La storia dello sport è costellata di trionfi sorprendenti da parte di atleti che poi non sono riusciti a confermarsi. Pensate, ad esempio, al titolo mondiale conquistato in discesa libera nel 1993 a Morioka, in Giappone, da Urs Lehmann. Lo sciatore argoviese in seguito non è più salito sul podio. Non sapremo mai se quel successo gli sia servito per essere nominato Presidente della Federazione Svizzera di Sci. Sappiamo tuttavia che la legge dello sport recita che la stragrande maggioranza delle vittorie ha delle ragioni ben fondate.
Qualche anno fa il mondo ci dipinse come un popolo di navigatori. Sì, navigatori agli Svizzeri, persone che per vedere il mare devono espatriare, e che sono cresciute a pane, formaggio, hockey su ghiaccio e sci. E questo perché una barca elvetica, «Alinghi», patrocinata da un imprenditore svizzero di origini italiane, Ernesto Bertarelli, era riuscita a conquistare la prestigiosissima Coppa America, prima europea dopo 28 trionfi Americani, 2 neozelandesi e 1 australiano.
Fu un caso? Solo per i profani. L’analisi dell’avventura di Alinghi permise di comprendere le ragioni dello storico evento. Anzitutto il budget: Bertarelli, multimiliardario nel settore biochimico, non badò a spese. Secondariamente l’equipaggio: Alinghi fu affidata al top del mondo velico; lo skipper, in occasione del primo dei 2 successi, quello del 2003, era niente meno che Russel Coutts, lo straordinario lupo di mare neozelandese, che nel 1995 e nel 2000 aveva regalato al suo paese i primi allori nell’ultracentenaria storia dell’America’s Cup. Infine tecnologia e materiali, frutto di una proficua collaborazione fra Alinghi e il settore-ricerca della Scuola politecnica federale di Losanna. Tutto ciò fu sufficiente per conquistare il bis nel 2007, tuttavia nel 2010 Alinghi fu costretta a cedere di nuovo il titolo ad un’imbarcazione neozelandese. Tutto normale. Non siamo un popolo di navigatori.
Siamo invece gente che, tradizionalmente, ama la bicicletta ed il ciclismo, e che da un paio di decenni sta scoprendo la nuova frontiera del ciclismo: la Mountain Bike, un mezzo che ci ha portati in cima al mondo. Da alcuni anni i biker svizzeri sono i migliori del circuito. Un caso? Evidentemente no.
Il pioniere fu Thomas Frischknecht. Subito argento nei primi mondiali della storia, nel 1990, primo Svizzero a diventare campione mondiale, nel 1996, primo a conquistare l’iride nella Marathon, nell’edizione organizzata nel 2003 dal VC Monte Tamaro. Soprattutto Thomas fu l’ideatore, unitamente al suo Team Manager Andy Seeli, della Swiss Bike Cup. È stato l’uovo di Colombo: gareggiare per crescere. Si tratta di un circuito nazionale con 8 gare di livello internazionale, nato una ventina di anni fa. È aperto ai ragazzini dagli 8 agli 11 anni, e ai competitori dai 12 anni, su su fino all’élite mondiale. I piccoli si confrontano su percorsi atleticamente poco esigenti, ma tecnicamente impegnativi, perché alla base del successo c’è la capacità di guidare la bici su sassi, scalini, salti e radici. Il fisico, quando si guida con competenza, viene da sé, poiché l’allenamento è un divertimento, non una tortura. I grandi hanno invece la possibilità di sfidare i pari età più forti al mondo, quindi di avere dei riferimenti per poter crescere ulteriormente.
Accade esattamente l’opposto di ciò che avviene nel ciclismo su strada, in cui ci sono sempre meno corse, sempre meno vocazioni. Non è quindi un caso se da anni il grigionese Nino Schurter è il numero uno al mondo, così come la sangallese Jolanda Neff fra le donne, e la zurighese Sina Frei tra le Under 23. E non pensiate che dietro di loro ci sia il deserto. Ci vorrebbe un’intera pagina per citare i nomi degli atleti che almeno una volta sono saliti su un podio europeo, mondiale o di Coppa del Mondo. Poche settimane fa, ad esempio, il quasi imbattibile Nino Schurter, decise di rinunciare ai Campionati Europei di Glasgow, tuttavia il titolo continentale, grazie al 25enne Lars Forster, non è sfuggito ad un biker svizzero.
E il Ticino, in questa storia, che ruolo ha? Un bel ruolo, non ancora da protagonista principale, ma comunque un ruolo eccellente, nonostante il movimento cantonale sia nato, quasi per caso, solo 7 anni fa, ai margini dei Mondiali di Champery. In quell’occasione Thomas Frischknecht, ancora lui, cercò di convincere Daniele Zucconi a scendere dalla sella per formare un gruppo di giovani bikers. Detto fatto!
In pochi giorni fu allestito un progetto, sottoposto ai dirigenti del VC Monte Tamaro, che non si fecero sfuggire l’opportunità. Nel 2012 Daniele iniziò con un gruppetto di ragazzini. Fra questi c’era, e c’è tuttora Filippo Colombo, un giovane in cui testa, cuore e gambe girano all’unisono. Primo ticinese a laurearsi Campione Svizzero, primo a diventare Campione del Mondo, Filippo è entrato stabilmente nell’élite mondiale. Compirà 21 anni il 20 dicembre. È probabilmente troppo giovane per pensare ai Giochi Olimpici del 2020 a Tokio, tuttavia nel 2026 a Parigi, 42 anni dopo Michela Figini, potrebbe farci fare di nuovo un sogno a cinque cerchi.