Al servizio dell’umanità sofferente

Così Salman Luban, nel suo diario Ricordi di un medico di montagna, scritto nel 1954, descriveva la professione medica: «La medicina, pur arrivando al limite del possibile di scienza esatta, non potrà mai considerare e trattare il corpo umano come una macchina composta di formule puramente matematiche e chimiche, ma dovrà sempre occuparsi del lato psichico dell’uomo, così fine e differenziato da non tollerare l’ingerenza di macchine calcolatrici per scomporlo e ricomporlo. Così, accanto al lato essenzialmente scientifico della nostra grande e nobile professione, ci sarà sempre posto per l’arte medica che, dacché mondo è mondo, s’è sempre offerta, seppur con alterne vicende, al servizio dell’umanità sofferente».
Parole e concetti che quasi settant’anni dopo hanno ispirato la scelta controcorrente del nipote Sergio Luban.

La targa commemorativa sulla Casa comunale dedicata a suo nonno, il dottor Salman Luban (V. Cammarata)

Da dottore in città a medico di montagna

Incontri – La scelta anticonformista di Sergio Luban che da Locarno si trasferisce in Val Calanca, sulle orme del nonno paterno. Visiterà a domicilio i pazienti e suonerà l’organo della chiesa
/ 20.01.2020
di Mauro Giacometti

Nel suo rustico nel nucleo del villaggio di Augio, in Val Calanca, seduto sulla poltrona in soggiorno e davanti al camino acceso, sfoglia lentamente un opuscolo ben rilegato: Ricordi di un medico di montagna. È un diario romanzato scritto poco prima di morire, nel 1954, da suo nonno, Salman Luban, medico di condotta della Calanca. Lui non era ancora nato, ma il padre Boris, medico e psichiatra di fama internazionale, gli parlò a lungo di quel nonno, fuggito dalla Russia, che nel 1918 si laureò a Berna e subito dopo approdò in Mesolcina per combattere l’epidemia di grippe (la tragica “Spagnola”) che nel primo dopoguerra colpì anche la Svizzera provocando quasi 25.000 decessi. Insediatosi a Grono con la moglie Sofia, Salman Luban fu destinato alla Calanca e per oltre 30 anni curò la gente di questa valle che, apprezzandone le qualità professionali e umane, lo proclamò cittadino onorario del villaggio di Augio con tanto di targa commemorativa sulla Casa comunale.

A distanza di tanto tempo Sergio Luban, 63 anni, locarnese, specialista in medicina interna generale, figlio di Boris e nipote di Salman, ha deciso di insediarsi in Val Calanca, proprio ad Augio non solo ripercorrendo le orme professionali del nonno ma trasferendo la sua residenza dalla città alla montagna. «Per quasi trent’anni ho avuto il mio studio a Locarno, collaborando con l’Ospedale La Carità e la Clinica Santa Chiara. Negli ultimi decenni, però, la medicina è radicalmente cambiata: più burocrazia, più esami, meno contatti diretti con i pazienti, meno tempo per le visite o l’aggiornamento professionale. Così nel 2017, non trovando colleghi subentranti, ho deciso di chiudere il mio studio locarnese, affiliandomi ad un centro medico, struttura che gestisce la sempre più opprimente parte amministrativa, lasciandomi più spazio per la pura professione. Poi, l’estate scorsa, ho acquistato un rustico ad Augio. Proprio mentre assistevo ai lavori di ristrutturazione della casa mi si fece incontro una signora del posto: aveva una dolorosa distorsione alla caviglia e, sapendo che ero medico, mi chiese di aiutarla. In quel momento ho avuto una sorta di illuminazione: ecco la mia futura missione, ho pensato. Quella che fu la vocazione di mio nonno sarà la mia: fare il medico di montagna», racconta Sergio Luban.

