Su internet si trovano diversi kit per improvvisati apicoltori. C’è il modello più economico, con una sola arnia e la tuta completa, con maschera e guanti. C’è il modello più professionale, per chi vuole spendere un po’ di più, con tanto di affumicatore in acciaio e smielatore manuale. Per gli amanti del bello e cultori dell’estetica ci sono addirittura arnie in pregiato legno di cedro rosso, decorate come un piccolo chalet svizzero. Chiunque, con poche centinaia di franchi e un po’ di curiosità, può «cominciare l’avventura nel meraviglioso mondo delle api». Non serve alcun terreno in campagna, né costosi investimenti, né un particolare pollice giallo (quello per il miele). Basta un piccolo spazio nel proprio giardino, sulla terrazza, o sul tetto di casa. E il dolce e appiccicoso mondo del miele è pronto a offrire i suoi segreti.
La chiamano apicoltura urbana. Da Berlino a New York, da Zurigo a Milano, fioriscono le arnie in città, e i corsi per imparare ad allevare le api all’ombra dei grattacieli registrano il tutto esaurito. Un vero e proprio boom di apicoltori, con alveari installati sui tetti di bar, ristoranti e giardini. A Parigi, il recente incendio di Notre-Dame ha svelato una storia curiosa: tra i gargoyle e le guglie, sul tetto della cattedrale, abitavano da anni anche 200mila api, distribuite in tre grandi alveari, dono di un apicoltore alla curia. Per fortuna si sono salvate.L’apicoltura urbana fa tendenza, e sta arrivando anche da noi. Basta guardare il numero degli iscritti alla Società ticinese di apicoltura. Negli ultimi dieci anni è cresciuto, passando da 450 membri a 530. «Ma gli apicoltori, compresi quelli che lo fanno per hobby, sono sicuramente di più, perché non tutti decidono di iscriversi alla nostra società», spiega il presidente Davide Conconi. «Il merito di questo boom è sicuramente dell’aumentata sensibilità dei cittadini per l’ambiente e la biodiversità, ma anche del film del regista svizzero Markus Imhoof More than Honey, che qualche anno fa ha fatto riflettere molte persone sull’importanza delle api per l’ecosistema globale».
Riconnettersi con la natura, e salvaguardare le api, il cui numero è in costante diminuzione dagli anni 90 a causa dell’agricoltura intensiva, dell’uso diffuso dei pesticidi e dei cambiamenti climatici. Mettersi tuta e casco e buttarsi nell’hobby cittadino dell’apicoltura non è solo un’azione utile e preziosa per tutelare la biodiversità: è anche un’opportunità. «Il miele prodotto in ambiente urbano non è certo peggiore di quello prodotto in campagna», dice Conconi. Anzi: in alcuni casi può anche essere migliore. Perché in città, tra le aiuole pubbliche e i vasi da balcone, ci sono fiori tutto l’anno, anche in inverno. E non è l’unico vantaggio: la temperatura in città è mediamente più alta rispetto alla campagna, e le api, che hanno bisogno di calore per il loro metabolismo, sono più attive. Alcuni obiettano che le città sono più inquinate delle aree rurali. Per Davide Conconi non è così. «In Svizzera sono state condotte alcune ricerche. Il miele prodotto in ambiente urbano non è assolutamente più inquinato di quello di campagna. Anzi, in alcuni casi è più sano perché in città si fa meno uso di pesticidi. L’inquinamento dovuto al traffico? Sembra irrilevante. Il piombo, che un tempo finiva dentro il miele, è scomparso dalla benzina molti anni fa. Nelle nostre città non c’è alcun problema».
