Conoscere il tuo nemico

Dallo Spazio - Lo studio degli asteroidi può evitare guai sulla Terra
/ 30.07.2018
di Loris Fedele

Abbiamo da poco passato l’anniversario di un fatto che ha segnato l’ambiente terrestre. Il 30 giugno 1908, giusto 110 anni or sono, nella Siberia profonda, in vicinanza del fiume Tunguska, un asteroide di grandi dimensioni colpì la Terra devastando una superficie di oltre duemila chilometri quadrati e radendo al suolo tutti gli alberi. Le onde sismiche prodotte dal terremoto generato dall’impatto furono registrate fino a Londra. Si stimò che quella roccia spaziale dovesse avere un diametro di una trentina di metri: tanto basterebbe oggi per cancellare dalla carta geografica un’intera città. 

L’evento per fortuna non è tanto probabile: complicati calcoli effettuati su basi statistiche indicano che l’impatto con la Terra di un meteorite di grandi dimensioni si potrebbe verificare una volta ogni cento milioni di anni. La probabilità non è comunque uguale a zero per cui, proprio ricordando la Tunguska, ogni anno si tiene nel mondo un «Asteroid Day», il giorno degli asteroidi, nel quale gli scienziati sensibilizzano la popolazione e i governi sull’importanza di studiare questi corpi celesti, potenziali nemici dell’ambiente terrestre. 

Ci riferiamo qui a corpi di cospicue dimensioni perché ben sapete che il materiale piccolo che arriva dallo spazio quando entra nella nostra atmosfera nel 99% dei casi si infiamma e si distrugge a causa dell’attrito, dando luogo al fenomeno delle stelle cadenti. Ciò non di meno si stima che ogni anno la superficie della Terra venga raggiunta da circa cinquecento meteoriti della dimensione di un pallone di calcio o poco più. I due terzi finiscono nei mari, gli altri impattano col suolo. 

Cosa succede quando uno di questi corpi finisce nell’acqua? Dipende dalla sua velocità e dalla sua composizione, oltre che dal punto geografico dove avviene l’inabissamento. In un mare poco profondo e ricco di sedimenti il materiale può essere vaporizzato e liberare diversi gas-serra responsabili di variazioni del clima a lungo termine. Se l’urto avviene al largo, in un mare profondo, genera uno tsunami. L’energia delle onde potrebbe dissiparsi durante il percorso prima di raggiungere la costa, limitando i danni. Invece l’impatto sulla terraferma appare immediatamente distruttivo, per il calore sviluppato, il terremoto provocato, l’onda d’urto e i venti violentissimi che genererebbe. 

Sessantasei milioni di anni or sono un pezzo di minerale metallico del diametro di dieci chilometri impattò su quella che oggi è la penisola dello Yucatan, in Messico, formando un cratere di duecento chilometri, liberando una enorme energia, come una gigantesca esplosione nucleare. I terremoti e il repentino cambiamento del clima che ne seguirono fecero sparire due terzi delle specie viventi e, come si sa, portarono all’estinzione dei dinosauri. 

Fortunatamente da allora niente di simile si è ripetuto. Tuttavia i fenomeni continuano a verificarsi e sono studiati. Il più famoso di tutti, in tempi recentissimi, è il caso di Chelyabinsk, in Russia, nei cui cieli il 15 febbraio 2013 esplose a pochi chilometri dal suolo un meteorite che non era bruciato completamente entrando nell’atmosfera. L’onda d’urto danneggiò centinaia di edifici e ferì circa milleduecento persone con la rottura di vetri e finestre. Nella zona si riuscì a recuperare in fondo a un lago un frammento di alcune decine di centimetri pesante trecento chilogrammi. Non so bene con quali sistemi, ma si stabilì che il meteorite aveva diciotto metri di diametro. La sua velocità di entrata nell’atmosfera era stata misurata e fu resa nota: cinquantaduemila chilometri all’ora. 

Ancora più recente, ma per nulla distruttivo, l’avvenimento del 2 giugno scorso quando si è vista una grande palla di fuoco nel cielo del Sud Africa. Era la fase finale della vita di un asteroide di circa due metri che si stava consumando nell’atmosfera. Gli scienziati lo stavano seguendo da tempo e, giudicandolo non pericoloso, non hanno ritenuto opportuno allarmare la popolazione. Lo avrebbero fatto se il corpo celeste fosse stato superiore ai cinque metri perché in quel caso si stimava potesse generarsi un’esplosione e un’onda d’urto significativa. Questo è ciò che è stato comunicato da uno dei tanti team che controllano da terra i pericoli spaziali. 

Anche l’Europa ne possiede uno, stanziato nella sede tedesca dell’Agenzia spaziale europea. Presso l’Esoc di Darmstadt è da tempo operativo l’Ufficio per i detriti spaziali, che si occupa di misurare costantemente gli oggetti di tutte le dimensioni che dopo aver orbitato intorno alla Terra possono ricaderci sopra. Sono soprattutto i prodotti costruiti dall’uomo e mandati nello spazio, in primo luogo i satelliti. Ma c’è anche un team della sicurezza spaziale che tiene d’occhio i meteoriti e gli asteroidi. L’Esa sta già monitorando 740 asteroidi che potrebbero incontrare la Terra e ne sta scoprendo di nuovi. A proposito di questi ultimi, l’Inaf, l’Istituto nazionale italiano di astrofisica, ci ricorda che asteroidi di piccole e medie dimensioni passano ogni mese «vicino» alla Terra. Metto vicino tra virgolette perché il prossimo incontro particolarmente ravvicinato è previsto nel 2027 con un passaggio a 380mila km da noi. 

Nel 2014 un asteroide di 650 metri di diametro, enorme, uno dei più grandi in circolazione, passò a 1,8 milioni di km dalla Terra. Giornali e scienziati scrissero che ci aveva «sfiorati», e questo ci dice come le distanze cosmiche siano ben diverse da quelle con le quali siamo abituati a confrontarci. Tuttavia è bene dare al pubblico informazioni corrette sui rischi reali e su cosa si stia facendo: questo è uno dei compiti dell’annuale «Asteroid Day». 

L’Esa e la Nasa vogliono verificare se si può dirottare un asteroide in rotta di collisione sfruttando l’impatto cinetico di un veicolo-proiettile lanciato dalla Terra. Per questo hanno preparato una missione congiunta (chiamata Aida) che porterà delle sonde a studiare da vicino Didymos, un sistema binario di asteroidi. Conoscere l’esatta composizione di un asteroide è fondamentale per capire come colpirlo efficacemente perché, per esempio, un materiale plastico e poroso e uno monolitico reagiscono diversamente a un urto. Inoltre le caratteristiche fisico-chimiche del bersaglio potrebbero suggerire metodi alternativi per la deviazione dell’orbita. 

La missione per ragioni economiche è stata per ora congelata dall’Esa, nella seduta ministeriale del 2016. La Nasa dal canto suo ne ha in corso un’altra verso l’asteroide Bennu. Anche i giapponesi hanno in corso la missione Hayabusa per prelevare campioni dell’asteroide Ryugu e riportarli sulla Terra. Concludendo: i nostri potenziali nemici per ora non ci preoccupano, ma bisogna conoscerli meglio, perché se sappiamo come sono fatti, un domani sapremo anche come farli deviare da una improbabile, ma non impossibile, rotta di collisione con la Terra.