La videointervista


Servizio della giornalista Maria Grazia Buletti (video di Vincenzo Cammarata).


Curare corpo e mente

Medicina - Per superare o convivere con un malessere più o meno grave talvolta è richiesto un solido supporto
/ 21.01.2019
di Maria Grazia Buletti

«Quando sono arrivato qui in clinica, prima ancora del medico, ho trovato un amico disposto ad ascoltarmi e ad aiutarmi. Nel corso della mia vita ho sempre speso tutte le mie energie per aiutare il prossimo, sin da giovanissimo, aiutando tutti: in famiglia da piccolo, poi gli altri sul lavoro, in politica, nella vita sociale. Quando poi mi sono ritrovato ad avere bisogno io, nessuno mi porgeva una mano». Incontriamo il docente in pensione e scrittore Gilberto Bossi alla Clinica Hildebrand centro di riabilitazione di Brissago, dove segue un percorso di riabilitazione psicosomatica. Mentre passeggiamo nel boschetto dietro la struttura e godiamo insieme della magnifica vista sul Lago Maggiore, ci confida di amare tanto la montagna, dove ha sempre provato a recuperare le energie fisiche che man mano sentiva venire meno, ma l’estate scorsa si è sentito “completamente a terra”: «Ho cominciato ad avvertire sintomi di affaticamento fisico più che mentale da diversi anni; per questo mi sono recato da molti medici e sono stato ricoverato pure in un ospedale dove ero trattato come malato psichico (per depressione), ma non hanno mai capito di cosa si trattava, finché sono arrivato qui, una sorta di “ultima spiaggia” dove però ho trovato accoglienza, ascolto e una vera mano che mi sta aiutando».

Lungo il sentiero e durante la nostra lunga chiacchierata ci accompagna il dottor Nicola Bianda, che all’Hildebrand si occupa di medicina interna e generale, psicosomatica e psicosociale: «Parlare di medicina psicosomatica potrebbe sembrare una sfida e un’utopia, perché i nostri pazienti sono innanzitutto persone reduci da percorsi di accertamenti lunghi e faticosi, alla ricerca della propria salute, ma che non hanno trovato risposte perché la medicina non è stata in grado di spiegare i loro sintomi e disturbi manifesti». Una definizione della medicina riabilitativa psicosomatica che mette subito la persona al centro dell’interesse multidisciplinare del percorso di cura votato a fare riemerge le risorse personali alle quali non riesce più ad attingere. 

E per le quali può manifestare differenti sintomi che a livello medico non trovano il riscontro di una patologia, spiega il medico: «Il paziente può manifestare ad esempio cefalee, dolori cervicali, lombari, addominali, o ancora tachicardia, a volte presenta disturbi respiratori, e potrebbe manifestare anche una serie di sensazioni come formicolii o vertigini e tutto questo, dicevamo, non trova riscontro somatico nelle indagini mediche». In sintesi, siamo dinanzi a una persona tutto sommato sana che però non sa come ritrovare la propria salute: soffre e necessita di un aiuto per riuscire a recuperare il proprio equilibrio psicofisico. 

«Questa, per me, è un po’ “l’ultima spiaggia” dopo aver provato tante strade», afferma il signor Bossi. Dunque, ciò che il paziente trova entrando in clinica per affrontare un percorso riabilitativo psicosomatico è proprio quello che si aspetta di trovare e in cui ripone grandi aspettative. Dal canto suo, il dottor Bianda pone l’accento sulla solidità della relazione terapeutica fra medico e paziente: «Questi pazienti giungono qui con una bassissima fiducia a causa del proprio vissuto. Perciò, dobbiamo iniziare a ricostruire questa loro fiducia, attraverso piccoli ma grandi passi e poniamo in tal modo solide basi per iniziare a lavorare insieme». 

Il medico afferma che: «Chi affronta un percorso di questo genere non arriva in clinica per voltare pagina o cambiare capitolo, ma per cambiare veramente libro e porre le basi per una nuova esperienza». E non è semplice, perché Bianda ci spiega che talvolta la malattia può essere qualcosa a noi noto che ci teniamo ben stretto: «Se ammalarsi è triste, a volte guarire è peggio: vi sono situazioni in cui il paziente si “tiene stretta” la propria condizione raggiunta con fatica, con la convinzione che, paradossalmente, lo protegge in una sorta di strategia di sopravvivenza».

I sogni e i bisogni di chi decide, come il signor Bossi, di intraprendere questo cammino terapeutico, devono essere dunque accolti, spiega il dottor Bianda: «Innanzitutto mettiamo in campo la disponibilità per costruire una relazione terapeutica con valore di crescita e apprendimento, che si sviluppa attraverso cure multidisciplinari fisiche ma soprattutto psicoterapiche, e in quest’ambito è importante la scelta tra i diversi indirizzi terapeutici». Il percorso, di durata variabile e individuale, si sviluppa dopo un’accurata anamnesi e una diagnosi, snodandosi attraverso specifici approcci di psicoterapia integrata, quali la psicoterapia sensomotoria o l’EMDR: «Utilizziamo gli approcci al trauma psicologico, inteso come evento o serie di eventi di vita improvvisi ed esterni, in grado di disgregare le strategie di difesa e di adattamento: ad esempio, un evento cardiovascolare o un incidente, una diagnosi oncologica in cui l’evento stesso comporta anche un messaggio o un’opportunità e la persona potrebbe uscirne, secondo il proprio passato e le risorse di cui dispone, come sopravvissuto o come vittima».

I valori principali che dispongono la persona al cambiamento e alla ricerca delle proprie risorse sono costituiti da disponibilità, curiosità ed empatia: «Essere curioso permette al paziente di ritrovare tutta una serie di collegamenti di situazioni, di comprendere e comprendersi meglio; la disponibilità è la capacità di esserci innanzitutto come persona, terapista e medico, oltre alle competenze professionali insindacabili; l’empatia è la capacità di sapersi immaginare al posto dell’altro». Mentre camminiamo, il signor Bossi ci conferma tutto questo attraverso semplici ma efficaci parole che riassumono la sua esperienza: «Sin dall’inizio, arrivato qui, ho percepito questa grande disponibilità da parte del medico che mi cura e dei suoi collaboratori: tutti sono aperti al dialogo che oso dire sia quasi amichevole. Sento che sto recuperando forze, fiducia ed energie. Spero di riuscire ad uscirne…»

D’altronde, il dottor Bianda ce lo aveva detto: «Grazie alle cure multidisciplinari e all’approccio prevalentemente psicoterapico, oltre che naturalmente alle terapie somatiche, la persona recupera una sorta di benessere psicofisico, insieme alle risorse che aveva perduto: ne esce rinforzata, ha appreso strategie, piuttosto che tecniche, che non la porteranno a rivoluzionare la propria vita, ma a riprenderla certamente in mano».