Come un alito di vento

l creatore di profumi Jean-Claude Richard inventa miscele di oli naturali ma ammonisce: non bisogna coprire il proprio odore, perché è un importante mezzo di comunicazione
/ 05.11.2018
di Sara Rossi Guidicelli

Professione: naso. Campi di interesse: aromatologia, oli essenziali e osmologia. Invenzioni particolari: profumo di nuvola e profumo di avventura.

Jean-Claude Richard è affascinato dagli oli: centinaia di essenze che vengono estratte dalla natura (piante, fiori, frutti) per spremitura o distillazione. È un processo molto delicato e costoso. Per un litro di olio essenziale di melissa per esempio ci vogliono otto tonnellate di foglie. Mi passa il vaso che lo contiene e mi dice: «In questo momento hai in mano 30mila franchi».

Ex hippy che in gioventù ha vissuto in una comune in Ticino, questo parfumier ha studiato in Svizzera interna aromatologia e osmologia, ovvero la scienza che studia il comportamento umano in relazione con gli odori.

«Non ho fatto la scuola di profumeria perché non volevo studiare ingredienti sintetici. Non mi interessano e sono il 90 per cento del materiale che usa un “normale” inventore di fragranze. Mi sono concentrato sull’aromaterapia, gli oli essenziali e la chimica per fabbricarli, conservarli, miscelarli. Chiunque può diventare un creatore di profumi: non ci vuole un dono particolare, basta studiare, come per qualsiasi altra disciplina. Si allena il naso a riconoscere, trovare e ricordare gli odori. Il nostro cervello ha un posto dove conserva ogni esperienza olfattiva che facciamo, fin da piccoli».

Il suo ricordo più bello: quando era malato, da piccolo e la mamma gli preparava la camomilla. Per lui quel profumo avrà sempre una connotazione di dolcezza.

Mi racconta che l’ispirazione per i suoi profumi nasce così: come una poesia, un ricordo, un moto di ammirazione. Succede spesso in viaggio. «Una volta ero in Tanziania, con un piccolo aereo guidato da una pilota svizzera e siamo atterrati sull’erba. La guardavo e di colpo mi sono immaginato un profumo, un po’ selvaggio, avventuroso. Nella mia testa era chiaramente definito e l’ho chiamato in francese Terre d’aventure. Poi ho impiegato quasi un anno per trovarlo».

Molto sta nella conoscenza. Bisogna studiare le essenze, capirle e trattarle con passione. Avere un bravo botanico a disposizione, poi, è fondamentale: «Per noi lavora la biologa Serena Wiederkehr-Britos, di Lugano. Quando ho un desiderio glielo spiego e lei parte alla ricerca di una menta o di una lavanda particolari, che vengono coltivate in un certo modo e che hanno una certa storia. Non ci interessa solo il profumo, infatti, ma anche la vita della pianta e di chi la coltiva. Vogliamo che tutte le nostre essenze siano derivate da coltivazione biologica e preparate sul posto. Seguiamo questo lavoro da vicino perché fa parte della nostra etica e teniamo moltissimo al nostro marchio di sostenibilità». Lo sentono come un dovere verso il pianeta, mi spiega il creatore di profumi.

Anche l’osservazione di come viene usata una fragranza nel posto in cui viene coltivato il fiore, la radice o la spezia, può dare un’idea di profumo o di linea nuova. Per la sua ditta, il Farfalla, Richard ha creato dei temi, con vari prodotti: relax, vitalità, sicurezza, sonno, inverno e così via.

Un’altra volta però gli è venuta un’ispirazione mentre se ne stava sul suo terrazzo e ha guardato il cielo. Ha pensato a quale potesse essere il profumo delle nuvole e ha iniziato a lavorare su una fragranza soffice e leggera. «Non ci sono limiti all’immaginazione. Semmai a contenerla sono motivi pratici: da sempre sto cercando qualcosa che ricordi quell’odore fresco di montagna quando si taglia l’erba ancora verde, ma non è facile perché se metto l’erba in un alambicco o in un torchio non succede niente». Non da tutte le piante infatti è possibile estrarre l’essenza.

