C’è chi sostiene che lo svizzero sia tendenzialmente conservatore e immobilista. Su quali basi lo affermi, non saprei. So tuttavia che questo concetto non può essere applicato al rapporto che il cittadino medio costruisce, stagione dopo stagione, con lo sport, anche se nessuno rinnega nulla. Se, ad esempio, vi capitasse di girare per le campagne centrosettentrionali del paese, fra i cantoni di Berna, Soletta e Argovia, potreste vedere decine e decine di persone muoversi stranamente sulle ampie distese verdi, fra alberi da frutta, e altre intente a fermare una specie di pallina con delle pale di legno. Stanno giocando a Hornussen, una sorta di antenato del baseball, risalente al Seicento, magistralmente descritto da Jeremias Gotthelf in Ueli der Knecht.
Accanto a queste manifestazioni ancestrali, e ci metto ovviamente anche la Festa federale di lotta svizzera, con tanto di lancio della pietra di Unspunnen, si affacciano con sfrontatezza anche le nuove discipline Fun, di cui già abbiamo scritto tempo fa. Siamo diventati dei fenomeni sulla Mountain Bike e siamo tra i migliori al mondo nel Free Style, tanto con gli sci, quando con lo snowboard. Inoltre siamo abili nel fiondarci, con attitudine tutt’altro che immobilista, in quelle attività sportive che gravitano tra l’antico e il nuovo, tra la tradizione e l’innovazione.
Prendete ad esempio l’America’s Cup di vela. Risale a metà Ottocento, quando regattare era un’avventura dai risvolti romantici e drammatici al tempo stesso. Col passare dei decenni si è trasformata in terreno ideale per la ricerca tecnologica. E proprio negli anni della digitalizzazione, e della sperimentazione a oltranza, siamo arrivati noi, a dominare la scena, con Alinghi e con il know how delle nostre Scuole politecniche federali. Noi, alpinisti e alpigiani, capaci di veleggiare meglio di pirati e marinai. Noi che in poche settimane abbiamo assimilato il lessico da barca.
Anche il curling, sia pure dieci pianeti più sotto dal profilo finanziario, rientra nel novero delle discipline sportive che stanno riconquistando il mondo. Di origini antiche (due quadri di Bruegel il Vecchio ne raffigurano un suo antenato), ufficialmente il curling ha visto la luce nel 1795 a Edimburgo, in Scozia, dove fu fondato il primo club. Il suo rapporto con i Giochi Olimpici è stato maledettamente sfilacciato fino a pochi decenni fa. Inserito nel programma sin dalla prima edizione invernale, a Chamonix, nel 1924, vi è rimasto fino al 1932, per riapparire nel 1988 a Calgary, e nel 1992 ad Albertville, come sport dimostrativo. Quindi, misteriosamente, è uscito di scena in occasione dei Giochi di Lillehammer del ’94. Altrettanto misteriosamente è tornato a pieno titolo quattro anni dopo a Nagano, dove gli svizzeri Patrick Hürlimann e compagni hanno conquistato il primo oro del nuovo corso.
Quella medaglia e quelle lacrime hanno coinciso con il decollo del curling sulle nostre piste. È rimasto uno sport di nicchia, tuttavia, col passare delle edizioni di Giochi Olimpici e Campionati Mondiali, le attenzioni che le varie TV gli hanno dedicato sono andate in crescendo. Non ha il dinamismo dell’hockey su ghiaccio, non offre la lotta contro il tempo dello sci alpino, e manca pure il confronto uomo contro uomo di biathlon e sci di fondo. Eppure piace.
Da un lato si può ipotizzare che ovunque ci sia in campo o in pista uno sportivo svizzero a caccia di gloria, il pubblico risponda «presente», a prescindere dall’ambito in questione. D’altro canto, chi ama e promuove il curling, sostiene che si tratti di un’attività adatta a tutti, giovani e anziani, uomini e donne. E proprio le donne hanno regalato le migliori soddisfazioni alla Svizzera, con cinque titoli mondiali negli ultimi sette anni. Il più recente è quello conquistato pochi giorni fa a Silkeborg, in Danimarca, dal team guidato dalla Skip Silvana Tirinzoni.
Già la «Skip», il «Clean», lo «Sheet», il «Pebble» e il «Curl». Un gergo che non riuscirà mai a soppiantare «Dribbling», «Corner», «Power play» e «Box Play», ma che ci farà sentire tutti partecipi di un evento in cui la bandiera rossocrociata sventola spessissimo sul pennone più alto. E non importa se Silvana Tirinzoni non raccoglierà la gloria con la G maiuscola, quella che si traduce in visibilità e denaro. Bastano le emozioni, la festa, il Salmo svizzero. Poi, una volta bevuto l’ultimo sorso di spumante, lei proseguirà la sua attività di Project Manager presso Banca Migros. E immagino lo farà con piacere, altrimenti avrebbe scelto di tentare la fortuna con golf, tennis o sci alpino.