Televisione e stampa tendono a riportare episodi di violenza fisica fra ragazzi, contribuendo a diffondere nell’immaginario collettivo l’idea che siano esclusivamente i maschi i protagonisti del bullismo. Anche i primi studi condotti sul tema concentravano la propria attenzione sui ragazzi e attribuivano alle ragazze il ruolo di spettatrici o vittime passive. La realtà dei fatti è però un’altra: le ragazze sono capaci di episodi di violenza subdoli che, in genere, non si avvalgono della forza fisica ma di altre strategie per rendere difficile la vita delle vittime.
Quello femminile è infatti un bullismo di tipo psicologico: spesso la vittima stessa non si rende conto di subire una vera e propria violenza. E tantomeno chi la circonda percepisce facilmente i segnali di questo bullismo indiretto, poiché questi non sono visibili ma interiori. Le bulle prendono di mira ciò che per una ragazza è di cruciale importanza in questa fase della vita, e cioè le relazioni con le coetanee, facendo in modo che la vittima rimanga da sola. Il bullismo al femminile è soprattutto un’aggressione relazionale che si ripete senza tregua, con il risultato di calpestare l’autostima di chi ne è vittima.
Abbiamo approfondito questo delicato argomento con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano. Padre di quattro figli, Pellai è autore di molti bestseller per genitori, tradotti anche all’estero. L’ultimo in ordine di tempo è L’età dello tsunami. Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente, che presenterà a Porza il prossimo 24 aprile (Sala Clay Regazzoni, ore 20.00). Un modo più «leggero» per farsi un’idea sul bullismo femminile è invece il film Mean girls, diretto nel 2004 dal regista Mark Waters.
Dottor Pellai, il bullismo al femminile è un fenomeno che si sta diffondendo. Ciononostante l’impressione è che se ne parli poco, come mai?
In realtà si sta diffondendo la sregolazione emotiva dei nostri figli. Il bullismo si situa proprio in una zona dove da una parte si usano la forza e la prepotenza per affermare il proprio potere e dall’altra si è meno capaci di autoregolare le proprie emozioni, in particolare quelle impulsive, come la rabbia. La combinazione di questi due elementi fa sì che il fenomeno – che viene effettivamente raccontato più al maschile, in primis perché i ragazzi, essendo più fisici, lo manifestano in modo più evidente – sia di fatto ben presente pure tra le ragazze. Anche perché oggi le ragazze hanno sdoganato l’aggressività verbale e relazionale sull’online, trasferendola successivamente nella vita reale. In generale comunque il bullismo al femminile è basato su dinamiche di inclusione ed esclusione.
Entrando maggiormente nello specifico, chi è la bulla e come agisce?
Nella letteratura la bulla viene definita «l’ape regina». Essa acquisisce potere relazionale attraverso lo status della propria popolarità, legata al valore estetico, al codice del vestiario e al controllo sulle altre del gruppo, alle quali sottilmente fa intendere che, per essere incluse, devono aggregarsi a lei e condividerne lo stile. Chi non lo fa è fuori. E qui si entra nella prima zona di bullismo, legata al codice dell’esclusione. Non viene fatto nulla alla ragazza esclusa, ma non la si include in niente: non la si invita alle feste, non la si coinvolge nei propri discorsi, non si sta con lei nell’intervallo. Questo produce un senso di ansia e a volte anche di angoscia. In pre-adolescenza e adolescenza, quando l’inclusione all’interno del gruppo dei pari è una sfida evolutiva da vincere, scoprirsi soli è infatti molto doloroso.
E la seconda zona di bullismo?
Il secondo meccanismo è quello attivo, che comprende fenomeni di denigrazione, umiliazione, presa in giro per il corpo, per il fatto di non avere uno stile, ecc.; l’aspetto esteriore della persona viene cioè indicato col dito da più ragazze che ridono in faccia o alle spalle. Questo fa estremamente male e suscita vergogna, l’emozione che più di tutte blocca in questa fase della crescita.
Come si ripercuote il bullismo sulle ragazze prese di mira?
Queste ragazze vivono una sofferenza significativa. Innanzitutto si ha un’attivazione ansiosa, che rappresenta un’interferenza fortissima con i compiti di concentrazione, attenzione e apprendimento, impliciti nel percorso scolastico. Oltre a ciò, la vittima si pone ogni giorno l’obiettivo di riuscire a sopravvivere, ma poiché è continuamente oggetto di critiche perde progressivamente autostima, cominciando a pensare di essere effettivamente sbagliata e finendo per l’indossare l’abito che la bulla e le gregarie le cuciono addosso.
Cosa accomuna le vittime scelte dalle bulle?
Le vittime hanno un tratto che può facilmente connotare il concetto di diversità: un corpo troppo grasso, troppo alto, troppo basso, in poche parole diverso dal copione della Barbie o dell’«ape regina». Le gregarie partecipano a questa vittimizzazione perché così facendo si alleano contro qualcuno che incarna la diversità che temono per loro stesse. Puntare il dito su un altro significa evitare che il dito venga puntato su di me e auto-proteggersi così dalla sensazione di inadeguatezza o scarsa sicurezza rispetto al proprio corpo che in pre-adolescenza e adolescenza è particolarmente forte.