E c’è chi, a livello istituzionale, si è già mosso. Nel 2011 il Dicastero del verde pubblico della città di Losanna ha installato diverse arnie in alcuni parchi cittadini, offrendo agli apicoltori dilettanti la possibilità di praticare il loro hobby sul suolo pubblico. Non solo: sul sito dell’amministrazione cittadina è stato lanciato un appello, affinché i privati mettano a disposizione i propri terreni per collocare apiari. Tutto in nome della biodiversità e della sostenibilità. Le analisi effettuate sul miele prodotto hanno evidenziato una grande qualità, e nei campioni non è stata trovata alcuna traccia di metalli pesanti. A Zurigo invece, in pieno centro città, l’albergo cinque stelle Baur au Lac produce da diversi anni il miele che serve a colazione ai suoi clienti. Viene direttamente dal giardino dove sono state installate delle arnie, centomila api divise in quattro colonie.
In Svizzera del resto è molto facile: l’apicoltura è una delle attività più libere. La legge è molto permissiva e non prevede alcuna formazione particolare per diventare apicoltore. Qualche anno fa Apisuisse, l’organizzazione mantello delle associazioni degli apicoltori, aveva proposto un corso obbligatorio di base che i neofiti avrebbero dovuto frequentare. L’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria si è dimostrato scettico, perché il nuovo obbligo avrebbe creato più costi e burocrazia senza rappresentare una vera esigenza. Per chi vuole diventare apicoltore c’è solo un obbligo, spiega Conconi. «L’unica cosa da fare è notificare la presenza delle arnie al veterinario cantonale. Per una questione di salute delle api. Se scoppia un’epidemia, le autorità vogliono sapere dove si trovano gli apiari così da intervenire in modo capillare». In alcuni comuni, inoltre, è richiesta una domanda di costruzione. «Ma in altri invece no. A livello comunale non c’è una normativa standard. Per questo il Cantone ha invitato recentemente le amministrazioni comunali a uniformare le ordinanze».
In Ticino è un vero e proprio boom quello dell’apicoltura. Al Centro professionale del verde di Mezzana, Mauro Nicollerat organizza da quasi venti anni corsi per principianti. Mai come negli ultimi anni ha registrato il pienone. «Un tempo era tanto se si iscrivevano una decina di persone. Oggi si viaggia sempre sopra i cinquanta iscritti. L’interesse per l’apicoltura è in forte crescita», spiega Nicollerat. Cinque serate, divise tra teoria e pratica. Durante la prima vengono illustrate le varie razze di api e i vari tipi di arnie. Nella seconda si studia la biologia e l’anatomia dell’ape. Fino ad arrivare nella terza e quarta serata alla posa dei melari e alla smielatura, e concludendo con la problematica delle malattie. L’apicoltura urbana? Risponde Nicollerat: «Un fenomeno interessantissimo che sta prendendo piede. Anche se non è così semplice...»
No: la semplicità non è di questo mondo, e nemmeno di quello delle api. Perché anche tra le piante mellifere, non sono tutte rose e fiori. Prima di installare un’arnia in giardino forse è meglio invitare a cena il vicino di casa. E cercare di convincerlo. «Le api non sono mucche o galline, non le puoi confinare», spiega ancora Davide Conconi della Società ticinese di apicoltura. «Se ne vanno in giro, e molta gente ha paura. Riceviamo diverse segnalazioni ogni anno. Quando in zona residenziale c’è un conflitto, c’è poco da fare: vince sempre la tranquillità e la sicurezza del cittadino». Senza contare che le api, soprattutto in primavera, fanno i loro bisognini e possono sporcare la biancheria stesa all’aperto o la carrozzeria delle auto. «Qualche anno fa – ricorda Conconi – un concessionario si è lamentato e ha costretto un apicoltore a spostare le arnie».Ma il miele è più dolce di ogni cosa. Il nuovo popolo degli apicoltori è in costante crescita. Se tutto va bene, in una stagione una sola arnia può regalare fino a 15 chili. E la media in Ticino è di tre arnie per apiario. Quasi cinquanta chili all’anno: di che soddisfare la propria golosità, e quella di parenti e amici. Contribuendo a salvaguardare le api.