Così da quest’anno, ottenuto il libero esercizio anche per il Canton Grigioni, la Valle Calanca ritrova il suo “medico di condotta”. È appunto Sergio Luban, attinente di Augio (35 abitanti, oggi frazione di Rossa), nipote di quel dottor Luban che, partendo da Grono e muovendosi con lentezza e fatica tra scoscesi sentieri, mulattiere e cumuli di neve alti due metri, raggiungeva le umili abitazioni di Selma, Landarenca, Santa Maria o Braggio per visitare, assistere, dare conforto e curare i suoi pazienti. «Questa è una valle aspra, discosta, ma fin da piccolo l’ho amata e mi è rimasta nel cuore. La natura è incontaminata, l’aria, l’acqua, la flora, la fauna, il fiume, le montagne che la circondano e la proteggono continuano ad affascinarmi. Ci venivo spesso con i miei genitori e i miei fratelli; da adolescente, d’estate, aiutavo i contadini a raccogliere il fieno e gli allevatori a governare le stalle. Anziché acquistare una casa di vacanza, quindi, ho deciso di trasferirmi qui, in pianta stabile, facendo il medico a domicilio», spiega l’internista locarnese.

Proprio come il nonno, che con la sua borsa da medico percorreva tutta la valle - inizialmente su un calesse trainato da un cavallo condotto dal fidato assistente “Modesto”, un artigiano che per anni si prestò a fare da guida al dottore - anche Sergio Luban, con l’auto elettrica o in mountain bike con pedalata assistita, raggiungerà i suoi pazienti alla bisogna. «Oltre che a rispondere ad un’esigenza personale di ritorno alla natura e alle mie radici familiari – sottolinea – questa mia scelta ha un fondamento etico nei confronti di una professione, quella di medico, che, come ho detto, si sta snaturando. Vorrei riportare al centro del mio lavoro il rapporto diretto e senza filtri tra paziente e medico: il primo, che sta male, si affida alla conoscenza e all’esperienza del secondo, che cerca di farlo stare meglio. Avrà di fronte un professionista che lo ascolta, lo visita al proprio domicilio, si prende il tempo per una corretta anamnesi, per la scelta di esami di laboratorio oltre che strumentali di conferma della diagnosi ed infine dispone una terapia adeguata. E che, passando sotto casa, non disdegna di suonare il campanello per assicurarsi del decorso della sua malattia».

Per spiegare la sua necessità di riportare la medicina al centro della sua vita professionale, Sergio Luban ci racconta un aneddoto, questa volta riguardante il padre, Boris Luban-Plozza. «Aveva seguito le orme paterne, studiando medicina. Ma un giorno, proprio da queste parti, vide una capretta azzoppata. La guardò, la accarezzò, si prese cura di lei e la guarì. In quel momento, mi spiegò più tardi, capì le potenzialità della mente umana, dell’empatia, dell’interazione che se potevano essere d’aiuto ad un animale figuriamoci ad un essere umano. Così nacque il suo interesse per la psicologia e la psichiatria, discipline nelle quali poi si specializzò», spiega.

In caso di necessità, il suo rustico di Augio avrà a disposizione anche una stanza per il primo soccorso o le visite, sempre in accordo con il medico curante della regione. Ma, ci tiene a ribadire il dottor Luban, saranno interventi occasionali: «A Locarno manterrò una certa attività, un paio di giorni alla settimana tornerò in città. Anche il quel caso, però, nessuna visita ambulatoriale ma solo pazienti consultati a domicilio. Pazienti che ho informato per tempo e che hanno dimostrato comprensione e apprezzamento per la mia scelta».

La sua nuova vita ad Augio e in Valle Calanca – che potrebbe presto avere il riconoscimento di Parco nazionale - avrà però anche un côtè culturale. Da sempre appassionato di fotografia, con la pubblicazione di un paio di volumi e diverse mostre all’attivo, il dottor Sergio Luban sicuramente organizzerà qualche esposizione al Centro culturale e ricreativo La Cascata di Augio, a pochi metri dal suo rustico. E siccome si cimenta bene anche al pianoforte, sta già pensando di ridare voce all’unico organo di tutta la Val Calanca ospitato proprio nella chiesa parrocchiale di Augio. «Per fare l’organista, però, dovrò studiare ed esercitarmi un po’, ma credo che per la prossima estate sarò pronto», ci dice sorridendo e salutandoci dalla sua valle.