Creare profumi per Jean-Claude Richard è un gioco. Può però anche essere un mezzo di comunicazione per il corpo: gli si dice cosa fare. «Non posso dormire a comando, questo è un fatto. Ma se metto un po’ di lavanda sul cuscino mi addormento più facilmente, perché è un segnale che può dare una piccola quantità di olio essenziale della lavanda». Gli chiedo quindi dell’altra sua specializzazione. «L’osmologia, ovvero la scienza dell’olfatto, studia l’influenza che hanno gli odori sul comportamento della gente. Si tratta di una scienza nuova ma importante, perché se le risposte emozionali sono positive possono sollecitare il sistema immunitario, sviluppare la memoria, migliorare il nostro stato relazionale, combattere lo stress, aumentare o ridurre l’appetito, agire favorevolmente in alcune patologie. Certo l’osmologia interessa anche i commercianti», spiega il «naso». «Per esempio, si sa che se voglio vendere più pane mi conviene far sentire in tutta la strada il profumo fragrante delle mie brioches. Tuttavia interessa molto anche la medicina, perché un’équipe di ricercatori tedeschi dell’Università Tecnica di Monaco, guidata da Peter Schieberle, ha scoperto che ci sono cellule nel cuore, nei polmoni, nel sangue, e in altri organi, che possiedono gli stessi recettori dell’olfatto. Questi rappresentano una sorta di porta ingresso per i composti chimici volatili che veicolano un odore. Questi composti si connettono con i recettori e avviano una serie di reazioni biochimiche che il cervello associa ai diversi odori. Con la scoperta dei recettori “disseminati” sarà necessario studiare più a fondo il meccanismo e capire come l’organismo reagisce agli odori “catturati”, ad esempio, dal sangue». Un campo della medicina dove c’è ancora molto da esplorare.

L’osmologia però si occupa anche di amore, coppia, separazioni. «Perché ci innamoriamo di una persona e non di un’altra? Perché il sudore è olfattivamente diverso se siamo nervosi? Ognuno di noi ha sulla pelle 3 milioni di pori che “parlano” in continuazione: il nostro corpo è programmato per dare continuamente informazioni agli altri corpi. Anche l’amore dipende un po’ da questo: le persone, in particolare le donne, sono fortissime nel scegliere un partner in base al suo odore. Naturalmente non ne sono coscienti e ci sono molti altri fattori che entrano in gioco: ma uno dei primi segnali che ci dice se una persona ci piace o no è il suo odore».

In due università, quella di Losanna e quella di Vienna, mi cita Richard, sono stati fatti recentemente due test simili, per indagare sul tema di coppia. Entrambi hanno dimostrato come prima di tutto uomini e donne cercano un odore il più possibile diverso dal proprio: una questione animale, per mischiare i geni e rendere più forte la specie. Poi è risultato che per gli uomini il gradimento di un profumo è più o meno costante nel tempo, mentre per le donne cambia moltissimo nel corso del mese. Un odore che attira, durante il ciclo diventa repellente. Quando una donna ha le mestruazioni, o è in gravidanza, o prende la pillola, tende a scegliere odori simili al suo, per proteggersi. «Attenzione dunque a innamorarsi quando si prende la pillola, perché potrebbe smettere di piacervi...», ammonisce con un sorriso Jean-Claude Richard.

Alla fine gli chiedo quale sia il suo profumo, come lo sceglie e se ne ha uno solo o se ne mette uno diverso in occasioni diverse. Gli chiedo se si stufa e poi lo cambia, se se ne è inventato uno tutto per sé o per la persona che ama. La sua risposta mi sorprende.

«Io non uso quasi mai profumo. Con la mia compagna abbiamo deciso così: odoriamo di noi stessi e basta. Magari per un’occasione molto speciale sì, che è come aggiungere un accessorio un po’ chic, magari usato sulla sciarpa, in modo che ti svolazzi intorno come un alito di vento, ma che sia dedicato a chi ti viene vicino, non si deve sentire da lontano. Credo che nel nostro mondo abbiamo dei tic igienici troppo forti e ci profumiamo continuamente di qualcos’altro: shampoo e gel sui capelli, dopobarba e profumo sul collo, deodorante e vestiti che sanno di bucato. Ma il nostro odore non lo conosciamo più. Quello che è più importante di tutto è che una madre che allatta non si profumi, perché il bambino riconosce l’odore del latte e quello particolare della sua mamma. Però anche agli altri direi di non abusarne: a me piace pensare che non imbavagliamo tutte quelle molecole olfattive che si parlano tra un essere umano e l’altro e restiamo un po’ più noi stessi».