Dorothy Espelage

Come combattere il bullismo

Intervista – Dorothy Espelage, professoressa di Educazione all’Università della North Carolina di Chapel Hill, negli Stati Uniti, è tra le massime esperte mondiali in materia
/ 02.12.2019
di Stefania Prandi

Secondo Dorothy Espelage il bullismo tra i bambini e i ragazzi va considerato come un comportamento che emerge nel corso del tempo, un fenomeno di gruppo che può essere l’anticamera di altre forme di violenza. Le ricerche di Espelage, professoressa di Educazione all’Università della North Carolina di Chapel Hill, negli Stati Uniti, tra le massime esperte mondiali di bullismo, autrice di oltre duecento articoli accademici e di cinque libri, hanno portato a interventi istituzionali e legislativi per proteggere gli studenti e rendere le scuole americane più sicure.

Professoressa Espelage, cosa si intende con la parola bullismo?
Il bullismo è una forma di aggressività che si presenta in genere durante l’età scolastica, ma si può ritrovare anche sul posto di lavoro, ed è rappresentata dalla ripetitività, tanto che le vittime sono portate a cambiare comportamento per ridurre la probabilità di essere bullizzate. Ad esempio, abbandonano uno sport, non usano più l’autobus, mangiano il pranzo nel bagno. Il bullismo è dovuto a una disparità di potere legata all’età, all’aspetto, allo status sociale oppure economico. L’intento di chi bullizza è ferire, non si tratta di una reazione a un’aggressione. Nella formazione a insegnanti e genitori spiego che vanno analizzati i dettagli per capire se si è davvero in presenza di un atto di bullismo. Ci sono delle domande che permettono di fare chiarezza. Quando è cominciato? Cosa è successo? Come lo fa sentire? Come si comporta?

Il bullismo può portare ad altre forme di violenza. Lei si è occupata delle strategie per combatterlo. Perché è importante che scuole e genitori si focalizzino sulla prevenzione?
Gli studenti che hanno relazioni forti con gli insegnanti e una buona capacità di empatia con i compagni hanno meno probabilità di tormentare gli altri. Per la prevenzione io propongo programmi di valutazione dell’educazione socio-emozionale. Servono per fornire ai ragazzi vulnerabili, quando hanno conflitti con i compagni, modi per sviluppare empatia, capacità di prospettiva e gestione delle discussioni e dei litigi e regolazione delle emozioni. Attraverso questi interventi, nelle situazioni in cui abbiamo agito, abbiamo ridotto tra il venti e il venticinque per cento il bullismo sia in generale sia contro gli studenti con disabilità. C’è stata la stessa percentuale di riduzione della violenza sessuale.

Oltre a concentrarsi sui ragazzi e sulle ragazze, servono interventi sugli adulti per fare in modo che le scuole siano ambienti capaci di educare correttamente?
Sì. Molti adulti, e intendo insegnanti e amministratori, non hanno le competenze per capire come i pregiudizi e la mancanza di competenze sociali contribuiscano alla violenza. Per questo vanno formati anche loro. Se si resta a guardare si incoraggia l’accanimento e la discriminazione contro la popolazione scolastica già marginalizzata.

Dalle sue ricerche emerge che gli studenti senza un professore di riferimento, dal quale possono andare a parlare se hanno bisogno, sono più a rischio di vulnerabilità. Quando lei incontra i docenti, come identifica gli studenti più soli?
Chiedo ai professori il registro della classe. Scorro i nomi e li invito a scrivere su un foglio chi sono gli studenti con cui hanno un rapporto vero. Stilo l’elenco di tutti nomi e controllo sul registro chi sono le alunne e gli alunni che mancano. In genere, si tratta del venti per cento della classe. Cerco allora di recuperare le informazioni disponibili su questa parte di studenti, soprattutto sulla situazione familiare, e incoraggio il personale scolastico a stabilire dei contatti veri anche con loro.

Che altre azioni mette in atto contro il bullismo?
Tra le diverse iniziative, abbiamo progettato un’applicazione, realizzata in collaborazione con gli studenti, che permette di segnalare se si è bullizzati oppure se si è testimoni di atti di bullismo. Un’altra azione è rappresentata dal programma per prevenire i suicidi chiamato Sources of Strength (sourcesofstrength.org) col quale si lavora per togliere lo stigma di chi cerca aiuto.
Abbiamo avviato poi un programma di realtà virtuale per intervenire nelle scuole medie creando esperienze immersive in modo da mostrare cosa si prova se si viene bullizzati e per promuovere la denuncia.

Che cosa c’è ancora da fare?
Gli interventi non sono ancora abbastanza, vanno potenziati molto. Tra i vari fronti sui quali agire, inoltre, va considerato che i genitori devo riuscire ad avere una comunicazione aperta con il personale amministrativo scolastico e con i professori. Devono essere contattati non appena ci sono le avvisaglie e non solo quando la situazione è conclamata. Per quanto riguarda i ragazzi, è importante tenere presente che hanno bisogno di aspettative comportamentali nei contesti che promuovono la sicurezza scolastica. Questo significa che ci deve essere tolleranza zero per alcuni comportamenti che contribuiscono a un clima negativo.

Che ruolo hanno i social media nella diffusione del bullismo?
Gli studi in merito sono all’inizio. Il problema è che appena cominciamo ad avere elementi di valutazione su una specifica piattaforma social, i ragazzi la cambiano.
In generale, comunque, il bullismo inizia a scuola dal vivo, si riversa nei social media di notte e tende a esplodere nei weekend. Per prevenirlo è importante aumentare le competenze socio-emozionali dei ragazzi, fare in modo che si conoscano e che siano capaci di spirito di appartenenza. Il cyberbullismo è meno presente nelle scuole che promuovono le connessioni e instillano la resilienza, il rispetto e la gentilezza. Non si riduce il cyberbullismo parlandone, ma creando relazioni forti tra insegnanti e studenti così che ci pensino due volte prima di comportarsi male con un compagno oppure una compagna. E i genitori devono decidere come monitorare i figli nell’uso dei social media.

 

Nota

* L’intervista è stata tradotta e in alcuni passaggi adattata dalla giornalista.