggiarsi di più sulla sua rete famigliare e di contatti. I centri extrascolastici garantiscono la refezione agli allievi delle scuole, sia dell’infanzia sia elementari, quando questa non è integrata nell’istituto, e garantiscono apertura per il pre e il doposcuola, compresi mercoledì e vacanze scolastiche. Vi lavorano educatori formati che sanno gestire tempi e attività in funzione dei bisogni dei bambini di ogni età e sanno adeguare l’intervento e distinguere i bisogni in relazione al periodo dell’anno e dell’attività scolastica svolta dai bambini».

«C’è un altro aspetto ancora da non dimenticare in questo discorso», sottolinea Laura Battaini mettendo tutti d’accordo almeno su questo punto. «In Ticino si chiede molto alla scuola, perché manca flessibilità nei tempi di lavoro e questo riguarda i datori di lavoro. Se si potessero avere più tempi parziali, per le mamme, i papà e i nonni che lo richiedono, ci sarebbero meno problemi».