Perché una ragazza diventa una bulla, cerca di comunicare qualcosa con questo comportamento?
Il bullo, in generale, è una persona che senza questo ruolo avrebbe meno riconoscimenti sul piano sociale. Per la fatica che fa a costruire relazioni sane rischierebbe paradossalmente di essere lui quello escluso. Invece però di lavorare su questi suoi limiti sceglie di acquisire uno status che gli permette di manipolare gli altri, creando una «scorza» di inavvicinabilità rispetto alla propria interiorità, che spesso è travagliata.
Approfondiamo il rapporto tra la bulla e il suo gruppo…
L’«ape regina» assicura la regia di tutto il meccanismo. Paradossalmente però essa viene ammirata, seguita, emulata ma non amata. Tra la bulla e le gregarie non si generano mai relazioni di intimità perché per essere amici bisogna sentirsi alla pari. In questo caso si tratta invece di un rapporto gerarchico dove l’«ape regina» sta sul trono mentre le altre non possono attentare al suo primato. Tant’è che quando una gregaria acquisisce a sua volta «popolarità» e attacca il potere indiscusso della bulla nascono delle guerre incredibili.
La bulla è cosciente di questa mancanza di reali legami?
In genere non se ne accorge e vive in uno stato di isolamento che si è autogenerata. Caratteristica dell’essere bulli è infatti la mancanza di empatia, la fatica di sentire quello che sente l’altro; spesso si sente solo il bisogno di affermare il proprio io, una spinta narcisistica a stare sopra gli altri. L’altro è un oggetto nelle relazioni che porta ad una conferma del proprio status. Capita però che i bulli si rendano conto di essere soli e questa può rivelarsi una zona terapeutica, che, con un buon intervento da parte dell’adulto, può condurre a dei cambiamenti nelle relazioni.
In apertura ha fatto un accenno al cyberbullismo; in che modo la tecnologia influenza il bullismo al femminile?
La tecnologia attiva molti comportamenti che vengono agiti nell’online senza essere pensati troppo. Anche al di fuori di un quadro di bullismo, è molto più facile che sul web le persone trattino male, parlino male o offendano gli altri o ancora utilizzino le immagini di altri in un modo disfunzionale.
Vuole fare un esempio?
Potrebbe essere quello di un ragazzo che nella logica dello «scherzone» fotografa una compagna in reggiseno dalla finestra dello spogliatoio e mette la foto sul gruppo WhatsApp della classe. Improvvisamente la ragazza trova il suo corpo seminudo esposto e si sente spaventosamente vulnerabile. Si tratta di una situazione che si avvicina al sexting – e cioè l’invio, la ricezione o la condivisione di testi, video o immagini inerenti la sessualità – seppur fatta senza l’intento di nuocere. In una situazione come questa, un’azione di pochi secondi può essere presto dimenticata da chi ne è l’autore ma «congela» nell’online l’identità di chi ne è vittima, che può aver bisogno di anni per smaltire le conseguenze emotive di questo gesto. Questo è uno dei motivi per cui è fondamentale promuovere progetti di benessere digitale.
Come ci si accorge che la propria figlia è vittima di bullismo?
Spesso i figli stanno in silenzio perché si tocca una sfera che ha a che fare con la vergogna, a volte con riferimenti al loro orientamento sessuale o ad un aspetto del loro corpo. Ci sono però diversi indicatori che un genitore può rilevare, soprattutto quando vede uno stato di tristezza cronica o addirittura di ansia legato all’andare a scuola, che non ha a che fare con il rendimento. Per esempio, quello che c’è nei loro social può essere d’aiuto, mentre osservare come entrano il mattino a scuola o come escono il pomeriggio può dire molto su quello che sta succedendo.
Vuole dare qualche indicazione ai genitori su come agire?
Innanzitutto consiglio di rivolgersi ai professori, per sapere cosa hanno capito di nostra figlia nelle loro osservazioni. Successivamente va costruita un’alleanza sul piano alto, dove gli adulti devono mettere in atto una strategia protettiva non solo per la ragazza ma per il gruppo al quale appartiene, dal momento che all’interno di quest’ultimo sono state create delle dinamiche relazionali disfunzionali. Infine, consiglio di chiedere alla scuola che ci sia un monitoraggio costante e una serie di incontri supervisionati da adulti specializzati tra la vittima e la bulla. In questi momenti la vittima ha la possibilità di raccontare alla bulla cosa ha provato e perché sta male e la bulla deve prendere l’impegno di fronte agli adulti di riferimento di cambiare il proprio comportamento. Con l’aiuto di uno psicologo o di un terapeuta dell’età evolutiva, questa dovrebbe rivelarsi l’occasione affinché impari che conquistare potere nella vita non significa agire con prepotenza ma usare competenze.